di Angelica La Rosa
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L’INTERVENTO DI PAPA LEONE XIV
In un’epoca in cui l’empietà sembra aver ottenuto cittadinanza persino nei luoghi più sacri, l’osceno atto perpetrato sull’altare maggiore della Basilica di San Pietro (VEDI QUI) non rappresenta soltanto un gesto di follia o di sbandamento personale, ma una vera e propria bestemmia incarnata, un sacrilegio che grida vendetta al cospetto di Dio.
Non si tratta di un semplice “atto vandalico” o di un “incidente deplorevole”, come il linguaggio mondano tenta ipocritamente di ridurre la gravità dell’accaduto: si tratta di un’offesa diretta al Signore, compiuta nel cuore stesso della cristianità, sopra l’altare della Confessione, dove riposa il Principe degli Apostoli e dove si rinnova il sacrificio del Calvario nel Santo Sacrificio della Messa.
È come se, in un impeto diabolico, l’uomo moderno – prigioniero della sua superbia e del suo nichilismo – avesse voluto sfidare apertamente Dio, profanando ciò che di più santo esista sulla terra, per affermare la propria libertà di peccare, di bestemmiare, di degradarsi fino all’orrore.
In questo scenario di tenebre, l’intervento deciso e paterno di Papa Leone XIV appare come una luce di speranza, un atto di autentico governo spirituale e di fede viva.
Il Pontefice, “costernato e addolorato”, ha compreso la portata simbolica e teologica di questo sacrilegio e ha ordinato immediatamente un rito penitenziale riparatorio, volendo che la Basilica di San Pietro fosse purificata e restituita alla sua dignità soprannaturale.
Egli ha agito da vero Pastore, fedele alla Tradizione e al senso del sacro che, nei secoli, ha reso grande la Chiesa cattolica. Non si può non vedere, in questo gesto, la mano di un Papa che rifiuta la complicità con la mondanità e che intende richiamare tutti i fedeli alla consapevolezza che il peccato, quando tocca le cose sacre, non è solo un’offesa morale, ma una ferita inferta al Corpo Mistico di Cristo.
Ogni profanazione, ogni atto osceno compiuto in un luogo sacro, è una nuova flagellazione del Signore, una nuova coronazione di spine inflitta dal disprezzo dell’uomo contemporaneo verso il divino.
La Basilica di San Pietro, culla della fede e cuore visibile della Chiesa universale, non può e non deve essere ridotta a un museo o a un’attrazione turistica dove tutto è permesso. Essa è un santuario, un tempio consacrato alla gloria di Dio e alla preghiera dei fedeli.
L’indifferenza con cui certi episodi vengono accolti, il ritardo con cui si procede ai riti di riparazione, la riluttanza a riconoscere il carattere sacrilego di tali atti, sono segni di una crisi spirituale profonda, che tocca non solo i singoli ma anche le istituzioni ecclesiastiche.
Dove si perde il senso del sacro, dove l’Eucaristia diventa una “celebrazione comunitaria” svuotata di mistero, lì il demonio trova spazio per le sue profanazioni. Il fedele cattolico, invece, non può tacere né restare indifferente.
Egli sa che la Chiesa, ferita nel suo corpo visibile, deve essere sanata attraverso la penitenza, la preghiera e la riparazione. Il rito penitenziale ordinato da Leone XIV è dunque un atto di giustizia verso Dio, un dovere sacro per chiedere perdono e per ristabilire l’ordine violato.
È un gesto di fede che richiama il senso della presenza reale di Cristo nei luoghi consacrati e la necessità di espiare le colpe della società empia che, negando Dio, finisce per oltraggiare se stessa. Di fronte a un tale sacrilegio, il cattolico tradizionale non si limita all’indignazione, ma eleva il cuore al cielo, invocando misericordia e giustizia.
Egli comprende che la profanazione dell’altare petrino è il simbolo di un mondo che ha profanato tutto: la vita, la purezza, il matrimonio, la verità. Ma sa anche che ogni atto di riparazione, ogni Messa offerta in espiazione, ogni preghiera del “Miserere” ha un valore infinito agli occhi di Dio.
È così che la Chiesa, pur attraversata dall’onta e dall’orrore, può rinascere più santa e più forte, come il Cristo risorto dopo la Passione. Il gesto sacrilego, dunque, sia per noi un monito e un appello: a riscoprire il timore di Dio, a difendere la sacralità dei luoghi santi, a non abituarci mai al male, ma a combatterlo con la purezza della fede e con la fermezza della Tradizione cattolica, che non conosce compromessi quando si tratta della gloria di Dio e dell’onore della Sua Casa.



