di Paolo Gulisano*
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IL CONTROLLO DEL PENSIERO E DELLA COSCIENZA
Cinquecento anni fa un avvocato e intelligente uomo di cultura inglese, Tommaso Moro, pubblicava un interessantissimo libro intitolato “Utopia”.
Questa parola era uscita dalla fantasia del suo inventore. Letteralmente- dal greco- significava “un luogo che non c’è”. Che non c’è ma che potrebbe anche esserci. Un luogo ideale, migliore di quello in cui viviamo.
Con l’opera di Tommaso Moro- che anni dopo dovette affrontare il Martirio per essere rimasto fedele alla Chiesa Cattolica durante l’apostasia del Re inglese Enrico VII- nasceva un genere letterario, denominato utopico, che avrebbe dato nel corso dei secoli molte opere interessanti.
Oltre alle utopie “positive”, che immaginavano un mondo migliore, nacquero anche molte utopie negative, denominate “distopie”. Scenari da incubo per un futuro variamente immaginato nei suoi aspetti più inquietanti.
Uno dei più importanti autori di questo genere fu George Orwell, scrittore più citato che letto, e tanto meno conosciuto.
A colmare questa lacuna provvede il presente libro di Luca Fumagalli, brillante e acuto studioso della cultura britannica.
La biografia del grande scrittore inglese viene raccontata con rara maestria.
All’interno occorre segnalare alcune pietre miliari della vita e delle opere di Orwell, pseudonimo di Eric Blair, inglese nato nelle colonie, esattamente nel Bengala: la prima accadde in Spagna. Orwell era un giornalista militante nella sinistra britannica, ed era andato volontario nella guerra di Spagna, a cui parteciparono molti volontari comunisti inglesi, e lì vide gli orrori, non solo compiuti dai franchisti, ma anche dai repubblicani, che si accanivano soprattutto contro religiosi e religiose innocenti, arrivando a fare tra di essi circa settemila vittime.
Tornato quindi in Inghilterra totalmente disincantato, cercò di raccontare le storture delle ideologie, a cominciare da quella comunista, sotto forma di racconto allegorico, quasi una fiaba, sul modello di Jonathan Swift.
Nel 1945 pubblicò “La fattoria degli animali”,una satira brillante e dolorosa del comunismo sovietico. Infine, portando alle estreme conseguenze l’avversione per il totalitarismo, pubblicò “1984”.
La condanna di Orwell, di tutte le ideologie totalitarie garantì maggior fortuna a questo libro, considerato, nella letteratura utopistica del Novecento, il classico per eccellenza.
Gli elementi positivi e affascinanti di questo romanzo, però, stanno nell’esaltazione dell’individuo che si oppone al sistema, un uomo comune che si erge, con la sua piccola e banale vita, a contestare, a fermare il potere devastante del Grande Fratello.
Orwell non ha una prospettiva religiosa, bensì scettica, che parte dal desiderio di libertà dell’uomo, del piccolo uomo comune che cerca di sopravvivere al peso schiacciante del dominio, del controllo esercitato non solo a livello sociale, ma anche individuale, dal potere, rappresentato da quella espressione – il Grande Fratello- ovvero un potere impersonale, senza nome e senza volto, semplicemente l’occhio che ti scruta ovunque vai, in tutti i momenti particolari della vita.
Un antidoto a questo potere è la memoria. La memoria contro la dimenticanza, che è invece uno degli strumenti del Grande Fratello.
L’incipit di “1984”, che si apre sulla stesura di un diario, porta immediatamente in primo piano il tema della memoria, vero e proprio Leitmotiv del romanzo.
“1984” Orwell uscì nel 1948: un piccolo espediente letterario quello dell’inversione delle ultime due cifre, e la storia ci mostra uno scenario di mondo futuro dominato da un totalitarismo cupo, terribile, molto simile allo stalinismo ma, in qualche modo, anche ai fascismi, una sorta di sintesi di quelli che erano stati i totalitarismi dominanti negli anni Trenta.
“1984” si interroga continuamente, quasi ossessivamente sul tema del ricordare, indagando a fondo il suo valore, il suo rapporto con la realtà e i suoi aspetti problematici, prime fra tutti le difficoltà che comporta ogni tentativo di recuperare il passato e inserirlo in una continuità di significato che coinvolga anche il presente e il futuro.
Il super-stato di Oceania, vero e proprio protagonista del romanzo più che semplice sfondo all’azione, è un condensato degli incubi e delle paure della generazione uscita dalle due Guerre Mondiali e dall’esperienza dei grandi totalitarismi europei.
Oceania è una società che si potrebbe definire post-totalitaria, in cui il Partito dominante è davvero riuscito ad assicurarsi un potere assoluto ed eterno perché, in maniera vampiresca, ha privato il mondo della sua natura materiale e tangibile e lo ha trasformato in un intrico di narrazioni autoreferenziali, una sorta di “realtà virtuale”, costruita in laboratorio, che prende il posto di quella reale.
Questo vale innanzitutto per l’atteggiamento del governo di fronte alla storia. La storia viene totalmente riscritta, manipolata, censurata, trasformata come in un laboratorio alchemico. L’obiettivo del gruppo dominante non è semplicemente alterare la storia in modo che rifletta i suoi canoni e i suoi giudizi, ma eliminarla tout court come possibile criterio di riferimento.
Ogni totalitarismo è, prima e al di là di ogni colore politico ed ideologico, un enorme laboratorio per la trasformazione della natura umana e la creazione di una sorta di nuova specie.
È proprio per questo motivo che il lettore non può non assistere con trepidazione e angoscia alla sorte del protagonista, Winston Smith, l’ultimo uomo, da riassorbire dal corpo sociale senza volto come una cellula tumorale.
Orwell si chiede insieme a Winston Smith quale memoria sia possibile in un mondo che si è sbarazzato del tempo e della verità, se quest’ultima continui a esistere, anche laddove è calpestata e negata, o se, di fronte a un potere che si arroga il diritto di affermare che due più due fa cinque, la risposta non possa davvero soltanto essere “completo silenzio”.
L’attacco condotto al tempo da parte dei dominatori di Oceania si rivolge innanzitutto contro la memoria storica. La storiografia moderna, pur ammettendo che ogni cronaca contiene un certo grado di interpretazione, riconosce l’esistenza di una base fattuale su cui appoggiarsi.
In Oceania, invece, tutto è scrittura e riscrittura, codifica e ri-codifica. Si lavora anche sul linguaggio, attraverso la creazione di una “neo-lingua”: alcuni termini non devono essere più usati, alcuni significati vengono completamente sconvolti.
Come in tutte le utopie, anche in quest’opera letteraria c’è un po’ di preveggenza. Orwell sembra aver profetizzato l’odierna ossessione per il “politicamente corretto” nel linguaggio, che porta spesso a esiti grotteschi.
L’obiettivo del Potere è, in ultima analisi, il completo controllo del pensiero e della coscienza. L’obiettivo è giungere ad un pensiero unico. E se uno non si adegua, scattano le sanzioni per quello che viene definito psicoreato. La colpa di pensare con la propria testa, di usare la propria coscienza anziché quella immateriale, collettiva.
La coercizione usata dalla dittatura è subdola, apparentemente non violenta. Non è la brutale violenza del Nazismo e dello Stalinismo, ma non è meno efficace nel distruggere l’uomo.
Il dipartimento del “Ministero della Verità” in cui lavora Winston Smith si occupa di operazioni di “rettifica”, su testi, documenti e perfino immagini, come le fotografie. Un dirigente del partito caduto in disgrazia può addirittura “scomparire”, vaporizzare, come viene propriamente detto, da tutte le foto in cui sia stato ritratto. Il Partito non si limita semplicemente a “correggere” previsioni sbagliate, ad esempio sulla produttività, né a presentare gli eventi passati in una luce favorevole a sé.
Nella visione di Orwell, falsificazioni come queste sono soltanto l’inizio. L’obiettivo reale è la destabilizzazione del senso storico, la distruzione di ogni certezza e definitività riguardo agli eventi: il governo di Oceania non desidera affatto affermare un proprio punto di vista sulla storia a svantaggio di tutti gli altri, quanto piuttosto estirpare alla radice l’idea che esista una storia.
“Chi controlla il passato controlla il futuro, e chi controlla il presente controlla il passato”, recita uno degli slogan del Partito, che è anche una delle più celebri frasi del libro. Orwell, in fondo, aveva immaginato e descritto lo scenario attuale della globalizzazione, di un pensiero unico dove non si lascia spazio né parola o significatività a chi non si adegua a questo pensiero, a questo dettame apparentemente buono, umanitario e tollerante, in realtà profondamente intollerante. Un mondo che ha rifiutato conoscenza, bellezza e verità, e soprattutto ha rifiutato Dio. Vale la pena andare a riscoprire la vita e tutta l’opera di questo profeta del secolo scorso, amaro ma lucido.

* Prefazione al libro di Luca Fumagalli “George Orwell – L’arte di uno scrittore politico“



