Quell’ambiguo gioco a cavallo fra politica e spionaggio

Quell’ambiguo gioco a cavallo fra politica e spionaggio

STUDIOSO DOCUMENTA FLUSSO ININTERROTTO DI FONDI AL PRINCIPALE PARTITO DELLA SINISTRA ITALIANA

Di Andrea Rossi

Giacomo Pacini, ricercatore e saggista, è fra i pochi che hanno esplorato il complesso mondo dei servizi segreti del nostro paese in modo non ideologico, ma scientifico e documentato.

Nelle sue ricerche ha avuto modo di approfondire argomenti poco esplorati dalla storiografia ufficiale, come le reti clandestine create all’interno del mondo cattolico per proteggere le istituzioni democratiche (e religiose) in caso di insurrezione da parte delle forze marxiste in Italia (“Le altre gladio”, Einaudi, 2014).

Il suo ultimo lavoro “La spia intoccabile” (Einaudi, 2021) è il primo studio organico dedicato al prefetto Federico Umberto d’Amato, che per decenni fu il “dominus” dell’Ufficio Affari Riservati (in breve UAR) del ministero dell’Interno, figura sino a oggi praticamente sconosciuta al grande pubblico, ma che invece ebbe un ruolo centrale nel creare e sviluppare i servizi segreti civili del nostro paese; d’Amato fu elemento al centro di molti dei grandi misteri italiani, dal terrorismo nero, alla loggia massonica P2 di Licio Gelli, fino al quasi sconosciuto “club di Berna” che dagli anni ’70 fu il punto di incontro dei servizi segreti civili di tutta l’Europa occidentale.

Il volume, corredato da una raccolta di documenti estesa e imponente, ha ricevuto un consenso unanime dalla stampa e dai media legati alla sinistra italiana, i quali però hanno lodato solo una parte degli eventi narrati da Pacini, trascurando invece quelli più scomodi, altrettanto ben illustrati dallo storico grossetano.

Dallo studio emerge infatti come lo UAR avesse informazioni precise sul flusso ininterrotto di fondi diretti dall’Unione Sovietica al Partito comunista italiano fino dagli anni ‘50; conosceva perfettamente chi curava i bilanci e le “percentuali” dovute al PCI per tutte le transazioni e gli investimenti finanziari e industriali fra l’Italia e l’Urss; i vertici del partito della falce e martello erano schedati e monitorati in modo continuo grazie soprattutto ad una selezionata rete di “compagni” a libro paga del servizio, i quali offrivano precise informazioni sull’evoluzione delle strutture clandestine comuniste che passarono dalle velleità insurrezionali del 1948 a un ben organizzato “servizio di sicurezza” che poteva, in caso di golpe, proteggere e fare espatriare i vertici comunisti, e collegarsi con le centrali straniere del patto di Varsavia tramite stazioni radio e telefoniche protette e difficilmente individuabili.

Lo UAR, in breve, tutto conosceva del rapporto, costante e ininterrotto, fra l’apparato “coperto” del PCI e i servizi segreti sovietici; i vertici del partito comunista, da Luigi Longo a Enrico Berlinguer, “sapevano che D’Amato sapeva” e cercarono quindi un modus vivendi (spesso opaco) con “la spia intoccabile”, il quale, non casualmente, mai venne citato nelle virulente polemiche scatenate dalla stampa di sinistra contro i nostri servizi segreti durante gli anni ‘70.

Pacini, nel suo lavoro, fa finalmente luce su questo ambiguo gioco a cavallo fra politica e spionaggio, dimostrando come, durante la guerra fredda, nessuno fosse al di sopra di ogni sospetto, e ognuno avesse “scheletri nell’armadio”, spesso assai ingombranti, da nascondere all’opinione pubblica italiana.

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