Shemà. Commento al Vangelo del 23 aprile della teologa Giuliva Di Berardino

Shemà (in ebraico “Ascolta”), un commento al Vangelo del Giorno di Giuliva Di Berardino.

Anche a noi, uomini e donne del terzo millennio, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “Shemà”. Ascoltiamolo!

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IL COMMENTO TESTUALE

IL VANGELO DEL GIORNO: Gv 6, 52-59

venerdì 23 Aprile 2021

In questo venerdì della terza settimana del tempo di Pasqua, continuiamo a meditare un brano tratto dal sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni, che riguarda quindi il “discorso sul pane di vita”. La liturgia ci presenta il tema del pane della vita in questo tempo di Pasqua, perché, come abbiamo avuto modo di considerare in questi giorni, già dall’antichità, la Pasqua di Gesù è stata celebrata come memoriale nella liturgia eucaristica e da sempre la presenza del Risorto, nel suo corpo glorioso, viene celebrata come pane spezzato e condiviso tra i credenti, riuniti nella comunione di carità che è il dono più prezioso del Risorto.

Il testo di oggi approfondisce l’affermazione tanto profonda, quanto scandalosa di ieri “il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Questa affermazione genera la discussione con la quale si apre il testo, una discussione che, come ci accorgiamo dalle parole di Gesù, si fa sempre più incomprensibile per i dottori della legge. Ciò che risulta sempre meno accessibile alla comprensione degli ascoltatori di Gesù è la concretezza del linguaggio di Gesù, oltre alle sue azioni. Rispetto alla realtà della salvezza e della vita eterna, infatti, finché Gesù parla della salvezza come pane, non costituisce un grande problema, perché la Scrittura sostiene questa comparazione attraverso il rimando all’episodio della manna (Es.16). Il problema esiste invece quando Gesù parla di pane della vita, di pane vivo, talmente vivo che, come abbiamo visto ieri, viene messo in relazione alla carne, cioè a quella realtà del corpo che vive la condizione fragile e limitata, propria dell’essere umano. Se infatti questo pane vivo è disceso dal cielo, non dovrebbe essere limitato e soggetto alla fragilità umana, come lo è un corpo mortale. Questo è il vero problema delle persone che ascoltavano Gesù.

Le parole che oggi ascoltiamo, poi, sono ancora più assurde per i suoi ascoltatori, perché in questo testo Gesù, come se non bastasse, introduce un altro elemento che viene messo in correlazione al pane vivo, disceso dal cielo, un elemento che è fisicamente, concretamente, legato alla carne, che è il sangue. Nel testo, l’espressione mangiare la carne e bere il sangue, infatti, si ripete per ben tre volte, quindi, stando al testo, questa affermazione sembra assumere una grande importanza. Il punto, però, è che, nella Torah, precisamente nel Libro del Levitico (Lv 17,10-11), è scritto: “Ogni uomo, figlio di Israele o straniero, che mangi qualsiasi tipo di sangue, contro di lui, che ha mangiato il sangue, io volgerò il mio volto e lo eliminerò dal suo popolo. Poiché la vita (nephesh) della carne è nel sangue”. Bere il sangue è quindi un’azione assolutamente vietata dalla Legge di Dio, e anche la carne, che, secondo la tradizione giudaica, l’essere umano avrebbe cominciato a mangiare solo dopo il diluvio universale, non poteva essere mangiata col sangue, come è scritto nel Libro della Genesi (Gen 9,4) “non mangerete la carne con la sua vita (nephesh), cioè con il suo sangue”.
Il sangue rappresentava allora il segno della vita e, per rispetto alla vita, non si poteva mangiare la carne e bere il sangue neppure degli animali. Ecco allora che comprendiamo perché gli ascoltatori di Gesù rimangono tanto scandalizzati dalle parole proferite dal Maestro.

Quello che però voleva dire Gesù, utilizzando, in effetti, un linguaggio così concreto, definito dai suoi ascoltatori come “duro” da comprendere (Gv 6,60), è che Dio ha voluto assumere la natura umana perché potessimo sperimentare la tenerezza del suo amore, amore che dà vita, che può farci risorgere da ogni morte dell’anima. E questa tenerezza di Dio noi, grazie a Cristo Risorto e vivo in mezzo a noi come pane della vita, possiamo viverla nella nostra carne, nella nostra umanità, anche lì dove la nostra carne è ferita, fragile, limitata, sofferente, fallita, mortale. Gesù Cristo è venuto a salvare la nostra carne con la sua Pasqua che, per amore e nella comunione d’amore, ci mette tutti in comunione con Dio Padre, ci fa partecipare al suo amore eterno, per farci vivere in eterno, nell’amore. Eucaristia è quindi anche la grande grazia che ci è concessa, per fede, di abitare nell’amore di Dio con tutto quello che siamo, nella nostra carne, nella nostra vita. Lasciamoci salvare da Cristo, cerchiamo e accogliamo questa comunione d’amore che ancora oggi il Signore viene a donarci. Buona giornata!

Gv 6, 52-59

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

IL COMMENTO IN VIDEOhttps://www.youtube.com/channel/UCE_5qoPuQY7HPFA-gS9ad1g/videos

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