L’instabile regione del Sahel è divenuta un rifugio per i terroristi islamici
QUEL RUOLO DEI CATTOLICI NEL CAMPO DELLA NEGOZIAZIONE E DELLA COSTRUZIONE DELLA PACE
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Di Miriam Diez-Bosch e Oscar Mateos*
In diversi Paesi la Chiesa cattolica ha svolto un importante ruolo sulla scena politica, sia da un punto di vista diplomatico che pastorale. In molte nazioni, i vescovi sono intervenuti pubblicamente, hanno rilasciato dichiarazioni ai media, hanno chiesto ai governi giusti processi elettorali, hanno criticato pubblicamente la corruzione e hanno denunciato le violenze commesse dalle forze di sicurezza, dai manifestanti e dai gruppi armati estremisti.
L’aspetto maggiormente degno di nota è rappresentato tuttavia dal fatto che in alcuni Paesi la Chiesa ha svolto un ruolo attivo nel monitoraggio delle elezioni, nella mediazione e nella risoluzione dei conflitti.
In Camerun, nella Repubblica Democratica del Congo e in Burundi, la Chiesa cattolica ha sostenuto i processi democratici schierando migliaia di osservatori per prevenire intimidazioni e brogli elettorali. Nei tre Paesi appena citati, la Chiesa ha riscontrato irregolarità, e nella Repubblica Democratica del Congo ha persino messo in discussione i risultati elettorali. Sebbene il leader dell’opposizione sia stato infine dichiarato vincitore, l’episcopato congolese ha affermato che il processo elettorale era stato inficiato da frodi e che il vincitore doveva essere il candidato Martin Fayulu e non Félix Tshisekedi.
Il ruolo più attivo che la Chiesa cattolica ha giocato a livello politico è stato l’incoraggiamento, il sostegno e la mediazione nei colloqui di pace. Durante la guerra civile del Sud Sudan del 2013-2020, il Consiglio delle Chiese sudanesi ha costantemente invitato al perdono e alla riconciliazione, servendo al contempo come centro di coordinamento delle iniziative di costruzione della pace. La comunità cattolica di Sant’Egidio ha mediato con successo accordi di cessate il fuoco in due occasioni. Infine, nell’aprile 2019, Papa Francesco ha invitato nella sua residenza i leaders in lotta nel Sud Sudan per un ritiro di due giorni volto a favorire il dialogo tra le parti. L’incontro, che ha fatto notizia a livello globale soprattutto per una fotografia del Papa che si inginocchia per baciare i piedi del presidente Kiir, ha fornito un importante impulso per riavviare e concludere con successo il processo di pace. Riconoscendo il ruolo positivo della religione nel campo della negoziazione e della costruzione della pace, entrambe le parti in conflitto hanno ringraziato la Chiesa locale e il Papa per il loro coinvolgimento.
Anche in Camerun, la Chiesa cattolica ha continuato a svolgere un significativo ruolo di mediazione nella guerra civile scoppiata nel 2016 tra la comunità francofona e quella anglofona. I colloqui di pace che hanno avuto luogo nel luglio 2020 si sono svolti nella casa dell’arcivescovo
di Yaoundé. Ad oggi, secondo Human Rights Watch, le violenze hanno causato la morte di oltre 3.500 persone. Le ostilità non sono state ancora risolte, ma l’episcopato continua a condannare le violenze e ad invocare un dialogo tra le parti.
Nonostante l’alto numero di brutali violenze riportate in tutta la regione, vi sono Paesi in cui si notano buone relazioni interreligiose e in cui si compiono sforzi per promuovere la tolleranza religiosa. In Burundi, ad esempio, la Chiesa cattolica ha invitato, ospitandoli, 47 leaders religiosi provenienti da diversi contesti confessionali a partecipare a un seminario per rafforzare la capacità di tutte le comunità religiose impegnate nella risoluzione dei conflitti e nella coesistenza pacifica. Un altro esempio di coesistenza pacifica si è osservato in Kenya dove, nonostante la diffusa presenza di jihadisti, i leaders cattolici hanno raccolto donazioni per i musulmani durante il periodo natalizio e i leaders musulmani hanno fatto lo stesso per i cristiani durante celebrazioni
religiose come l’Eid.
Come conseguenza delle norme di distanziamento sociale imposte per contenere la diffusione del virus COVID-19, nella maggior parte dei Paesi della regione i luoghi di culto sono rimasti chiusi per diversi mesi, anche durante festività importanti quali la Settimana Santa per i cristiani e il Ramadan per i musulmani. In alcuni Paesi, la chiusura dei luoghi di culto è stata accolta da proteste. Nelle Comore e in Niger, i fedeli si sono riuniti nelle moschee per protestare contro la chiusura, soprattutto perché fino a quel momento nelle due nazioni non erano stati segnalati contagi.
In Mozambico e Gabon, sono sorte tensioni quando il governo ha prolungato la chiusura dei luoghi di culto nonostante la riapertura dei mercati, delle scuole e degli alberghi. In Liberia, Guinea Bissau e Zambia i leaders religiosi hanno deciso di continuare a tenere chiuse chiese e moschee, nonostante il permesso di riaprire da parte del governo. In Mali e Senegal le moschee hanno riaperto per le celebrazioni del Ramadan, ma la leadership della Chiesa ha deciso di non riaprire i luoghi di culto a causa dell’alto numero di casi di COVID-19 registrati.
I gruppi jihadisti hanno ulteriormente consolidato la loro presenza nel continente africano, con l’instabile regione del Sahel che è divenuta un rifugio per lo Stato islamico e i gruppi armati affiliati ad Al-Qaeda. L’impatto di questa presenza fondamentalista è reso più complesso dalle violenze intercomunitarie e dai conflitti etno-politici, con conseguenze preoccupanti per i gruppi religiosi.
Sebbene in alcuni casi la religione non rappresenti la ragione principale alla base delle violenze, l’affiliazione religiosa dei credenti è spesso utilizzata dalle parti in lotta per identificarli in quanto appartenenti a un particolare gruppo etnico, il che li rende particolarmente vulnerabili ad eventuali attacchi.
Le missioni militari multinazionali schierate in Africa occidentale non hanno finora avuto successo nella lotta contro Boko Haram, che ha giurato fedeltà allo Stato Islamico nel 2015. I jihadisti si sono assicurati e hanno stabilito una presenza anche in altre aree: lo Stato Islamico ha stabilito sei cosiddette “province del califfato” in Africa e negli ultimi due anni ha intensificato i propri attacchi nella regione settentrionale del Mozambico. Allo stesso modo, in Somalia Al-Shabaab continua a compiere violenti attacchi e resta da vedere quanto seriamente le circostanze si deterioreranno in seguito alla fine della missione AMISOM nel dicembre 2020.
Infine, uno sviluppo positivo si è verificato durante il periodo in esame con il cambio di regime in Sudan. In seguito alla caduta di Omar Al-Bashir, il governo di transizione ha compiuto dei passi per cercare di promuovere la coesistenza religiosa, in netto contrasto con il precedente regime islamista, inaugurando così una nuova era per la libertà religiosa nel Paese. Uno di questi passi
è rappresentato dalle scuse pubbliche del ministro degli Affari religiosi e delle dotazioni, Nasredin Mufreh, ai cristiani sudanesi «per l’oppressione e i danni inflitti ai vostri corpi, la distruzione dei vostri templi, il furto delle vostre proprietà, l’ingiusto arresto e la persecuzione dei
vostri seguaci e la confisca degli edifici della Chiesa».
* Estratto da: Aiuto alla Chiesa che Soffre Internazionale, Libertà religiosa nel
mondo 2021, aprile 2021, https://acninternational.org/religious-freedom-report/
Il Rapporto 2021 sulla libertà religiosa nel mondo è un prezioso studio pubblicato dalla Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. Quella del 2021 è la quindicesima edizione del Rapporto, prodotto ogni due anni e pubblicato in inglese, francese, tedesco, italiano, portoghese e spagnolo.