Ansia da clima? No, grazie!

Ansia da clima? No, grazie!

ARRIVA L’ECOANSIA CHE SI CONCRETIZZA SOPRATTUTTO IN DEPRESSIONE, INCUBI E ATTACCHI DI PANICO

Di Gianmaria Spagnoletti

Una nuova preoccupazione si fa strada tra i giovanissimi, aggiungendosi a quelle normali per la loro età: l’ecoansia, che si concretizza soprattutto in depressione, incubi e attacchi di panico. Non di rado, i ragazzini che la sperimentano finiscono per diventare precoci pazienti degli psicoterapeuti

Evidentemente il martellamento mediatico dai toni apocalittici sui cambiamenti climatici ha sortito questo ovvio effetto sulle fasce di popolazione più sensibili, senza contare che da decenni i “disaster movies” sono il “piatto forte” di Hollywood. Più recentemente, sono le manifestazioni dei “Fridays for Future” ad aver contribuito a trasformare l’“età della spensieratezza” nell’”età dell’eco-ansia”. Ma sarà poi vero che siamo noi (da occidentali e da umani) i maggiori responsabili del riscaldamento globale? La versione ufficiale è che siano soprattutto le attività industriali dell’Occidente a contribuire. Tuttavia è sempre più difficile far notare l’impatto globale di diverse economie emergenti (specie in Estremo Oriente) che non si danno minimamente pensiero a proposito di emissioni, scarichi industriali e plastica riversata negli oceani. Né tantomeno si entra mai nel merito delle “mega-navi” portacontainer, superinquinanti eppure necessarie per importare beni di qualunque tipo, la cui produzione è ormai delocalizzata dall’altra parte del mondo. Ma se da una parte, le industrie sono responsabili della dispersione di rifiuti tossici nell’ambiente (più che di un “malcostume”, si tratta di una pratica realmente omicida), dall’altra è probabile che la fiducia dei manifestanti nelle dimostrazioni di piazza e nei grandi proclami sia mal riposta. Per motivare ciò, lasciamo parlare in merito un grande nome della Fisica: Antonino Zichichi, professore emerito di Fisica presso l’Università di Bologna.

«Anzitutto è bene precisare che cambiamento climatico e inquinamento sono due cose completamente diverse», esordisce il fisico siciliano. «Ma il riscaldamento globale è tutt’altra cosa, e noi c’entriamo poco. Il motore meteorologico dipende dal Sole. Le attività umane incidono al livello del 5%: il 95% dipende da fenomeni naturali. Attribuire alle attività umane il surriscaldamento globale è senza fondamento scientifico. Sfido i climatologi a darmi la Matematica usata per fare una previsione del genere. Il cambiamento climatico è dominato da fenomeni naturali». Uno di questi è l’attività solare, che non è costante ma fluttua secondo cicli che vengono studiati seguendo la comparsa delle macchie solari sulla superficie dell’astro. Un altro è l’attività vulcanica. Basti pensare che una serie di eruzioni all’inizio dell’800, da parte del vulcano Soufrière (Caraibi) nel 1812, del Monte Mayon (Filippine) nel 1814 e del vulcano Tambora (in Indonesia) nel 1815, rilasciarono enormi quantità di cenere e anidride carbonica, tali da portare a un raffreddamento generale del globo, che causò la perdita dei raccolti nel nord Europa e in Canada nel 1816, poi passato alla storia come “l’anno senza estate” o “l’anno della povertà”. Addirittura, si imputa a questi cataclismi la sconfitta di Napoleone a Waterloo, il 18 giugno 1815: infatti, forti acquazzoni resero il campo di battaglia un pantano dove i movimenti della cavalleria francese erano intralciati dal fango e i colpi di artiglieria meno efficaci (in teoria, le palle di cannone dovevano rimbalzare sul terreno per falciare le file nemiche), contribuendo alla sconfitta dell’esercito di Napoleone Bonaparte.

Inoltre, in occasione del convegno di Fisica svoltosi nella “sua” Erice nel 2012, Zichichi precisò: «Per capire gli spostamenti di un elettrone servono delle equazioni non lineari. Possibile che sul clima, che è complessissimo, circolino così tanti modelli predittivi approssimativi, basati su una matematica elementare, e li si consideri attendibili? […] Il motore meteorologico è in gran parte regolato dalla CO2 prodotta dalla natura, quella CO2 che nutre le piante ed evita che la terra sia un luogo gelido e inospitale, quella prodotta dagli esseri umani è una minima parte. Eppure molti scienziati dicono che è quella minima parte a produrre gravi fenomeni perturbativi. Ma ogni volta che chiedo loro di esporre dei modelli matematici adeguati che sostengano la teoria (e comunque oltre ai modelli servirebbero degli esperimenti) non sono in grado di farlo. Serve un gruppo di matematici che controlli i modelli esistenti e dia dei responsi di attendibilità, spostano miliardi di dollari, magari deviandoli da emergenze vere». 

Zichichi è anche uno dei 16 firmatari dell’articolo pubblicato dal “Wall Street Journal” intitolato «No need to panic about global warming», in cui si afferma che «non c’è nessun argomento scientifico incontrovertibile per una drastica decarbonizzazione dell’economia mondiale». Uno di questi, il fisico Ivan Giaever, si dimise dalla American Physical Society (APS) dopo aver contestato che «è possibile discutere se la massa del protone cambi, ma l’evidenza del riscaldamento globale è trattata come incontrovertibile”, cioè come una sorta di “verbo divino”. Oltretutto, la lettera afferma che gli scienziati che nutrono dubbi sulla “narrazione” del riscaldamento globale siano molti di più dei firmatari, ma che non si facciano avanti per paura di vedere le loro carriere rovinate. È il caso del Dr. Chris de Freitas, direttore della rivista “Climate Research” che nel 2003 pubblicò un articolo peer-reviewed sostenendo la tesi che il recente riscaldamento non fosse una novità nella storia del pianeta Terra. In effetti, ricordando il periodo del Medioevo, in cui si coltivava la vite persino in Inghilterra e la Groenlandia (dove oggi sono presenti ghiacciai) teneva fede al suo nome di “Terra Verde”, verrebbe da pensare che sia una ipotesi giusta, benché “politicamente scorretta”. Risultato: in seguito alla forte protesta di scienziati “pro-riscaldamento globale”, de Freitas perse sia il posto di direttore della rivista che quello di insegnante universitario. Ma perché l’argomento del “global warming” scalda così tanto gli animi, al punto che si parla persino di una “guerra civile” tra climatologi? Rifacendosi al principio del “Cui prodest?”, l’articolo del WSJ afferma: «Segui i soldi». Vale a dire: l’allarmismo climatico porta soldi nelle tasche di molti, dà accesso a fondi governativi per le ricerche accademiche e offre una ragione per espandere le burocrazie statali. Inoltre, serve ai governi come pretesto per alzare le tasse, e dare sussidi statali a quelle aziende che decidono di seguire il sistema politico, oltre a essere una “calamita” di succose donazioni a fondazioni che promettono di “salvare il pianeta”. Non per nulla, nel prossimo futuro si prospetta un esorbitante aumento delle bollette del 40% nel nome della “transizione ecologica”. 

Dalle stesse premesse parte la “spinta” alle auto elettriche, presentato come “green”, ma fondato sulla bolla dei metalli, in primis litio e cobalto, estratti principalmente da miniere in Africa dove non di rado lavorano dei bambini. Il tutto celato dietro una giovanissima ragazza usata come “sponsor”, che, secondo Zichichi, ha sicuramente il merito di aver sensibilizzato l’opinione pubblica, ma che «non dovrebbe interrompere gli studi». La climatologia, infatti, è fatta di calcoli e di modelli matematici estremamente complessi. Inutile invece sbattere in prima pagina frasi come “abbiamo 10 anni per salvare il pianeta” (sono passati da un bel pezzo, ormai!), perché l’ansia da cataclisma, o certe parole d’ordine come ”emergenza” e “giustizia climatica”, (in definitiva, sempre maschere dell’atavica, paralizzante paura della morte) servono solo a terrorizzare molti e ad arricchire pochi. I mutamenti del clima sono cose fuori dal nostro controllo: mettiamoci il cuore in pace e lasciamo fare il resto a Madre Natura.  

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