La storia (e la credibilità) del testo del Nuovo Testamento

La storia (e la credibilità) del testo del Nuovo Testamento

di Sara Deodati

ALLA SCUOLA DI UN SACERDOTE «CHE È VISSUTO INSEGNANDO E RICERCANDO LA PAROLA DI DIO» COME DON MICHELANGELO TÁBET (1941-2020), RIPERCORRIAMO GLI STUDI CHE DOCUMENTANO COME NESSUN ALTRO TESTO GRECO ANTICO SIA STATO TRAMANDATO COSÌ RICCAMENTE E CREDIBILMENTE COME IL NUOVO TESTAMENTO

Nel giorno in cui un sacerdote «che è vissuto insegnando e ricercando la Parola di Dio» come Don Michelangelo Tábet (così l’ha ricordato al momento della sua morte per Covid-19 il Rettore della Pontificia Università della Santa Croce prof. Luis Navarro) avrebbe festeggiato l’ottantesimo compleanno, attingo al suo classico Bibbia e storia della salvezza (Edusc, Roma 2007), per offrire una sintetica ricostruzione dei testi (o “testimoni”) che accreditano la piena storicità di tutti i libri del Nuovo Testamento (d’ora in poi NT).

Con questa espressione, come noto, la Dottrina cattolica intende la raccolta di libri divinamente ispirati e canonici che ci parlano di Gesù, Messia e Figlio di Dio, redentore e salvatore di tutti gli uomini, il quale completa e porta a compimento la Rivelazione e le realtà dell’Antico Testamento (AT).

I ventisette libri che formano il NT (Nuovo Patto) sono stati scritti nella seconda metà del I secolo, tra il 50 e il 100 d.C. Normalmente si suddividono in tre gruppi:

1) libri storici: i quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli;

2) libri didattici: le Lettere delle quali quattordici di san Paolo e sette di altri apostoli, denominate “Cattoliche”;

3) il libro profetico: l’Apocalisse di san Giovanni evangelista.

Come succede anche per altri testi dell’antichità, non possediamo manoscritti originali di nessun libro del NT; tutti i libri furono scritti in lingua greca che, ampiamente diffusa in Oriente durante l’epoca ellenistica, per il suo uso comune ricevette il nome di Koinè (comune, ordinario).

Di “testimoni”, o manoscritti, o tipi testuali del NT, esistono tre categorie:

  • i manoscritti greci,
  • le antiche versioni in altre lingue e, infine,
  • le citazioni fatte dagli scrittori ecclesiastici o dai Padri della Chiesa (II-V sec.).

La prima categoria si definisce “testimone diretto”, in quanto riproduce il testo greco così come venne scritto, la seconda e la terza si definiscono “testimoni indiretti”, poiché sono traduzioni adattate alle lingue locali oppure dai Padri della Chiesa, che spesso hanno usato una lingua diversa dal greco, citando i passi a memoria o adattandoli per adeguarli al testo biblico più in uso nel luogo e nell’epoca del copista del manoscritto. Oltre agli apografi che sono testimoni diretti, il testo del NT è anche attestato dalle versioni e dalle citazioni degli antichi scrittori ecclesiastici, testimoni certamente indiretti. I “testimoni indiretti” sono quindi costituiti dalle antiche versioni e dalle citazioni dei Padri della Chiesa e dagli scrittori antichi, le prime molto importanti perché fatte sulla base di manoscritti vicini nel tempo al testo originale. Tali versioni divennero via via necessarie verso la fine del II sec., quando le lingue locali iniziarono ad affermarsi ed a entrare nella liturgia sostituendo il greco, idioma ufficiale della Chiesa sia in Oriente che in Occidente.

Verso la metà del II sec. scomparvero probabilmente i testimoni diretti del NT rendendosi così necessario trascrivere i testi al fine di assicurare la diffusione sia per uso privato sia per uso pubblico (liturgico, catechetico). Tale trascrizione avvenne attraverso la copiatura a mano, ad opera di scribi, su fogli di papiro o su pergamene (pelli di ovini o bovini conciate appositamente). Il papiro fu usato nei tempi più remoti, il più antico del NT è il frammento Rylands-P52 che contiene Gv 18,31-33.37-38 il quale risale al 125 d.C. circa. Il papiro fu sostituito a partire dal IV sec., dalla pergamena, più resistente, di agevole scrittura su entrambe le facciate e che consentiva perfino di essere raschiata e riscritta (palinsesto). Proprio per la loro fragilità, i papiri si sono conservati solo in ambienti estremamente asciutti (desertici) ma, comunque, in modo frammentario. La forma adottata per questi ultimi fu, soprattutto quella del rotolo (volumen), a cui si affiancò poi quella a codex, costituita da fogli piegati in quattro, a quaternioni, rilegati insieme, da cui proviene la forma attuale dei libri.

Mentre gli Ebrei mantennero, per rispetto della tradizione, la forma del rotolo per le Sacre Scritture da usare durante la liturgia, i Cristiani adottarono quella a codice che risultava più facile da usare ed era anche più economica, consentendo di sfruttare meglio il materiale impiegato. L’opera di trascrizione di cui abbiamo parlato fu svolta soprattutto da privati a vantaggio delle singole comunità locali, operando con una velocità di copiatura per la diffusione delle opere neotestamentarie, che danneggiò spesso l’accuratezza dell’esecuzione. Quando nel IV sec. il Cristianesimo fu ufficialmente riconosciuto dall’Impero Romano, divenne usuale ricorrere agli scriptoria con i quali si preparavano manoscritti e si copiavano testi. Anche in questi casi però fu privilegiata la quantità di riproduzioni piuttosto che la qualità, arrivando a dettare a più scribi contemporaneamente che, vuoi per disattenzione, vuoi per errori di ricezione o per l’evoluzione della pronuncia del greco (che ovviamente variava da lettore a lettore), incorsero in non pochi problemi di trascrizione.

I manoscritti greci redatti in caratteri maiuscoli (dal latino maiusculus = un po’ più grande) e molti di quelli in caratteri minuscoli utilizzavano un particolare sistema di scrittura detto scriptio continua, che non frapponeva spazi tra una parola e l’altra o, al massimo, ne lasciava di ridotti. Ciò ha provocato problemi di suddivisione dei vocaboli e l’insorgere di letture diverse.

I manoscritti greci più antichi vennero scritti con i caratteri maiuscoli e solo a partire dal IX sec. d.C., i copisti si spostarono verso la forma di scrittura minuscola. Ciò consentì loro un risparmio di tempo e di spazio e, quindi, un minor consumo di materiale scrittorio, con relativa riduzione dei prezzi (la redazione di un testo veniva pagata a riga), il che agevolò la diffusione del libro anche nei ceti meno abbienti.

In base alla forma del supporto, i manoscritti possono identificarsi in:

rotoli: il testo è disposto a colonne nel lato interno del rotolo perché, sebbene siano conservati esempi di papiri scritti su entrambi i lati, quello esterno era sempre a contatto con le mani del lettore. Per poter leggere il rotolo, occorreva utilizzare entrambe le mani, una per svolgere la parte interna ancora da leggere, l’altra per riavvolgere quella esterna già letta;

codici: cioè gli attuali libri costituiti da singoli fogli puntati su un fianco e scritti in entrambi i versi. Tale sistema soppiantò nel V secolo i rotoli, risultando il codice più maneggevole e facile da consultare (si legge senza bisogno di utilizzare le mani, resta aperto da solo); i riferimenti all’interno di ciascun codice sono fatti in modo semplice numerando le pagine, permettendo di contenere più testo rispetto al rotolo, perché scritto su entrambi i lati.

L’abbondanza dei manoscritti giunti fino a noi (oltre 5000) proviene dai testi autografi scritti dagli scrittori ispirati. Fra tali manoscritti è presente una notevole quantità di varianti dovuta spesso ad errori involontari dei copisti (di scrittura, di udito o di memoria) ed altre dovute a varianti introdotte intenzionalmente dagli scribi al fine di correggere o migliorare i testi, apportando modificazioni per motivi di fede. Esaminando tutti i testimoni diretti ed indiretti, la critica moderna ha precisato quattro “recensioni” dette “famiglie o tipi testuali”, indicate con le sigle H, D, K e C che corrispondono al Testo alessandrino, occidentale, bizantino e cesariense. Verso il II sec. in Egitto il testo greco del NT che veniva trasmesso in varie copie fu sottoposto a due revisioni diverse, una con l’intenzione di rendere il testo più simile agli autografi originali (recensione H) e l’altra per renderlo più intelligibile e chiaro (recensione D). Nel III sec. sempre in Egitto si tentò di fondere le due recensioni precedenti e sorse la recensione C che però ebbe poco successo. Solo nel IV sec. ad Antiochia fu elaborato l’esemplare di una quarta recensione (K) consistente nel rendere più elegante il tipo testuale H pur non trascurando la recensione D. Anche in altre località dell’Oriente si produssero e si diffusero manoscritti che dipendevano dal codice D, il quale si diffuse fino al VI sec. Il tipo K fu il textus receptus (“testo comunemente accettato”), così denominato perché, fino al XVIII sec. su di esso si baseranno molte traduzioni.

In conclusione, possiamo affermare che, considerando il numero davvero enorme delle varianti documentate per tutto il NT, che ammontano a circa 250.000, la critica testuale neotestamentaria, differentemente da quella dei testi classici, risulta supportata da una grande abbondanza di materiale. Di conseguenza, si può ben dire che nessun altro testo greco è tramandato così riccamente e credibilmente come il Nuovo Testamento.

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