Perché abbiamo bisogno di più Djokovic, uomini liberi dalla “nuova normalità”

Perché abbiamo bisogno di più Djokovic, uomini liberi dalla “nuova normalità”

di Dalila di Dio

LE MILLE CONTRADDIZIONI DI UN MONDO NEL QUALE AL PENSIERO RAZIONALE SEMBRA ESSERSI SOSTITUITO UN FANATISMO DI STAMPO FIDEISTICO CON ADESIONE TOTALE E PRONA AI DETTAMI DEL POTERE COSTITUITO

La vicenda della partecipazione di Novak Djokovic agli Australian Open, che sta tenendo banco sulla stampa mondiale ormai da alcuni giorni, ha messo in luce, se ancora ce ne fosse bisogno, le mille contraddizioni di un mondo nel quale al pensiero razionale sembra essersi sostituito un fanatismo di stampo fideistico con adesione totale e prona ai dettami del potere costituito.

Che sia per paura, per pigrizia o per convenienza, buona parte della popolazione italiana non solo ha rinunciato a porsi domande ma ha intrapreso una lotta senza quartiere – violentissima e spietata – contro chiunque osi nutrire qualche dubbio sulla Scienza, da intendersi come tale la narrazione mainstream spacciata per realtà, anche se, sovente, in aperto contrasto con la realtà stessa.

Così, una persona che crede in un principio e per tale principio è disposta a battersi, mettendo a rischio la propria reputazione e rimettendoci, anche significativamente, dal punto di vista economico, diventa un cattivo esempio, un vile, qualcuno da isolare, punire, bandire mentre chi obbedisce supinamente per avere concesso ciò che gli appartiene per nascita – la libertà, ad esempio – assurge ad eroe e salvatore del pianeta.

Nel caso di specie, poi, l’odio del gregge pronto a mutare in branco al minimo cenno del padrone, è rivolto verso una persona che oltre ad essere non vaccinata contro il Covid – cosa ben diversa da no vax, ma questa ormai è una storia su cui ci siamo arresi – è anche talentuosa, vincente e spropositatamente ricca: così, all’odio per il no vax si è aggiunta l’invidia sociale – celata da pretesa di egual trattamento – nei confronti del campione privilegiato.

Il serbo, a dire della massa di odiatori nel nome del salvifico siero, sarebbe reo di aver preteso un trattamento diverso rispetto a tutti gli altri tennisti del circuito che hanno osservato le regole relative all’obbligo vaccinale.

Per vero, secondo quanto emerso, Djokovic si sarebbe recato in Australia perché l’organizzazione degli Australian Open avrebbe acconsentito alla sua iscrizione al torneo con una esenzione dal vaccino (pare legata ad un recente contagio del tennista) dopo il vaglio di ben due commissioni: insomma, fatti due conti sulle perdite economiche che avrebbe provocato l’assenza del numero uno al mondo, gli australiani, inizialmente granitici sull’obbligo vaccinale, sarebbero addivenuti a più miti consigli, ammettendo il serbo nel tabellone del primo torneo del grande slam del 2022.

Come sempre, pecunia non olet [Il denaro non ha odore] e anche le rigorose norme di salute pubblica cedono di fronte alla prospettiva di mancati introiti.
Peccato che all’annuncio di Djokovic della sua partecipazione agli Open, siano seguiti stracciamenti di vesti a tutti i livelli – in Italia la questione ha unito in un sol coro il seguace analfabeta del direttore Mentana e il Segretario Enrico Letta – indignatissimi per il privilegio concesso a scapito degli altri tennisti che, invece, si sono vaccinati per partecipare.

Inevitabile, quindi, il dietrofront australiano, con il tennista fermato per visto irregolare.
Qui, la prima domanda: se il vaccino è una benedizione che non comporta alcun rischio, salva da morte certa e “migliora la vita” (cit. lo scrittore Gianrico Carofiglio), quale enorme sacrificio avrebbero compiuto i colleghi di Djokovic vaccinandosi? E perché, dall’alto della loro raggiunta posizione di privilegio, dovrebbero sentirsi in qualche modo beffati da chi ha compiuto la scelta diversa e certamente penalizzante di non vaccinarsi?

C’è, poi, un’altra domanda: se tutti, per convenienza, comodità, viltà o convinta adesione osservano un obbligo, può chi considera ingiusto quell’obbligo esperire ogni mezzo a sua disposizione per non piegarsi all’ingiustizia?

Se vuole partecipare si vaccini, questa è la regola. Altrimenti, rinunci e torni a casa”: in questa risposta, che è la risposta di milioni di odiatori del web ma anche di sedicenti intellettuali e fini pensatori, è racchiuso il racconto del nostro tempo.

Un po’ come se qualcuno avesse detto a Rosa Parks “Questa è la legge, se vuoi salire su questo autobus siedi in fondo. Altrimenti, puoi sempre andare a piedi”.
Una posizione di viltà, resa totale, rinuncia a combattere, anche solo a mettere in discussione scelte e decisioni calate dall’alto, spacciata per onorevole chiamata al rispetto delle regole.

Nessuno che osi domandarsi se queste regole siano giuste, sensate, efficaci. Tutti pronti a mettere all’indice, e non solo, chiunque provi a vagliare la bontà delle decisioni di chi comanda.
Che sia dettata da ignavia, paura o semplice disinteresse, una simile resa incondizionata è incompatibile con qualunque tipo di aspettativa di miglioramento della società, di crescita etica e morale di un popolo e dei singoli che lo compongono.

È qualcosa di triste e che addolora profondamente.
Perché viviamo in un mondo in cui è diventato inaccettabilmente più facile scagliarsi contro chi si batte con convinzione, e a proprio rischio e pericolo, per affermare un principio che ribellarsi a governi che hanno apertamente mentito su questioni fondamentali, che continuano a cambiare le regole in barba a qualunque affidamento dei cittadini, che seguitano, mai paghi, a comprimere la libertà dei cittadini certificando, con ogni nuova restrizione, il fallimento di quelle precedenti. Senza che alcuno si scusi, senza che alcuno mostri contrizione per il fallimento sotto gli occhi di tutti, per l’irrazionalità di talune scelte e per il caos che esse provocano nella vita di milioni di persone.

Il nemico non è Mario Draghi – l’uomo dai pieni poteri – che offre, senza alcuna evidenza scientifica, ai vaccinati “la garanzia di trovarsi tra persone che non contagiano” mentendo e causando un disastro tra gli inoculati: il nemico è un tennista che si rivolge a un giudice, dall’altra parte del globo terracqueo, per ottenere ciò che per lui è giusto.
Nessuno reclama punizioni per il sottosegretario Sileri che, poche settimane fa, in un’aula del Parlamento, bollava come “falsità” il fatto che i vaccinati potessero contagiare, sostenendo spudoratamente il falso: è per Djokovic trattenuto dalle autorità e piantonato dalla Polizia che si esulta e ci si compiace.

È lui il cattivo esempio, il nemico, il privilegiato, il prototipo della persona da combattere. E da abbattere.
Perché è più facile vomitare odio contro un nemico distante e irraggiungibile che ammettere di essersi sbagliati nell’aver riposto una fede cieca nei migliori e di aver fondato su quella fede spaventose campagne di odio contro chi, semplicemente, osava dubitare.

La verità è che, si condividano o meno le posizioni di Novak Djokovic – e noi le condividiamo pienamente – l’unica cosa da fare sarebbe riconoscergli l’onore che merita chiunque non si pieghi a ciò che è per lui più conveniente ma rischi per amore di ciò che ritiene giusto.
È questo che ci si dovrebbe aspettare da un uomo.
Che, con ogni mezzo a sua disposizione, combatta per ciò in cui crede e per cambiare ciò che per lui è sbagliato assumendosi il rischio delle proprie decisioni.
Troppo, forse, per l’animale che popola la “nuova normalità”.

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