Una casa costruita sulla roccia, per difendersi dalle derive della post-modernità…

Una casa costruita sulla roccia, per difendersi dalle derive della post-modernità…

di Giuseppe Brienza

NELLA PASTORALE È COME PER LA FEDE: «CHI ASCOLTA E NON METTE IN PRATICA, È SIMILE A UN UOMO CHE HA COSTRUITO UNA CASA SULLA SABBIA, SENZA FONDAMENTA. IL FIUME LA INVESTÌ E SUBITO CROLLÒ; E LA ROVINA DI QUELLA CASA FU GRANDE» (LUCA 6,49)

La casa costruita sulla sabbia di cui parla il Vangelo di Luca (6,49) è la figura più efficace per esprimere la situazione dei cristiani che vivono nella post-modernità, ovvero individui immersi in un contesto nel quale la fede è diventata culturalmente impossibile.

È questa la tesi del prof. Álvaro Granados, sacerdote della Prelatura personale dell’Opus Dei e docente di Teologia pastorale alla Pontificia Università della Santa Croce che, ieri sera a Roma, ha presentato davanti a circa 300 persone il suo ultimo libro: La casa costruita sulla sabbia. Manuale di teologia pastorale (Edizioni Santa Croce, Roma 2022, pp. 392, € 35).

L’accoglienza della parrocchia di San Josemaría Escrivá, nel quartiere Roma-Eur, nella quale Granados attualmente collabora, è stata in effetti straordinaria, quasi a confutare l’esistenza, sempre e ovunque, di «quel contesto, che in modo generico chiamiamo post-modernità, che è la sabbia, cioè la causa di una fede fragile e di una vita cristiana a rischio».

Il presupposto da cui l’Autore parte nell’impostazione del suo libro è comunque pienamente condivisibile: occorre rinsaldare le fondamenta sabbiose su cui poggia l’esistenza dei cristiani di oggi, a cui la rivoluzione del Sessantotto ha dato il “colpo di grazia”.

Come evangelizzare dunque l’uomo contemporaneo? Come rinsaldare la sua fede? Quali ostacoli culturali impediscono di raggiungere un’esistenza cristiana matura?

«L’idea di fondo – afferma don Granados – è che la Nuova evangelizzazione a cui è chiamata la Chiesa “in questa ora magnifica e drammatica della storia”, come ha definito l’epoca contemporanea san Giovanni Paolo II nella Christifideles laici, impone ancora una Prima evangelizzazione, non in senso cronologico, ma come impostazione di fondo presente in ogni segmento della pastorale. Una Prima evangelizzazione che tenga conto dell’humus culturale in cui vive l’uomo contemporaneo, della sua particolare sensibilità, dello stile di vita, dei motivi di una certa svogliatezza verso il discorso religioso e di uno sguardo distorto nei confronti dell’annuncio cristiano».

L’attuale crisi del “processo per diventare cristiani”, consolidata come detto a partire dal Sessantotto, può essere invertita quindi solo prendendo atto della reale situazione storica. Infatti, continua il sacerdote spagnolo, «i tentativi di ripristinare questo processo sono falliti perché si sono concentrati quasi esclusivamente sul rinnovamento della catechesi, quando in realtà sono tutti gli elementi del processo che richiederebbero un ripensamento: la Prima evangelizzazione, la catechesi, la famiglia come luogo di trasmissione della fede, la questione educativa, la pastorale dei sacramenti, l’omelia e la pietà popolare».

Non si tratta quindi di rinnovare esclusivamente la formazione e la missione del ministero ordinato, bensì di attivare in senso missionario e apostolico il mondo del laicato, della vita religiosa, dei movimenti e, naturalmente, della parrocchia. In quest’ultimo caso, in particolare, occorre subito arrestarne la sua dolorosa identificazione, per molti, in «agenzia che fornisce servizi religiosi».

Seguendo la logica del metodo teologico-pastorale, don Granados propone dei criteri operativi per rimuovere le cause e gli ostacoli che bloccano la vitalità missionaria di «studenti, operatori pastorali o semplici fedeli desiderosi di suggestioni per un apostolato più fecondo».

L’attuazione della fede nella storia, sia essa la fede del singolo che l’agire ecclesiale, mette anzitutto in gioco delle questioni importanti che richiedono studio. «Per quanto riguarda la teologia pastorale – conclude –, è chiaro che anche le azioni ecclesiali più comuni (la catechesi, la direzione spirituale, la celebrazione dei sacramenti, l’opera missionaria, ecc.) pongono dei problemi a cui si potrà rispondere solo dopo un’attenta riflessione. Questa riflessione o teologia pastorale risultante non sarebbe altro che uno studio su come mettere in pratica la dottrina stabilita in sede teologica. In altre parole, la teologia pastorale, con l’aiuto di alcune discipline pratiche (sociologia, pedagogia, psicologia) e con la sapienza che proviene dall’esperienza, dovrebbe cercare di stabilire il modo più adeguato di mettere in pratica la dottrina». I problemi che si pongono nella Chiesa e nella società del XXI secolo, in definitiva, sono molto complessi e richiedono uno studio serio, pratico e teologico allo stesso tempo.

Quando i problemi erano semplici, ovvero quando esisteva ancora una “società cristiana”, poteva forse bastare una buona dose di esperienza per trovare delle soluzioni adeguate. Da quando però cristianesimo e società si sono separate – e dal Sessantotto in poi ci troviamo al centro di un processo di questo tipo –, «si sente la necessità di affrontare meglio i problemi, di affinare i linguaggi, di aggiornare i processi di trasmissione della fede. Alla vigilia del Concilio Vaticano II la percezione di questa separazione era talmente allarmante che provocò appunto la convocazione di un Concilio, ma oggi non si può dire che le cose siano molto cambiate. Non bastano dunque i piccoli ritocchi e le soluzioni approssimative, quando è diventata, invece, palese la crisi dei processi tradizionali di trasmissione della fede e la difficoltà di dare significatività all’annuncio cristiano di fronte ad un contesto culturale refrattario o indifferente».

Il manuale di don Álvaro Granados, diviso in quattro parti e 19 capitoli, pur essendo testo impegnativo, merita di essere conosciuto per l’importanza delle tematiche trattate e il non comune sforzo di riuscire a coniugare il metodo della ricerca scientifica con un linguaggio accessibile a tutti coloro che non vogliano risparmiarsi nel servizio alla pastorale della Chiesa e di quella Nuova Evangelizzazione popolare della quale soprattutto l’Occidente avrebbe un gran bisogno.

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