I quattro Esseri Viventi

di Padre Giuseppe Tagliareni*

UNA RAFFIGURAZIONE SIMBOLICA DEI QUATTRO EVANGELISTI: MATTEO (L’UOMO), MARCO (IL LEONE), LUCA (IL VITELLO), GIOVANNI (L’AQUILA)

Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere: Santo, Santo, Santo, il Signore Dio, l’Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!” (Ap 4,6-8).

San Giovanni scrive nell’Apocalisse di aver visto in visione soprannaturale quattro “esseri viventi” posti davanti all’Altissimo, a somiglianza di quanto vide anche il profeta Ezechiele (cfr. Ez 1,5-21) Ognuno di questi aveva fattezze diverse: di uomo, di leone, di vitello, di aquila. La Tradizione della Chiesa ha visto in questi personaggi una raffigurazione simbolica dei quattro evangelisti: Matteo (l’uomo), Marco (il leone), Luca (il vitello), Giovanni (l’aquila). Questa attribuzione è fatta a seconda della prospettiva particolare che ognuno di loro ha nel guardare Gesù, l’uomo-Dio, il Verbo fatto carne. Egli è sul trono di Dio, perché è Dio come il Padre; ma si è fatto uomo, per compiere la redenzione dell’uomo. Gli Evangelisti ne fissano alcuni aspetti personali, che sono come quattro dimensioni del Cristo, il cui mistero è però insondabile.

I quattro Vangeli descrivono la sua breve vita terrena e le sue opere, specialmente la predicazione, i molti miracoli, la morte di croce e la risurrezione. Messi insieme essi formano il “Vangelo quadriforme”, completandosi e integrandosi a vicenda. San Matteo mette in maggior rilievo l’umanità di Cristo Dio, l’essere apparentemente come noi in tutto; San Marco rileva il suo carattere leonino; San Luca la sua mansuetudine; San Giovanni la sua trascendenza. Ovviamente si tratta solo di sottolineature; ogni evangelista sa molto bene che Gesù è il Figlio di Dio, il Redentore, il Taumaturgo, il Salvatore crocifisso e risorto. Ma è pur vero che ci sono differenze e accentuazioni diverse e che ogni Vangelo si completa con gli altri. Vediamo in particolare.

Uno degli esseri viventi aveva fattezze duomo. Questo sottolinea che il Verbo, Dio altissimo come il Padre, si è fatto uomo. In Gesù di Nazareth dunque, è presente Dio fin dal momento del suo concepimento nel grembo verginale della madre Maria. Egli ha percorso tutte le tappe normali di crescita di un uomo: è stato bambino, ragazzo, adulto, uomo maturo. È vissuto inserito in una famiglia e in un popolo determinato (Israele), condividendo usi e costumi, lingua e credenze, lavoro e feste. Ha lavorato con le sue mani e poi si è messo a predicare il Vangelo del Regno, mostrando con la sua vita la verità di quanto annunciava. Infine è morto come ogni uomo prima o poi fa, ed è risorto il terzo giorno, dimostrando la sua divinità. Solo Dio infatti può vincere la morte. In Gesù dunque, c’è Dio in veste d’uomo e c’è pienezza di umanità con tutte le sue perfezioni, tanto da “contenere” Dio. L’uomo dice terra, umiltà, prossimità; Dio dice Cielo, Divinità, trascendenza. Gesù li unisce.

Un altro degli esseri viventi aveva fattezze di leone. Più che la ferocia è da prendere il simbolismo del coraggio e della regalità. Il Messia è il “leone della tribù di Giuda”, secondo l’antica profezia di Giacobbe (cfr. Gen 49,9-10). Egli è vittorioso contro i suoi nemici e domina incontrastato su tutti; a lui è dovuto il regno messianico e lo scettro. Tutto ciò si compie in Gesù: della tribù di Giuda e del casato di Davide. Egli è il vincitore del mondo del peccato, di Satana che ne è il re e della morte. Ha vinto facendo sempre la volontà del Padre fino al sacrificio di sé. Il suo coraggio leonino lo portò all’eccesso dell’amore: dare se stesso per la salvezza dei suoi fratelli, offrirsi vittima alla divina Giustizia per loro. Per questo accettò le persecuzioni, il Getsemani e la morte di croce sul Calvario. Proprio sul Golgota egli conquistò quella regalità che gli era promessa e che il profeta Daniele gli vide conferire dall’Altissimo seduto in trono tra miriadi di angeli osannanti (cfr. Dan 7,13-14).

Il terzo essere vivente aveva fattezze di vitello. Le doti naturali di spicco di questo animale sono la mitezza e la pazienza, la forza fisica superiore ad altri, con la quale è capace di trainare carri e aratri. Il bue è utilissimo nei campi proprio per queste sue caratteristiche. E anche questo bisogna vedere nel Messia: Egli stesso esalta la sua forza d’animo, pazienza e mitezza e la pone a nostro esempio (cfr. Mt 11, 29: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero»). Così ci insegna a piegarci alla volontà del Padre non per forza ma per amore. E questo è il giogo che portato avanti con pazienza solca il terreno e lo rende idoneo alla semina. Senza l’aratura, i semi sono persi. Fuori di metafora, l’aratro è la croce; ma per portarla con frutto occorre tanta pazienza e tanto amore, con perseveranza fino alla fine.

Il quarto essere vivente aveva fattezze daquila. L’aquila è il re degli uccelli: la sua potenza d’ali le consente d’innalzarsi su tutti e su tutto; il suo sguardo è capace di fissare il cielo. La sua rapidità è tale che le prede scelte non hanno scampo; vola a cerchi concentrici e tutto tiene sotto il suo impero. Tutto ciò simboleggia la superiore trascendenza del Re-Messia: Egli sconfina nel divino, in quanto è nel seno del Padre e si inabissa nel Suo mistero; il suo occhio tutto vede, per la sua onniscienza e sapienza; il suo potere tutto sovrasta, poiché a Lui “è dato ogni potere in Cielo e in terra” (Mt 28,18). Non c’è creatura che possa nascondersi ai suoi occhi o sottrarsi al suo potere. A causa della morte di croce per amore, “Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù  ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,9-11).

L’Apostolo Giovanni vede i quattro esseri viventi pieni docchi e inneggianti alla SS. Trinità. Gli occhi indicano la visione di Dio, la conoscenza, la scienza divina, la contemplazione; il canto del “Trisaghion” indica la liturgia celeste, l’adorazione, la lode dovuta da tutte le creature alla SS. Trinità e in particolare a “Colui che viene”, cioè al Cristo venturo nella “Parusia”, la sua seconda venuta nella gloria “tra le nubi del cielo” (Mt 24,30), quando verrà con i Suoi angeli “a giudicare i vivi e i morti” (Credo). In questo dobbiamo vedere un forte richiamo alla liturgia eucaristica, dove il “Sanctus” ha un posto centrale, immediatamente prima della consacrazione, quando, per la parola del ministro, il Verbo torna a farsi carne e viene ad abitare in mezzo a noi, facendosi nostro cibo e bevanda di salvezza. Egli transustanzia pane e vino, ma ricevuto con fede e amore divinizza l’uomo e lo riempie di Spirito Santo.

Proprio il richiamo alla liturgia eucaristica è quanto mai necessario e stringente. In essa si dà la lode più alta alla Trinità e si compie il mistero della redenzione dell’uomo, mediante il Sacrificio della croce del Messia benedetto e la comunione sacramentale con Lui. In questa liturgia, eco di quella celeste, si dà culto al Dio della salvezza e l’offerta a Dio gradita, l’adorazione al suo divino sacrificio; si ottiene il perdono dei peccati e la santificazione della creatura che entra in comunione col Cristo, Dio-Uomo. Nel silenzio adorante del fedele durante la consacrazione del pane e del vino, Dio scende e si fa carne per noi, si fa Uomo perché l’uomo possa farsi Dio. È allora che Egli ci dà le sue “fattezze” e ci rende simili ai “quattro esseri viventi” di cui parla l’Apocalisse. E quindi, simili a Lui, Dio fatto uomo.

Ad ogni santa Comunione riceviamo i tocchi dello Spirito Santo per renderci ad immagine del Cristo santificati dalla Grazia di Dio, umili e grandi, forti e pazienti, vittoriosi sui nostri nemici: la carne, il mondo e Satana, coraggiosi nell’amare e nel darci al sacrificio, capaci come aquile d’innalzarci alle altezze divine concesse all’amore di chi è fedele a Dio.

In tutto questo ci è Maestra la Vergine Maria, colei che più di ogni altro si assomiglia a Cristo. Farsi suoi figli e affidarsi a lei è sapienza e amore, che risponde a quell’affidamento voluto da Gesù morente sulla croce per Giovanni, l’apostolo prediletto. Maria ci ottiene la grazia di assomigliare a Cristo, di acquistarne le virtù e ospitarne lo Spirito. Solo questo può trasformare il mondo e vincere la lotta col Nemico del bene. E solo di questo ha urgente bisogno il mondo: di uomini e donne che siano con le “fattezze” di Gesù. Come abbiamo detto, ciò avviene soprattutto nella celebrazione eucaristica, centro e fonte della vita cristiana, motore del rinnovamento dell’umanità secondo il disegno di Dio onnipotente. Maria ci accoglie e ci presenta a Cristo-Dio.

 

 

 

 

* Padre Giuseppe Tagliareni
(29 luglio 1943 – 25 gennaio 2022),
è il fondatore dell’Opera della Divina Consolazione

Subscribe
Notificami
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments