Il lato oscuro e l’assurdo fascino dell’anarchia

di Nicola Sajeva

PER MOLTI L’ANARCHIA E’ LA PIU’ BELLA CHE CI SIA. IN REALTA’…

L’anarchia è la più bella che ci sia!”: a questa conclusione arrivava, tanti anni fa, una persona semplice senza tanti studi alle spalle, fondamentalmente buona, desiderosa di vivere in una realtà dove la giustizia riuscisse ad avere la meglio su tutte le forme di sopraffazione e dettasse le regole della convivenza civile.

Certamente l’espressione era criticabile, ma nessuno si permetteva di controbattere anche perché il personaggio in questione non dimostrava propensione alcuna al dialogo. Sicuramente, nella sua esistenza, dei sogni non erano riusciti a realizzarsi, delle aspettative avevano trovato difficoltà di concretizzazione, delle testimonianze si erano rivelate false.

La reazione a tutto ciò faceva sbocciare la colorita espressione, inaccettabile per gli ascoltatori e, a ben riflettere, non condivisa sicuramente dal nostro personaggio. Un’affermazione concettualmente non proponibile, razionalmente non condivisibile che, stranamente oggi sembra invece trovare spazio per mettere in vetrina il suo oscuro e assurdo fascino.

La tendenza, in nome della ‘libertà’, a non dare o a non accettare regole, non nasconde forse una componente decisamente anarcoide? Constatando che oggi una regola, un paletto, un consiglio può risultare lesivo della libertà, non emerge forse, in tutta la sua pericolosità, la possibilità di mettere in circolo idee, comportamenti, spinte vigorose verso una cieca globale contestazione?

Soffermiamoci a capire ciò che avviene all’interno degli ambiti deputati alla trasmissione culturale responsabili di mettere tutti i membri della comunità nelle condizioni ottimali per esprimere le loro personali potenzialità. E’ facile constatare come famiglia e scuola non riescono più ad assolvere il loro delicato determinante ruolo, e se da una parte dichiarano apertamente la loro impotenza, dall’altra si ritrovano a seguire piste conflittuali che determinano incomprensione, sfiducia reciproca, sterile rivalsa.

Le oasi dove serenamente prende corpo una collaborazione sinergica sembrano in via di smobilitazione. Purtroppo, la disposizione all’ascolto delle ragioni altrui stenta a far breccia nel cuore dell’uomo contemporaneo. Una difesa ad oltranza delle proprie posizioni da parte degli adulti innesca, nelle sensibilità di bambini e giovani, pericolosi meccanismi di rigetto e di chiusura che introducono una ricerca avventurosa di esperienze alternative nei “paradisi” ignobilmente proposti dalla droga, dall’alcool, dalla caduta di inibizioni morali.

Allora l’anarchia diventa la più bella che ci sia e tutti i progetti di democratizzazione, di partecipazione sociale, di legalità, di lotta alle schiavitù antiche e moderne, servono solo a nascondere una realtà che richiederebbe ben altre terapie. Se non ci mettiamo d’accordo sul vero significato di libertà non riusciremo ad andare avanti.

L’egoismo, la tensione falsamente liberatoria contenuta nei disvalori stanno smantellando ogni possibilità di reazione, spegnendo in tutti il fuoco dell’indignazione. Un progresso sociale che, per la sua evoluzione, non pesca più nel mare dell’umanesimo è destinato a firmare la sua dissoluzione.

Tutto ciò non per pennellare lo scenario attuale con grigi riflessi di catastrofismo, ma per aprire la nostra riflessione ad un fecondo realismo. Quando il denaro diventa l’unico ideale da perseguire, quando dell’amore restano disponibili solo scarti e sottoprodotti, quando il mondo della politica è scosso dall’individualismo che determina divisioni a catena, compromessi, giochi di potere, spinte a cancellare l’avversario, non stiamo forse imboccando la strada dove l’anarchia ha approntato le sue fornitissime bancarelle?

La reazione a tutti i soprusi, a tutte le croci, a tutte le mafie, a tutti i soffocamenti della libertà portava il mio interlocutore a desiderare l’anarchia. Non vorrei che oggi lo stesso sentimento di reazione, lo stesso desiderio di libertà riuscisse a far proseliti, riuscisse a devitalizzare la nostra quotidianità. Prendere coscienza di aver sbagliato non è debolezza, ma segno, occasione, possibilità di aprire le ali per raggiungere l’altezza della vera libertà. Il figliol prodigo non dimostrò debolezza quando decise di ritornare a casa, dimostrò bensì di aver capito dove poteva ricominciare a vivere.

 

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