Ire e piagnistei delle matrone della sinistra italiana

Ire e piagnistei delle matrone della sinistra italiana

di Dalila di Dio

LA NOMINA DI GIORGIA MELONI È LO SCOPERCHIAMENTO DI UN ENORME VASO DI PANDORA

Da ieri mattina alle 10:00, Giorgia Meloni è il trentunesimo Presidente del Consiglio Dei Ministri della Repubblica Italiana: prima di lei 30 uomini, in 67 diversi governi, si sono avvicendati a capo del potere esecutivo. Dopo essere stata il più giovane Ministro della Repubblica, tocca a lei l’onore di essere la prima donna padrona di casa a Palazzo Chigi.

Che si sia infranto un soffitto di cristallo è innegabile a meno di palesare la più sfrontata malafede. La giornata di ieri, però, per quanto storica, ha scatenato le ire e i piagnistei della maggior parte delle matrone della sinistra italiana: Meloni, seppur donna, non sarebbe abbastanza attenta ai bisogni e alle istanze delle donne – leggasi aborto, aborto e ancora aborto – non avrebbe nominato un numero sufficiente di donne a capo dei Ministeri – Ministre, le chiamano loro – e avrebbe posto a capo dei dicasteri più delicati pericolosi oscurantisti che ci riporteranno al Medioevo (cosa ci sarà, poi, di tanto terribile in questo Medioevo rimane tutto da capire, ma questo è un altro discorso).

La verità è per che le varie Boldrini, Cirinnà e Quartapelle, che da giorni si stracciano le vesti dentro e fuori dal Parlamento – Cirinnà, lo ricordiamo, è tornata a raccogliere le olive dopo una coraggiosissima lotta all’ultimo sangue nel collegio dei poveVi nel Lazio – la nomina di Giorgia Meloni è lo scoperchiamento di un enorme vaso di Pandora: la tragedia, per costoro, non è solo nel fatto che la prima donna ad assurgere al ruolo esecutivo più alto della Nazione sia una donna di destra; il vero guaio è che si tratti di una donna che non ha mai fatto del suo essere donna un vessillo nè una scure da brandire contro chiunque si frapponesse tra sè e il raggiungimento dei suoi obiettivi.

Il vero problema per le femministe nostrane è che il traguardo raggiunto da Giorgia Meloni sia figlio di una storia fatta di impegno, militanza e lotta e sia celebrazione di un merito che prescinde dagli attributi sessuali. E questo, per le sacerdotesse delle quote rose e della lotta al patriarcato, rappresenta una sconfitta che non sono in grado di gestire perché sovverte una narrazione che si trascina da decenni e squarcia il velo di ipocrisia che ammanta il loro femminismo di facciata: Giorgia Meloni è la prova in carne e ossa del fallimento di quell’idea che vorrebbe le donne specie protetta a cui riservare ruoli, nomine, posizioni perché, altrimenti, a causa del patriarcato che pregna ogni ambito della nostra società, non potrebbero mai farcela.

La nomina di Giorgia Meloni è uno schiaffo alla prassi invalsa in tutti quei contesti in cui si parla continuamente di parità, di femminismo, di diritti, ma poi è sempre un uomo che decide quali donne possano ricoprire ruoli di prestigio. È una lezione magistrale a quel PD la cui Presidente Valentina Cuppi, per esempio, rimane fuori dal Parlamento mentre Enrico Letta è costretto a cooptare due donne al ruolo di capogruppo, imponendo le dimissioni a due uomini, per sembrare più inclusivo.

In un mondo in cui viene continuamente raccontato alle donne che l’uomo è il nemico da abbattere, che per farcela hanno bisogno di leggi speciali, di spintarelle, di quote e riserve indiane, all’improvviso irrompe una persona preparata, impegnata, appassionata, che, casualmente, è anche una donna: e vince. Giorgia Meloni ha avuto successo in ciò in cui tutte loro hanno fallito: conquistare lo scranno più alto, semplicemente perché è stata abbastanza brava da riuscirci.

È un passaggio epocale: da “è brava perché è femmina” a “è brava ed è anche femmina”. È la speranza, per milioni di ragazzine meritevoli (merito, che brutta parola fasciofascista!), di potercela fare grazie alla costanza, all’impegno, alla dedizione e al lavoro senza doversi appellare a privilegi da specie protetta.

Se avessero un briciolo di onestà intellettuale, Boldrini, Cirinnà e Quartapelle dovrebbero ringraziare la Presidente Meloni per l’insegnamento impartito, coi fatti, a milioni di donne. Ma è aspettarsi troppo. D’altronde, se avessero un bricio di onestà intellettuale, non sarebbero Boldrini, Cirinnà e Quartapelle.

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