Mons. Hinder: “Se islamici e cristiani non trovano una reciproca comprensione il mondo è a rischio”

di Angelica La Rosa

L’ARCIVESCOVO PAUL HINDER, ATTUALE AMMINISTRATORE APOSTOLICO PER L’ARABIA SETTENTRIONALE ED ESPERTO DI QUESTIONI INTERRELIGIOSE: “A NESSUNO INTERESSA UNA SINTESI METÀ MUSULMANA, METÀ CRISTIANA. VOGLIAMO RIMANERE FEDELI ALLE NOSTRE TRADIZIONI, MA POSSIAMO FARE DI PIÙ PER AFFRONTARE QUESTIONI VITALI CHE RIGUARDANO TUTTA L’UMANITÀ. E LO FACCIAMO COME CREDENTI IN UN SOLO DIO, CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA, VERSO IL QUALE SIAMO TUTTI RESPONSABILI, MUSULMANI O CRISTIANI”

Nel corso di un convegno organizzato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’arcivescovo Paul Hinder, attuale amministratore apostolico per l’Arabia settentrionale ed esperto di questioni interreligiose, ha sottolineato che la visita di Papa Francesco in Bahrain (dal 3 al 6 novembre 2022, per visitare la popolazione cristiana locale), con la partecipazione al “Bahrain Forum for Dialogue”, va vista come una continuazione dei precedenti viaggi del Santo Padre in altri Paesi a maggioranza musulmana, cioè un viaggio apostolico che intende sviluppare ulteriormente il dialogo con il mondo musulmano.

Secondo Mons. Hinder il Papa “non sta inventando nulla di nuovo, c’è una continuità negli obiettivi del suo precedente viaggio ad Abu Dhabi. Ha già visitato diversi paesi musulmani, sempre con lo stesso scopo: trovare una piattaforma dove, senza compromettere le nostre convinzioni, possiamo formare comunità positive e costruttive per costruire il futuro e contribuire a salvare il mondo”.

Secondo l’amministratore apostolico del vicariato nord-arabo, quello che vogliono cristiani e musulmani è un dialogo aperto, onesto e rispettoso delle differenze. “Il dialogo a livello intellettuale o teologico non è facile, perché è difficile trovare un linguaggio comune. Come possiamo andare avanti e creare una base, senza rinunciare alla nostra identità? A nessuno interessa una sintesi metà musulmana, metà cristiana. Vogliamo rimanere fedeli alle nostre tradizioni, ma possiamo fare di più per affrontare questioni vitali che riguardano tutta l’umanità. E lo facciamo come credenti in un solo Dio, creatore del cielo e della terra, verso il quale siamo tutti responsabili, musulmani o cristiani”.

Pur sottolineando che i risultati finali “ovviamente non dipendono da noi, ma da Dio”, il vescovo francescano di origine svizzera ritiene che “se le due principali religioni monoteiste non riescono a trovare una qualche comprensione, il mondo è a rischio. Dobbiamo essere parte della soluzione e non parte dei problemi che affliggono molte parti del mondo. Il Papa non si stanca mai di costruire ponti dove le persone hanno smesso di parlarsi”.

Nella complessa realtà che compone la regione del Golfo, il Bahrain occupa un posto speciale. La popolazione è prevalentemente sciita, ma la casa reale che governa il Paese è sunnita, con i musulmani che costituiscono il 70% della popolazione. Tuttavia, ci sono grandi comunità di altre religioni, con il 14% di cristiani e il 10% di indù, gruppi però composti per la maggior parte da immigrati privi di cittadinanza. Per tutto questo, il Bahrain è abituato alla differenza e ha investito molto nella promozione della comprensione.

Questo è qualcosa che Mons. Hinder spera che Francesco incoraggi: “il Santo Padre probabilmente chiederà al re di rimanere un costruttore di ponti nella regione, perché religiosamente e ideologicamente il Bahrain è tra l’Arabia Saudita e l’Iran, le due principali potenze mondiali islamiche. Il Bahrain può svolgere un ruolo speciale come costruttore di ponti, spero che il Papa li incoraggerà a rimanere fedeli a questo ruolo”.

Papa Francesco incontrerà naturalmente la comunità cattolica in Bahrain, con molti fedeli attesi in viaggio dai Paesi vicini. Sebbene vi sia una comunità cristiana indigena molto piccola, la stragrande maggioranza degli 80.000 cattolici in questo regno insulare sono lavoratori migranti provenienti da paesi come l’India, lo Sri Lanka e le Filippine.

Il Santo Padre “incontrerà una folla entusiasta”, dice Mons. Paul Hinder (nella foto sopra). “L’incontro più straordinario sarà la messa di chiusura allo stadio nazionale. Conoscendo la nostra gente sarà una messa molto festosa. Circa 28mila persone riempiranno lo stadio, di cui almeno duemila provenienti dall’Arabia Saudita”.

Sebbene la vicina Arabia Saudita sia nota a livello internazionale per la sua mancanza di libertà religiosa, questo non si applica all’arcipelago del Bahrain, dove diverse denominazioni cristiane possono costruire le proprie chiese e il re ha persino offerto un terreno per la costruzione di Nostra Signora d’Arabia, la più grande cattedrale della regione del Golfo, eretta con il sostegno dei benefattori della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.

I cristiani fanno uso di questa libertà. “La bellezza del ministero qui è avere a che fare con cristiani attivi. Non c’è bisogno di pregarli di venire a messa, il nostro problema principale è la mancanza di spazio. Questo ci dà soddisfazione e gioia. Sono stato rafforzato nella mia stessa fede dai fedeli che mi hanno sostenuto in tutti questi anni”, ha affermato il vescovo, che opera nella regione del Golfo Persico da più di 18 anni.

Ci sono delle difficoltà, spiega l’Arcivescovo. “La nostra gente generalmente non ha la cittadinanza, e questo significa che quando perde il lavoro deve lasciare il Paese. Centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro durante l’epidemia da Covid. Molti di loro hanno famiglie che dipendono dai loro guadagni, sia nel Golfo che nei paesi di origine. Le famiglie separate sono un’altra sfida per la pastorale”.

Sebbene i paesi del Golfo siano noti per la loro immensa ricchezza, ciò non significa che i lavoratori ordinari, o le chiese, vivano comodamente. Lo sfruttamento del lavoro e i maltrattamenti sono dilaganti nella regione. “Le strutture della Chiesa, rispetto ad altri Paesi, sono relativamente povere, ma nella Chiesa c’è solidarietà. Anche i poveri, come possono, sono spesso generosi. Le offerte di un gran numero di parrocchiani sono buone anche se non sono cifre che soddisfano tutte le nostre esigenze pastorali. Comunque con le offerte siamo riusciti a costruire la chiesa nel vicariato, finanziata prevalentemente dai fedeli locali”.

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