Antonio Salazar, un esempio di politico cattolico ed europeo da riscoprire

di Matteo Castagna

SALAZAR DIVENNE CAPO DEL GOVERNO NEL 1932, PUNTANDO ALLA REALIZZAZIONE DI UNO STATO CORPORATIVO

Antonio de Oliveira Salazar nacque nel villaggio di Vimiero, a Santa Comba Dao, provincia dell’entroterra centrosettentrionale del Portogallo, il 28 Aprile 1889. Crebbe in una famiglia contadina, estremamente devota.

Il 5 ottobre 1910 il Portogallo viene investito da una rivoluzione repubblicana di stampo massonico, per cui si succedettero ben 45 governi alla guida del Paese; quello repubblicano liberal-giacobino, a parte la felice parentesi di Sidònio Pais nel 1917, fu un periodo di torbidi eventi e caos. Alfonso Costa, leader del partito repubblicano, riprende ideologie e motivazioni giacobine – come testimonia L. Torgal nel suo “Antònio José de Almeida e a Republica. Discurso de una vida ou vida de um discurso”, Temas e debite 2005, pp. 96-97.

Durante i primi anni di governo, il partito repubblicano si rivolgeva verso tre orientamenti: a) legislazione anticlericale; b) Legislazione specializzata nelle cosiddette “libertà pubbliche”; c) legislazione sull’educazione laica. Ogni riferimento all’attualità è puramente necessario e voluto.

Il tentativo di subordinare la Chiesa all’etica laica, mascherato da una propaganda a favore del mero separatismo tra Stato e Chiesa, portò i cattolici ad organizzarsi in Associazioni come, ad esempio, dal 1917, il Centro cattolico portoghese.

L’era liberale di Costa fu considerata come basata sui principi della licenza sbracata e dell’agnosticismo; la strategia politica liberale era, infatti, capace di avanzare con “machiavellica malvagità” – come scrisse A. Guimares nel suo “A verdade sobre Alfonso Costa”, edicao do autor 1935, p. 7.

Mentre Lisbona era il centro culturale fondamentale per il movimento repubblicano, Coimbra viceversa era il quartier generale dei movimenti lusista e estanovista. Il fronte contro-rivoluzionario si era costituito in Galizia, ma il loro tentativo golpista del 6/7/1912 fallì, costringendoli a riparare in Belgio, presso Gand.

In questo contesto nacque l’ “Integralismo lusitano”, espressione usata da Luìs Braga sulla rivista “Alma Portuguesa”. Il programma dell’integralismo portoghese si poneva come primo scopo il superamento della repubblica liberale, considerata il prodotto di ideologie sovvertitrici e illuministe d’importazione, dunque intimamente antiportoghese ed anticattolica, e la restaurazione della monarchia tradizionale, interrotta, secondo la visione integralista, nel 1834, con l’instaurazione di quella costituzionale, fondata sui principi della rivoluzione francese.

Come si può vedere, la democrazia cristiana lusitana aveva radici e prospettive antitetiche a quelle liberali, compromessiste e semi-socialiste delle democrazie cristiane italiana, francese e tedesca.

Il programma di Salazar era rivolto ad un monarchismo organicistico universalista, integralista e tradizionalista, basato su una prospettiva di decentralizzazione amministrativa e finanziaria, imperniata sull’autonomia dei centri periferici.

Il Re, fulcro dell’intero organismo, aveva la funzione di governare, non di amministrare, grazie ad un sistema snello dato da una serie di autonomie locali diffuse.

Grazie all’appoggio dell’esercito, rispondente al generale Carmona, allora presidente della Repubblica, Salazar divenne capo del Governo nel 1932, puntando alla realizzazione di uno Stato corporativo.

La critica lusitanista dell’integralismo all’Estado Novo salazarista fu la tipica critica ferma all’ortodossia dogmatica monarchica, decentralizzatrice e maurrassiana di fronte al pragmatismo repubblicano e “totalitario” cristiano del salazarismo.

Se sul piano della dottrina, il “nazionalismo integrale” di scuola maurrassiana pare allontanare l’Estado Novo dal regime fascista (“Tutto per la Nazione, nulla contro la Nazione”: fu un leitmotiv salazariano), in realtà, sul piano pratico, anche in Portogallo fu lo Stato – definito non totalitario, ma di “concezione totalitaria” – a spingere il popolo a riconquistare l’indipendenza economica e nazionale integrali e poi a marciare verso il corporativismo realizzato, come antitesi al nichilismo ed alla secolarizzazione.

Il Portogallo salazarista sarebbe così più un esempio storico di Stato fascista, corporativo, anticapitalista, che un esempio di classico Stato conservatore cattolico ottocentesco.

Salazar fu sempre di natura solitaria e malinconica. L’immagine più realista che su di lui ci è stata lasciata è che governò cristianamente il popolo portoghese per decenni come fosse nascosto nella cella di un monaco. Per il Nostro, l’uomo nuovo sarebbe dovuto essere reale, sia politico, che economico, sia santo, che combattente. Grazie al corporativismo, regolato dall’intervento decisivo dello S, in Portogallo, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, quando si profilava la minaccia della penetrazione economica americana, veniva frenata l’aggressione finanziaria del supercapitalismo mondiale.

Salazar riuscì con notevole acume tattico e politico, a far valere il principio di sovranità economica e protezione della produzione nazionale, di fronte al gioco degli interessi finanziari e speculativi esterni, rispettando la Quadragesimo Anno di Papa Pio XI e prima ancora la Rerum Novarum di Leone XIII. Sono, infine, elementi noti in cui si mosse l’Università Cattolica di Milano, identificando sostanzialmente il corporativismo cattolico e quello di Salazar o quello italiano: Arias faceva parallellismi tra tomismo e corporativismo, padre Gemelli e Amintore Fanfani si prodigarono in plausi riguardo ai “meriti religiosi” delle corporazioni fasciste (cfr. G. Rumi, Padre Gemelli e l’Università Cattolica, in “Modernismo, fascismo, comunismo”, ed. Il Mulino 1973, pp. 228-229).

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