Emilia Romagna, cronaca di un’altra vittima annunciata…

Emilia Romagna, cronaca di un’altra vittima annunciata…

di Andrea Sarra

L’ITALIA È UNA NAZIONE DAL TERRITORIO MOLTO FRAGILE, A FORTE RISCHIO IDROGEOLOGICO

L’Italia è una nazione dal territorio molto fragile, a forte rischio idrogeologico: di questo, tutti ne sono ormai a conoscenza. Lo prova il fatto che, nel corso degli ultimi 60/70 anni, si sono già verificate numerosissime tragedie. Certamente tanti di noi avranno avuto modo, nel corso degli anni, di osservare nei telegiornali le immagini dei disastri avvenuti.

I terribili eventi che si sono verificati nei giorni scorsi in Emilia, purtroppo, ricordano molto la trama di un film che narrava di una tragedia annunciata. L’alluvione ha provocato la morte di oltre dieci persone, migliaia di sfollati ed ha arrecato ingentissimi danni alle abitazioni terreni ed attività produttive. Come sempre accade, assistiamo – attraverso la tv ed i vari video circolanti in rete – alla passerella dei personaggi politici che si avvicendano sui luoghi del disastro: formulano ipotesi, emettono sentenze e cercano nella parte politica avversa il responsabile dello sfacelo avvenuto.

In realtà, pur promettendo di tutto e di più, essi brancolano nel buio, in quanto non vedono, o non vogliono vedere, le reali cause della tragedia avvenuta. Poi, la magistratura apre fascicoli su ignoti, perché in certi casi le indagini sono dovute. Possiamo solo ipotizzare che, tra qualche mese, probabilmente tutto cadrà nell’oblìo consueto. Quindi, al posto del fango di oggi, si coprirà con la sabbia di domani tutto il dolore di chi ha perso i propri cari e di chi ha avuto distrutta la casa, o danneggiata la propria attività, frutto di decenni di duro lavoro. Così, secondo il principio di Eraclito dei corsi e ricorsi storici, tutto rimane come prima. Errori compresi.

Basterà elencare tra decine di eventi simili, i disastri più conosciuti:
Nel 1951 Catanzaro e Polesine,
1954 Salerno,
1966 Firenze,
1979 Genova,
1987 Valtellina,
1994 Alessandria e Asti
1996 Sarno
2000 Soverato
2000 Torino e Mantova
2009 Messina
2010 Genova
2011 Genova e Massa Carrara.

L’elenco sarebbe lunghissimo e bisognerebbe avere ottima memoria per ricordarli tutti. Eppure, a quanto pare, questa volta si sa già a chi attribuire la responsabilità. Così, pur se vaste aree del territorio emiliano sono ancora sommerse e si cerca ancora di rimuovere detriti, di stimare i danni, già tutti hanno precisato che la causa degli eventi sta nei “cambiamenti climatici”, e guai ad ipotizzare cause diverse. È questo il nuovo mantra. Sicuramente utile per eludere responsabilità che, invece, sono ben chiare.

Basterebbe considerare le decine di eventi verificatisi a partire dagli anni ’50 per rendersi conto che non si tratta di cambiamenti climatici, bensì di eventi ciclici prevedibili, e dai quali ci si poteva difendere. Infatti, i cambiamenti climatici non sono una novità perché ci sono sempre stati, e sempre ci saranno: c’erano prima dei dinosauri, ci sono stati durante il periodo dei dinosauri e ci saranno ancora fine alla fine del mondo.

In realtà, i cambiamenti climatici possono giustificare il verificarsi di un maggior numero di eventi stabilito un determinato tempo di ritorno. In sostanza, quando si realizza una qualsiasi opera d’ingegneria, sia essa un edificio oppure sia una sistemazione fluviale o altro, pur progettandole e realizzandole correttamente rispettando le varie norme, non garantisce che, al verificarsi di eventi calamitosi quali un terremoto o di un nubifragio, l’edificio non vada distrutto oppure il corso d’acqua non esondi. Significa solamente stabilire consapevolmente che entro un determinato tempo di ritorno, ad esempio 50, 100, 200 anni o più, potrà esserci la probabilità che si verifichi un evento per il quale l’opera progettata e realizzata non sia adeguata. Quindi, i cambiamenti climatici invocati, non sono la causa del disastro bensì il superamento della probabilità accettata.

Detto in termini ancora più chiari, se si è stabilito che l’opera d’ingegneria sia inadeguata per un evento che si verifica ogni 100 anni, con i cambiamenti climatici se ne verificheranno 2, 3… tuttavia, i disagi da affrontare in questi casi dovrebbero essere lievi, non drammatici come invece avviene in Italia.

Guardando le immagini che si susseguono nei vari Tg delle reti televisive, appare palese come le cause del disastro siano riconducibili a multiple scelte politiche del passato e del presente che ora presentano il conto, con responsabilità a tutti i livelli, e chiamano in causa lo Stato, le Regioni, le province, i comuni, i comitati ambientalisti e perfino i singoli cittadini.

Quindi, quali sono le cause, di chi le responsabilità? Potremmo farne un lungo elenco e dire che la responsabilità: – è di chi dal dopoguerra, non prevedendo l’antropizzazione di aree agricole e l’urbanizzazione selvaggia, non ha saputo programmare in maniera organica la salvaguardia del territorio né delle persone; – è di chi, nel corso degli anni, non ha programmato e realizzato opere idrauliche sui singoli territori, quali serbatoi di laminazione e casse d’espansione nelle zone montane, pedemontane ed a valle; – è di chi non ha provveduto a sistemi di difesa idraulica (come, ad esempio, è stato fatto a Tokio che ha il più grande sistema di difesa idraulico del mondo: una rete di oltre 6 km di canali a profondità di alcune decine metri che collegano 5 serbatoio cilindrici interrati di profondità di circa 65/70 metri e diametro 32 metri, un serbatoio sempre interrato di oltre 130 metri di lunghezza e circa 80 di larghezza alto 25 metri con 59 colonne che ne sorreggono il solaio, pompe in grado di evacuare 200 tonnellate di acqua al secondo). Perché in Italia non si riesce a realizzare un sistema simile ridimensionato visto che Tokio è enormemente più grande anche di Roma? – è di chi non ha previsto e realizzato canali artificiali necessari a supportare fiumi, torrenti e canali esistenti, divenuti inadeguati con il passare del tempo, e con espansione delle città: eppure in molte località italiane, comprese quelle oggi interessate dall’alluvione, esistono canali risalenti al medioevo: Nessuno si è reso conto che con i secoli questi potessero diventare insufficienti? Non era forse noto che in Italia esistono città costruite su vari corsi d’acqua? Non sarebbe stato necessario quindi provvedere alla realizzazione di adeguate opere di difesa a monte e nelle aree pianeggianti impianti idrovori? – è di chi – dopo aver realizzato opere idrauliche – non ha provveduto a verificare periodicamente e a valutare se queste avessero bisogno di essere adeguate in funzione dell’evoluzione del territorio; – è di chi ha favorito l’uso indiscriminato del suolo per nuove costruzioni, anziché riutilizzare abitazioni, che spesso risultano fatiscenti e pericolanti (abbattendole qualora necessario e ricostruendole). Infatti, sappiamo bene che non tutte le costruzioni nei centri delle città sono monumenti nazionali o opere d’arte da tutelare; – è di chi non ha compreso che la manutenzione inerente la rimozione di detriti e della vegetazione va fatta periodicamente ogni anno, spesso più volte l’anno, e non saltuariamente – o a sponde alterne – per la salvaguardia della biodiversità o dopo eventi drammatici.

Sono tante, come si vede le cause, o concause. Si potrebbe anche aggiungere che non sono ben chiare le competenze di chi deve fare cosa: la Regione, il Provveditorato alle Opere Pubbliche, l’Autorità di Bacino, i Consorzi di Bonifica, i Comuni. E questo riguarda anche i piccoli lavori di manutenzione; ad esempio, i tombini della maggior parte delle città sono ostruiti, ma nessuno provvede: i Comuni attribuiscono l’onere a chi gestisce il servizio idrico ed il fornitore del servizio idrico (nel Lazio prevalentemente l’Acea) scarica la colpa al Comune: non è necessario un evento eccezionale per paralizzare le città e chi abita a Roma conosce bene il problema.

Talvolta, se non spesso, non si è provveduto alla manutenzione, verificando dopo ogni evento con deflusso rilevante l’esistenza di eventuali fenomeni erosivi e di sifonamento lungo gli argini; non si è provveduto alla realizzazione di franchi di sicurezza maggiori per i corsi d’acqua nelle zone pianeggianti, atteso che la tracimazione di opere in terra porta al collasso della struttura come chiaramente evidenziato nelle immagini televisive.

Non può essere esente da colpa colui che ha impedito ai privati di effettuare la manutenzione di corsi d’acqua e foreste attraverso l’imposizione di tanti limiti normativi, con il risultato di ritrovare sezioni idrauliche ridotte a causa dei detriti depositati nel corso del tempo, con migliaia di tronchi d’albero trasportati da monte verso valle, depositati davanti alle pile dei ponti, impedendo così il regolare deflusso delle acque.

Riguardo alle ideologie ambientaliste: vogliamo dirlo che la responsabilità è anche di chi ha impedito eliminazione di roditori quali le nutrie? Così esse, scavando chilometri di gallerie lungo gli argini, li indeboliscono.

E cosa dire di chi ha permesso l’intubamento e il tombinamento di fossi e canali impedendone di fatto la manutenzione oltre a ridurne la portata diminuendone la sezione? Bisognerebbe anche dare un’occhiatina a chi ha permesso l’urbanizzazione in aree naturali di esondazione, nonostante limiti ben precisa da parte dell’Autorità di Bacino; oppure a chi ha consentito la costruzione di abitazioni immediatamente sugli argini, senza rispettare le dovute distanze di sicurezza, ed addirittura sopra a corsi d’acqua (facendo occupare non solo il suolo demaniale ma soprattutto esponendolo a rischio). In tal modo non è stato fatto rispettare il Regio Decreto 523 /1904 – tuttora vigente – che vieta la costruzione di opere sugli argini e le elenca all’art. 96! Tra l’altro quanto costruito sugli argini attinenti acque pubbliche non è sanabile, come sancito anche dal CdS sez. IV nel novembre 2012 n. 5620.

Cosa dire infine delle leggi e leggine che hanno reso impossibile la vita agli agricoltori nelle aree pedemontane, velocizzando l’abbandono dell’agricoltura e, quindi, di aree prima coltivate favorendo in tale modo il degrado idrogeologico? E di chi ha permesso l’urbanizzazione in aree sottoposte ai corsi d’acqua naturali o artificiali? Infatti, le immagini televisive evidenziano costruzioni ben al di sotto dei corsi d’acqua che in molti tratti risultano pensili: in caso di problemi, per motivi fisici, tutto ciò che è a livello inferiore del pelo libero dell’acqua viene sommerso. Perché non sono stati realizzati ulteriori argini a distanza adeguata dai canali e/o torrenti proteggendo così abitazioni ed attività produttive? Non era il caso di lasciare un buffer di sicurezza tra la fascia di rispetto dei corsi d’acqua e l’ulteriore argine ad utilizzo esclusivo dell’agricoltura con eventuali danni minori e certamente salvaguardando le vite umane?

Uno sguardo critico si potrebbe dare a quei politici che, sostituendosi ai tecnici, stabiliscono priorità d’intervento, spesso imponendo perfino il dimensionamento delle opere; a quelli che, a scopo elettorale, destinano finanziamenti per opere inutili mai utilizzate o addirittura mai terminate dopo decenni: l’Italia è piena di tali cattedrali nel deserto. Né si possono dimenticare quei politici che, anziché far realizzare un progetto generale, stabilendo il costo complessivo dell’intera opera finanziandola poi per lotti, spesso agiscono al contrario e destinano cifre irrisorie per la realizzazione di progetti faraonici destinati a restare incompiuti.

Si potrebbe proseguire forse all’infinito…
Vogliamo parlare di chi gioca a modificare il tempo climatico? È bene sapere che dalla metà degli anni ’60 si sperimenta la possibilità di modificare a piacimento il clima, facendo piovere quando serve, irrorando nelle nubi prodotti chimici quali ioduro d’argento; anche durante la guerra del Vietnam, per rallentare i movimenti dei vietcong lungo il sentiero di Ho Chi Min (tra Vietnam – Laos e Cambogia) e danneggiare apparecchiature militari quale i radar, oltre sganciare a milioni di tonnellate le bombe, si provocarono nubifragi per rendere difficoltoso percorrere le piste di terra per camion e biciclette. Tale tecnica è utilizzata da decenni pure in Israele – a scopi irrigui – ed oggi sono decine i paesi che l’utilizzano. In alcuni paesi la tecnica è utilizzata per prevenire le grandinate che altrimenti rovinerebbero i raccolti. La circostanza è talmente nota che si insegna anche a scuola!

Le responsabilità, infine, purtroppo sono anche dei privati cittadini che hanno consapevolmente costruito le proprie abitazioni o attività in luoghi a rischio, come mostrano le numerose immagini. Ciò che appare ancor più grave, purtroppo, è il fatto che gli errori del passato non hanno insegnato nulla e nulla di buono si prevede per il futuro! Come non pensare, ad esempio, che il PRRN prevede soldi per interventi risibili e la cui priorità lascia seri dubbi, ad esempio per ampliare i cimiteri, per le piste ciclabili, per i campi di paddle, per i tornei di briscola, per spolverare i libri?

Infine, come non pensare alla decisione di distruggere le dighe perché non permettono la risalita dei pesci e non garantiscono la biodiversità? Non tutti sono a conoscenza del fatto che in Europa, nel corso degli ultimi due anni, sono state distrutte circa 240 dighe, di cui oltre 100 nella sola Spagna. A prescindere dalla mancata produzione di elettricità, ci si chiede: ma una eventuale piena avrà gli stessi effetti sul territorio dopo tali interventi? Non è forse noto il potere di laminazione delle piene degli invasi?

Tutte queste “scelte” neppure ideologiche, che mirano alla deindustrializzazione dell’Europa e principalmente dell’Italia, legate esclusivamente ad interessi economici di dimensioni inimmaginabili, non tarderanno a rivelare i loro effetti anche sul territorio.

Un’ultima considerazione (solo per i credenti): i fatti che sono avvenuti possono essere interpretati alla luce di quanto può leggersi nella Bibbia, Genesi (6 e 7) (il diluvio), Genesi (19) (distruzione di Sodoma e Gomorra), Numeri (14) (castigo degli esploratori della terra promessa che avevano mormorato). Visti i tempi di caos che stiamo vivendo, e di degrado morale, sarà forse il segno che il Signore ci avrà abbandonato alla durezza del nostro cuore?

 

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