I nostri servizi segreti sono una Ferrari senza autista?

di Pietro Licciardi

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PER QUANTO CAPACE E COMPETENTE L’INTELLIGENCE HA BISOGNO DI DIRETTIVE MA NON SEMPRE LA POLITICA SI È DIMOSTRATA DI ESSERE ALL’ALTEZZA

Dopo aver ricordato alcune delle operazioni condotte oltre la Cortina di ferro durante la Guerra fredda da parte del servizio segreto italiano, ricostituitosi dopo la seconda Guerra mondiale, e dopo esserci fatti raccontare dal dottor Alessandro Giorgi, divulgatore di storia militare e membro della Società italiana di storia militare, alcune brillanti operazioni del Sifar che ci procurarono il rispetto e l’ammirazione perfino della potentissima e organizzatissima Cia americana, concludiamo questo “focus” storico che ci ha fatto conoscere e scoprire un apparato che se nel recente passato è stato al centro di polemiche e di trame poco chiare, riveste comunque una grande importanza per la sicurezza interna e per la politica estera di qualsiasi stato.

Dottor Giorgi, cosa è rimasto del patrimonio di esperienze accumulato prima dal  Sim del periodo bellico e poi dal Sifar? Se non ricordiamo male negli anni Settanta col pretesto dei servizi deviati ci fu una profonda riforma del nostro apparato di intelligence.

«Se certi personaggi chiave non cambiano non c’è riforma che tenga. Comunque è curioso ricordare come il generale Maletti, che fu per lunghi anni a capo del servizio “D”, difesa, dell’allora Sid, sigla che aveva sostituito Sifar, dal suo esilio in Sud Africa disse che fino al 1970 nessuno gli aveva detto che la difesa della Costituzione faceva parte delle loro attribuzioni. Come era possibile che non gli fosse venuto in mente che quantomeno agire nell’ambito della Costituzione fosse scontato? E’ un po’ strano. Ma tornando alla domanda e al fatto se è stato buttato il bambino con l’acqua sporca; sicuramente è rimasto parecchio, perché il bacino di reclutamento – tendenzialmente carabinieri, poliziotti e finanzieri – è ancora quello e garantisce, se ben diretto, una certa serietà.

Non so quanti ne sono a conoscenza, ma oggi in Italia dopo la riforma abbiamo due agenzie di intelligence, che operano un po’ come la Cia e l’Fbi americane. E’ così?

«Prima dell’ultima riforma c’era il Sismi, che era il servizio informazioni miliari, e il Sisde, il servizio dell’ufficio Affari riservati del Ministero degli interni degli anni ’50-’70. Le competenze di questi enti sono state riunite creando l’Aise, l’agenzia informazioni e sicurezza esterna, e l’Aisi, l’agenzia informazioni e sicurezza interna. In teoria l’Aise si occupa solo di spionaggio fuori dei confini nazionali mentre l’Aisi solo di spionaggio interno ma l’Italia non sono gli Stati Uniti, che pur essendo straordinariamente multietnica è una nazione decisamente monolitica culturalmente e può pensare di fare spionaggio solo all’estero mentre all’interno opera l’Fbi. Noi dobbiamo agire dieto la porta di casa e se operiamo a Vienna e poi a Roma perché ci sono stretti collegamenti tra cellule terroristiche o infiltrati russi, da una parte opera l’Aise e dall’altra Aisi? Sto semplificando ma per l’Italia, che ha sempre fatto fatica ad assicurare risorse, mai peraltro sufficienti, ad una agenzia di sicurezza militare, dividerla in due non mi sembra una cosa buona. Gli americani hanno risorse tali che possono permettersi duplicazioni e sovrapposizioni noi no. Si tratta di una mia opinione personale e so che ci sono pareri discordi ma la chiave di tutto è la politica. Noi abbiamo una consolidata tradizione, incrementata anche dalle missioni italiane all’estero pur con luci e ombre ma se il vertice politico, a livello di ministero ma soprattutto di Presidenza del Consiglio non ha gente disposta a occuparsi di certe cose per dare delle direttive di un certo tipo non può pretendere o attendersi risultati di un certo tipo. Se il personale politico non si occupa di intelligence perché costa fatica o il politico italiano medio non ha le competenze, non possiamo sorprenderci se dai servizi segreti sembra arrivare poco».

In effetti se guardiamo a certi nostri politici specialmente del recente passato cascano le braccia…

«Non è il caso di essere ingenerosi perché se guardiamo all’agone politico internazionale specialmente europeo dell’ultimo decennio ne usciamo quasi meglio degli altri. Però ricordo le poche parole di Margaret Teacher nel suo libro Gli anni di Downing street sulla sua permanenza in carica come primo ministro britannico dove ha dedicato agli italiani solo una riga e mezzo. Di Andreotti ha scritto che era uno strano personaggio il quale pensava che le persone con dei principi morali fossero ridicole mentre sui politici italiani in generale ha scritto di aver poco da dire su di loro perché la sensazione che aveva è che a loro interessasse solo di avere a favore di telecamera il tappeto rosso, la banda e il picchetto d’onore mentre dei colloqui che dovevano esserci di carattere politico, strategico, industrial sembrava non gli interessasse nulla. Forse avrà fatto di tutta l’erba un fascio o sarà stata troppo dura ma se la realtà era quella con quel personale non è possibile trarre il meglio da servizi anche professionalmente capaci».

Non so se è il caso spezzare una lancia in favore dei nostri servizi di sicurezza ma durante gli anni cupi del terrorismo islamico e jihadista noi italiani siamo usciti pressoché indenni.

«Sono assolutamente d’accordo e questo depone a favore dei servizi, perché si può anche criticare la scelta di scendere a patti per mettere al sicuro la tua popolazione ma se questo avviene significa che avevi i contatti giusti, ti sei saputo proporre nel modo giusto e questo fa parte della tua professionalità. Poi il politico può anche dire: con quelli non tratto, ma se un accordo c’è stato e ha avuto successo certamente questo depone a favore. Se poi semplicemente siamo stati vigili più di altri ancora meglio. Se l’Italia nel secondo dopoguerra ha pubblicamente deciso di volare basso non necessariamente significa che certe capacità siano state abbandonate».

Se poi vogliamo essere un po’ polemici possiamo pensare che certe istituzioni si sono dovute adattate ad andare avanti per proprio conto, senza aspettare le direttive di politici incompetenti o latitanti…

«In un certo senso è vero, nel bene e nel male. Nel male si può pensare ad una struttura burocratica che si autoalimenta inventandosi il perché di una sua esistenza che altrimenti non avrebbe senso. Nel bene, siccome dall’alto non arrivano direttive si pensa ad organizzarsi per fare comunque un lavoro importante nell’interesse della comunità nazionale»

Leggi anche:

Le attività degli 007 italiani nell’Albania comunista

Le brillanti operazioni dei servizi segreti italiani – informazionecattolica.it

Qui la terza parte dell’intervista

Foto di succo da Pixabay

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