L’attacco dei guerriglieri di Hamas ad Israele. Chi semina vento…

di Pietro Licciardi

NETANYAHU ALLA FINE HA AVUTO LA “SUA” GUERRA GRAZIE ALLA QUALE CONSOLIDA UN GOVERNO PARECCHIO CRITICATO DAI MODERATI

Il conflitto russo-ucraino, mostrando al mondo la debolezza bellica della Russia e impegnando a fondo la Nato dal punto di vista militare ha scoperchiato il vaso di Pandora, sconvolgendo i delicati equilibri in aree del mondo già sotto pressione. Dopo i tentativi di spostare l’asse economico-strategico verso Oriente in corso da parte dei Paesi Brics, la Turchia che cerca di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel Mediterraneo e Medio Oriente dove fa sentire la sua presenza in Libia e Siria mentre nel Caucaso spinge Azerbaigian a liquidare la presenza armena, si è aperta improvvisa un’altra crisi.

Questa volta è toccato a Israele incassare il colpo di una offensiva in piena regola scatenata dalle forze sunnite di Hamas che ha duramente attaccato con missili e droni le città dello stato ebraico causando fino a questo momento circa 100 morto e 900 feriti. Numerosi anche gli ostaggi, militari e civili, catturati dai miliziani palestinesi.

Nonostante lo stato di perenne allerta dell’apparato militare israeliano e la fama di efficienza dei suoi servizi di intelligence l’attacco palestinese sembra abbia colto completamente di sorpresa Tel Aviv che probabilmente è la prima a subire le ricadute militari del conflitto ucraino, il quale ha mostrato che armi poco o niente sofisticate e poco costose, come i droni e i razzi possono infliggere molti danni ad eserciti tecnologici e organizzati come la Israel Defense Forces (IDF), che infatti ha potuto ben poco con i suoi apparati di difesa antiaereo e missilistici contro la pioggia di ordigni, circa cinquemila, partiti da Gaza e caduta sulla città di Sderot sul confine sud, Ashkelon e Ashdod sulla costa, oltre che su Tel Aviv e Gerusalemme, ben più a nord.

Probabilmente tutto si risolverà relativamente a breve con un bagno di sangue, soprattutto a spese della popolazione palestinese di Gaza, considerato che il leader israeliano Benjamin “Bibi” Netanyahu parlando al telefono col presidente americano Joe Biden il quale ha assicurato che gli Stati Uniti sono al fianco di Israele, ha già annunciato che lancerà una campagna militare «lunga e prolungata».

Per quanto riguarda le possibili conseguenze di questi attacchi uno dei punti interrogativi riguarda proprio gli Stati Uniti, in quanto la Casa Bianca potrebbe decidere di impicciarsi anche in questa guerra per distogliere l’attenzione dall’impasse sul fronte ucraino e presentarsi in campagna elettorale in vista delle presidenziali del novembre 2024 con un tangibile successo in politica estera.

Ma c’è anche chi fa notare che questo massiccio attacco di Hamas arriva dopo mesi di retorica, provocazioni incrociate e scavo di trincee di odio tra lo Stato ebraico e l’organizzazione militante palestinese in cui al noto oltranzismo di Hamas si è aggiunto quello del governo di estrema destra israeliano il cui leader Netanyahu appariva in crescente difficoltà di fronte alle proteste contro le sue politiche, la riforma della giustizia e la svolta iper-conservatrice sul fronte securitario interno.

Solo tra giovedì e venerdì l’ultimo caso di uno dei fatti che Hamas pretende di “vendicare” nel “Giorno della Rivoluzione”: guidati da un deputato alla Knesset, Zvi Sukkot, dei coloni israeliani in Cisgiordania hanno messo a ferro e fuoco Huwara, nella Cisgiordania occupata, provocando la morte di Labib Dhamidi, un ragazzo di 19 anni non affiliato ad alcuna organizzazione militante.

Sukkot è membro del Partito Sionista Religioso, alleato di Netanyahu nel governo assieme a Potere Ebraico, la formazione del Ministro della Sicurezza Nazionale Itman Ben-Gvir. Il leader del Likud – altro partito nazionalista – ha quindi associato due forme di estrema destra apparentemente antitetiche tra di loro: quella iper-religiosa e più fedelmente legata al tradizionalismo ebraico e quella del nazionalismo sionista “laico”; entrambe accomunate da un feroce odio per i palestinesi che è la cifra distintiva del governo nato dopo il voto di fine 2022.

Una miscela esplosiva che ha suscitato le critiche e l’opposizione degli ambienti moderati che temono come l’oltranzismo della compagine governativa non faccia altro che fornire innumerevoli assist ai nemici di Israele nel mondo.

Paradossalmente l’attacco di Hamas rappresenta una mano tesa al suo mortale nemico Netanyahu, il quale adesso può giustificare la permanenza al potere e l’alleanza con l’estrema destra, anche se tutto ciò Israele lo sta pagando a caro prezzo: mostrando la sua fragilità e vulnerabilità sul piano della sicurezza e rendendo ancor più profondo l’odio che separa ebrei e palestinesi.

In un sol colpo sono stati bruciati tutti i passi faticosamente fatti se non verso una forse impossibile pacificazione, almeno verso una sia pur precaria stabilizzazione dei rapporti tra Israele e palestinesi. Ancora una volta ricordiamo le parole di Pio XII poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra».

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