Provare dolore per le proprie incoerenze è un buon segno!

di Giuliva Di Berardino

COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO A CURA DI UNA TEOLOGA LITURGISTA

XXXI domenica del Tempo Ordinario

Mt 23, 1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ”rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare ”rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ”padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ”maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”.

In questa XXXI domenica del Tempo Ordinario, il Vangelo ci trasmette un discorso di Gesù rivolto alla moltitudine e ai discepoli. Gesù afferma che i farisei, “dicono ma non fanno“, cioè non sono credibili, non sono meritevoli di fiducia. Chiediamoci oggi se anche noi, nonostante tutta la nostra buona volontà, possiamo essere meritevoli di fiducia o se, a volte, non lo siamo. Avere la fiducia degli altri ci fa onore, perderla è sempre una sconfitta che ci addolora, perché l’incoerenza ci mette davanti al fatto che siamo irresponsabili verso noi stessi e verso gli altri.

Provare dolore per le proprie incoerenze, però, è un buon segno, perché significa che siamo usciti da quella sorta di illusione che coltiviamo in noi per distinguerci dagli altri e cercare di essere i migliori, denigrando gli altri e pretendendo dagli altri una sorta di rispetto. Questo non ci fa onore, perché non fa onore alla nostra umanità: il rispetto non si ottiene con l’illusione, ma con il servizio. Ed è questa la via che oggi la liturgia ci insegna: Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato. Mettersi a servizio degli altri  ci aiuta a far cadere in noi ogni illusione, ogni pretesa, perché è la qualità del nostro metterci a servizio degli altri che ci rende persone autorevoli e rispettate, se non altro perché mettersi a disposizione degli altri, servirli, è l’unico stile di vita che non crea distanze, che può realizzare parità e costruire fraternità, amicizia, collaborazione tra le persone. Chiediamo allora al Signore che in questa domenica possiamo accogliere la gioia di servire gli altri, di capire che l’unica via per vivere bene è aiutarci gli uni gli altri con sincerità e purezza di intenzioni, senza ipocrisia, né presunzione.

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