Quell’equivoco che alimenta confusione e dannosi disorientamenti

di Federico Pellettieri

LA DUBBIA APERTURA ALLA BENEDIZIONE DELLE COPPIE “IRREGOLARI”

Con riferimento alla recente Dichiarazione “Fiducia supplicans” del Dicastero per la dottrina della fede del 23.12.2023, approvata da Papa Francesco, in tema della benedizione delle coppie di omosessuali e di divorziati risposati, è preliminarmente opportuno fare riferimento ai precedenti documenti ufficiali della Chiesa cattolica che hanno trattato di tale argomento.

Nel testo dell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis del 22.02.2007, sottoscritto da Papa Benedetto XVI, a proposito dei divorziati risposati, dopo aver affermato che , “la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale e che tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall’aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali”, questi ultimi vengono esplicitamente invitati ad “evitare, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio”.

Nel “Responsum della Congregazione per la dottrina della fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso del 15.03.2021” si sostiene, con l’esplicita approvazione di Papa Francesco, che “quando si invoca una benedizione su alcune relazioni umane occorre – oltre alla retta intenzione di coloro che ne partecipano – che ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere e ad esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore. Sono quindi compatibili con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa solo quelle realtà che sono di per sé ordinate a servire quei disegni.

Per tale motivo, non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell’unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso. La presenza in tali relazioni di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare, non è comunque in grado di coonestarle e renderle quindi legittimamente oggetto di una benedizione ecclesiale, poiché tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore.

La dichiarazione di illiceità delle benedizioni di unioni tra persone dello stesso sesso non è quindi, e non intende essere, un’ingiusta discriminazione, quanto invece richiamare la verità del rito liturgico e di quanto corrisponde profondamente all’essenza dei sacramentali, così come la Chiesa li intende. Inoltre, poiché le benedizioni sulle persone sono in relazione con i sacramenti, la benedizione delle unioni omosessuali non può essere considerata lecita, in quanto costituirebbe in certo qual modo una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale, invocata sull’uomo e la donna che si uniscono nel sacramento del Matrimonio, dato che non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppur remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia.

Per i suddetti motivi, la Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso nel senso sopra inteso”.

Nello stesso documento su richiamato, viene, anche aggiunta la seguente precisazione: “La risposta al dubium proposto non esclude che vengano impartite benedizioni a singole persone con inclinazione omosessuale, le quali manifestino la volontà di vivere in fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento ecclesiale, ma dichiara illecita ogni forma di benedizione che tenda a riconoscere le loro unioni. In questo caso, infatti, la benedizione manifesterebbe l’intenzione non di affidare alla protezione e all’aiuto di Dio alcune singole persone, nel senso di cui sopra, ma di approvare e incoraggiare una scelta ed una prassi di vita che non possono essere riconosciute come oggettivamente ordinate ai disegni rivelati di Dio.

Nel contempo, la Chiesa rammenta che Dio stesso non smette di benedire ciascuno dei suoi figli pellegrinanti in questo mondo, perché per Lui siamo più importanti di tutti i peccati che noi possiamo fare. Ma non benedice né può benedire il peccato: benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui. Egli infatti ci prende come siamo, ma non ci lascia mai come siamo”.

Con la recentissima Dichiarazione “Fiducia supplicans” del 18.12.2023, esplicitamente approvata da Papa Francesco, viene preliminarmente chiarito che lo scopo del documento in questione “è quello di offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni, che permette di ampliarne e arricchirne la comprensione classica strettamente legata a una prospettiva liturgica” che renda, invece, “inammissibili riti e preghiere che possano creare confusione tra ciò che è costitutivo del matrimonio, quale unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli, e ciò che lo contraddice. Questa convinzione è fondata sulla perenne dottrina cattolica del matrimonio. Per questo motivo, a proposito delle benedizioni, la Chiesa ha il diritto e il dovere di evitare qualsiasi tipo di rito che possa contraddire questa convinzione o portare a qualche confusione. Tale è anche il senso del Responsum dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede laddove afferma che la Chiesa non ha il potere di impartire la benedizione ad unioni fra persone dello stesso sesso”.

Con un ragionamento di obbiettiva non facile comprensione, la Dichiarazione in questione, suggerendo una visione non più liturgica, ma pastorale della benedizione, testualmente afferma che “tale riflessione teologica, basata sulla visione pastorale di Papa Francesco, implica un vero sviluppo rispetto a quanto è stato detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa” pervenendo, così, alla conclusione che “proprio in tale contesto si può comprendere la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso, senza convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio”, in evidente contrasto con le precedenti affermazioni.

La possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari, così come presentata nella suddetta Dichiarazione, è stata accolta da più parti come autentica rivoluzione, ma un’attenta lettura del testo sembra offrire una contraria conclusione.

In tale documento si legge, infatti, che “nelle benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso si impartisce una benedizione che non solo ha valore ascendente ma che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo. Queste forme di benedizione esprimono una supplica a Dio perché conceda quegli aiuti che provengono dagli impulsi del suo Spirito – che la teologia classica chiama “grazie attuali” – affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino……… Nella breve preghiera che può precedere questa benedizione spontanea, il ministro ordinato potrebbe chiedere per costoro la pace, la salute, uno spirito di pazienza, dialogo ed aiuto vicendevole, ma anche la luce e la forza di Dio per poter compiere pienamente la sua volontà”.

Con tali affermazioni si dà, infatti, per scontato, nei richiedenti, la sussistenza di un atteggiamento – consapevolezza dell’irregolarità del proprio stato, assoluta assenza di richiesta di legittimazione dello stesso, riconoscimento della propria indigenza e richiesta di aiuto a Dio per liberarsi delle proprie imperfezioni e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo – tutti elementi che, nel “Responsum” su citato, venivano indicati come valido atteggiamento per conseguire una benedizione, in deroga al divieto a carattere generale come sopra fatto presente.

E’ evidente che presumere la sussistenza della suddetta particolare predisposizione d’animo, da parte dei richiedenti, non fa altro che ribadire implicitamente la sua necessità al fine di ottenere la benedizione richiesta, anche se quanto sopra riportato non ha formato oggetto di particolare attenzione, perché del tutto dimenticato.

Per concludere, nulla è cambiato sull’argomento in oggetto rispetto alle precedenti determinazioni, tranne l’insorgere di un evidente equivoco che può solo alimentare confusione e dannosi disorientamenti.

 

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