È ancora possibile un discorso razionale?

di Sergio Caldarella

APPUNTI SULL’ENIGMA DELLA RAGIONE

Quando, nella sua opera più nota, George Orwell scriveva che «La libertà consiste nella libertà di poter affermare che due più due fa quattro» egli, da acuto pensatore, aggiungeva: «Garantito questo, tutto il resto ne consegue».

La domanda indiretta che la pubblicazione di testi quali The Enigma of Reason di Dan Sperber e Hugo Mercier (Harvard University Press, 2017) pongono, può essere riassunta con: è ancora possibile un discorso razionale da cui poter derivare quelle conseguenze logiche invocate da Orwell, quando la razionalità viene ormai presentata come se questa fosse priva di un legame con l’oggettività?

La domanda non è certo semplice ed il discorso sul tema è stato da tempo reso confuso da una gran quantità di pubblicazioni e narrazioni le quali hanno, però, più o meno tutte un’intenzione politicamente eterodiretta: se la ragione è un nulla, il nulla è allora la ragione! Quale miglior motto per il XXI secolo! 

Se volessimo trovare un precursore al libro di Sperber e Mercier si potrebbe anche ricordare una raccolta di saggi di Paul Feyerabend, pubblicata nel 1987, con il titolo Farewell to Reason e recensita da Trevor Pinch iniziando dalla domanda: «Qual è la differenza tra un venditore e Paul Feyerabend? Risposta: non molto. Entrambi usano la retorica per convincerti a separarti da qualcosa. Il venditore vuole che ti separi dai tuoi soldi; Feyerabend vuole che tu ti separi dalla tua ragione».

Mutatis mutandis, la stessa frase potrebbe ben essere applicata al libro di Dan Sperber e Hugo Mercier, l’uno ricercatore nei dipartimenti di scienze cognitive e filosofia dell’Università privata dell’Europa centrale a Budapest ed all’Institut Jean Nicod presso l’École Normale Supérieure di Parigi, l’altro ricercatore presso il CNRS a Lione.

Teorizzazioni come quelle del suddetto Feyerabend, acclamato nei salon contemporanei e ben noto per il suo libro Contro il metodo (1975), in cui invocava «una teoria anarchica della conoscenza», mettono insieme molte approssimazioni, ma rivelano anche come l’autore assuma un presupposto laplaciano di realtà «forte» in cui «la mente umana raggiunge la realtà», qualunque cosa significhi qui questo «raggiungere».

Al tempo stesso, quest’impostazione forte nei confronti del «reale» produce una profonda incomprensione sul procedere attivo della scienza che emerge da una visione storicista espressa in frasi del tipo: «Le formule che adornano i nostri libri di testo sono parti temporaneamente congelate di attività che si muovono con il flusso della storia». Sembra di leggere qui un’anticipazione del famoso saggio beffa di Alan Sokal: Violare le frontiere. Verso una ermeneutica trasformativa della gravità quantistica, del 1996, con cui prese platealmente in giro quella parte dell’intellighenzia da salotto che sproloquiava di scienza senza neppure intenderne le basi.

Nella frase ad effetto di Feyerabend mancano esempi che indichino quali siano queste «formule che adornano» mentre, sullo sfondo, si coglie ancora l’opinione del Nostro secondo cui, seppur invocando un relativismo estremo, sembra aspiri – o voglia indicare – ad una sorta di immutabilità del reale che tali «formule adornanti», qualunque cosa queste siano, dovrebbero a suo dire rendere. Feyerabend ritorna, e non è un caso, persino a Senofane, tralasciando però Eraclito il quale, anche rimproverando Senofane, insegnava che è il divenire l’essenza di tutte le cose e non la rigida formulazione che l’acclamato accademico austriaco si attende dalla scienza e dalle sue proposizioni. 

La razionalità non è una formula.

Una tra le tesi centrali ripetute ad nauseam nel libro The Enigma of Reason è quella secondo cui «Produciamo ragioni per giustificare i nostri pensieri e le nostre azioni agli altri e per produrre argomenti per convincere gli altri a pensare e ad agire come noi suggeriamo». Tesi più volte ripetuta: «La ragione, sosteniamo, ha due funzioni principali: quella di produrre ragioni [autoreferenzialità o razionalità chiusa] per giustificarsi e quella di produrre argomenti per convincere gli altri». Gli autori discettano, ossia, su una «ragione» la quale, con questo continuo rimando al «convincere gli altri» e non al mero argomentare logico ed obiettivo, confina, in maniera sospetta e pericolosa, con l’ideologia sofistica della modernità. 

Un commentatore, recensendo il libro su Psychology Today, ha tentato di giustificare simili definizioni nel testo rifacendosi alla divisione presentata dai due autori tra un approccio «interazionista» ed uno «intellettualista»: «Il libro presenta un approccio “interazionista” al ragionamento umano e lo contrappone all’approccio “intellettualista”.

Invano, però, cercare nel libro una definizione di «ragione» che non sia un mero stereotipo tratto dalle variegate sofisticherie dell’epoca moderna. Questo testo è anzi zeppo di frasi che lasciano capire che gli autori non distinguono, in alcun modo, la ragione dalla sofistica o dalla chiacchiera: «È paradossale che, molto spesso, il ragionamento non riesca a portare le persone a mettersi d’accordo e, peggio ancora, che spesso esasperi le loro differenze». La «ragione» presentata in questo testo viene ridotta alle sole seduzioni e contorsioni della sofistica: in questa ratio non c’è più luce, non c’è più anima, non c’è più null’altro dalla manipolazione utilitaria di se stessi o d’altri o dalla giustificazione della volontà, in pratica il contrario di ciò che rientra, classicamente, sotto il manto della ragione. L’Enciclopedia Treccani alla voce ragione riporta ancora: «Facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e, al tempo stesso, facoltà che guida a ben giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male». Proprio questa parte, l’aspetto profondamente etico del discorso razionale, è espunto dai discorsi di Dan Sperber ed Hugo Mercier, ma anche dalle tematiche della socialità contemporanea. Più che provare a discernere il giusto dall’ingiusto si preferisce aderire a modelli di comunicazione e disinformazione che dirigono ciecamente da una parte o dall’altra. Tutto questo, chiaramente, prescinde dall’autonomia di giudizio cui dovrebbe essere invitato il singolo.

Un testo come The Enigma of Reason, se non esprimesse un’ideologia così pericolosa e tipica della nostra epoca, non meriterebbe alcuna menzione, tantomeno la pubblicazione e traduzione per i tipi della Harvard University Press. Questo testo non è soltanto una volgarissima parodia degli pseudoargomenti che stravolgono le vie e le aule del mondo contemporaneo ma anche, come già altri, un manuale d’uso su come rivoltare concetti antichi trasformandoli in categorie utilitarie al servizio del più linguacciuto o del più forte. È attraverso la pubblicazione di tali scritti che avviene la trasformazione ideologica del mondo in una grande farsa ad uso di coloro che detengono i mezzi. Quando la ragione diventa una mera funzione strumentale, una Zweckrationalität secondaria, la razionalità autentica scompare sotto l’utilitarismo e l’inganno. Un testo come quello presentato da Sperber e Mercier può apparire come un testo di psicologia, di filosofia e ad alcuni persino di logica, mentre è, in realtà, un volgarissimo manuale di propaganda a favore del relativismo imperante. Sotto la penna di questi due inetti cattedratici, coadiuvati dalla solita pletora di loro pari e compari, la ragione viene trasformata in un nulla o, per usare la loro terminologia, questa viene ridotta ad un meccanismo di inferenza intuitiva (p. 7)! 

Questo non è soltanto un pessimo libro, ma un testo che parla della nostra epoca e di quello che siamo diventati. In questo testo i due autori menzionano, apertamente e senza alcuna remora, quei modelli che essi identificano con la ragione ma che, in realtà, distinguono unicamente il loro modus operandi e la società nella quale tali soggetti prosperano. Oltre ai vari argomenti che questi due bellimbusti trattano con una sicumera ed un semplicismo spaventevoli essi confondono spesso temi quali, ad esempio, la ragione con la percezione (p. 16). Testi di tal genere mostrano, con una chiarezza spaventosa, come si stia fomentando una società in cui i concetti vengono facilmente trasformati in maniera radicale allo scopo di sottoporli al giogo dell’interpretazione sofistica che è, poi, una lettura totalizzante caratteristica della volontà di potenza da cui provengono quelle interpretazioni univoche e prive di alternativa del reale («there are no alternatives») con cui una classe politica, corrotta oltre ogni limite, sta cercando di manipolare e soggiogare le grandi categorie del pensiero liberale e democratico.

Tra le tante cose, questi due grandi «scienziati» non hanno neppure una vaga cognizione della differenza tra «innato» ed «istintivo» e, nell’introduzione, scrivono: «l’acquisizione della lingua della propria comunità ha una base istintuale» con evidente confusione tra innato ed istintivo, per non parlare poi del fatto che attribuiscono agli esseri umani l’istinto come si farebbe in un qualunque scambio di opinioni da televisione o da osteria.

La ragione si radica nei criteri dell’oggettività universalista («una rosa è una rosa è una rosa…»)  raggiunti attraverso la singolarità: la canna pensante di Pascal o il soggetto autonomo in Kant. Il tramonto dell’oggettività a favore di uno sfrenato relativismo soggettivista rende però difficile, se non impossibile, intendere l’universalismo della razionalità.

La ragione, se vogliamo assumerla in un senso funzionale, è un mezzo efficace per comprendere e comprendersi, questa è la sua funzione comunicativa posteriore a quella riflessiva. La ragione è allora qualcosa che unisce e non, come invece appare dai discorsi di questi signori, qualcosa che separa riesumando il vecchio quot capita, tot sententiae.

La razionalità viene interpretata, da Dan Sperber e Hugo Mercier, come una meccanica e questo anche a causa dell’interpretazione sillogistica di questa. A pagina 52 gli autori pongono il ragionamento semplicemente come un processo culminante in una decisione, ma il ragionamento finalizzato ad una qualsivoglia scelta applicativa è radicalmente diverso dal ragionamento indirizzato alla comprensione. Si potrebbe anche dire che la ragione strumentale e la ragione che avvolge e comprende (prisca ratio) non hanno un rapporto proprio. Ormai, però, il linguaggio viene reinventato con una velocità tale («rationality wars» p. 21) ed una creatività negromantica – pensiamo al modo in cui l’università di Harvard, per proteggere la rettrice Claudine Gay, ha ridefinito il plagio intellettuale come, «linguaggio duplicativo (duplicative language)» – che risulta impossibile seguire tutti questi vicoli ciechi creati dall’inondazione di opinioni che porta tanto scompiglio nella modernità. Quando il rapporto con la realtà si indebolisce arriva però il vecchio sueño de la razón da cui irrompono, nel mondo, demoni, spettri ed orrori di ogni genere e la responsabilità, di fronte a tutto questo, è di coloro che hanno partecipato al festival del delirio oppure taciuto.

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