Una folle teoria su Gesú da contrastare fortemente

di Alvise Parolini

FEDELTÀ AL MAGISTERO CATTOLICO E FILOSOFISMO HEGELIANO INTERRELIGIOSO SUL RING

Ci stiamo avvicinando alla Quaresima, tempo liturgico forte, nel quale siamo esortati a meditare sul senso del peccato, del perdono, della grazia e del valore della Redenzione di Cristo, oltre che rinnovare un fermo proposito di conversione di vita.

Dobbiamo stare attenti, perché nonostante siamo innestati in un periodo storico nel quale con sempre più facilità, è possibile documentarsi ed ascoltare le più disparate teorie o commenti in ambito religioso o para-religioso presso canali mediatici dei social e del web, molti di essi possono condurci fuori strada.

Una di queste seducenti teorie rivelerebbe come Gesù, prima di compiere la sua predicazione in Palestina, nei suoi anni di vita nascosta, abbia in realtà viaggiato in lungo ed in largo, specialmente in India, dove sarebbe stato iniziato a dottrine esoteriche ed avrebbe ricevuto insegnamenti da vari guru e maestri, in particolare quelli buddhisti nel territorio del Kashmir, dove ancor oggi si testimonia la presenza di Gesù.

I sostenitori di questa teoria si appoggiano con molta facilità sui vangeli apocrifi e gnostici, oltre che su rivelazioni private provenienti dagli ambienti New Age. La figura di Gesù sembrerebbe quindi prendere i contorni di un avatara (ovvero di un’incarnazione) del Dio Shiva, il Dio che nell’induismo vedico, rappresenta una delle tre manifestazioni (Trimurti) dell’Assoluto (Brahman), sovrintendendo nel mondo sensibile i cicli di distruzione e rinascita.

Da qui il collegamento con la crocifissione e risurrezione di Gesù risulta anche troppo immediato.
Cosa comporterebbe una simile prospettiva cristologica all’interno del sensus fidei dei cattolici?

Certamente verrebbe innanzitutto a scardinarsi la dimensione dell’offerta verginale dello stesso Cristo, in quanto se fosse ridotto ad avatara di Shiva, avrebbe esortato, almeno nel “periodo indiano”, ad abbracciare il culto della virilità, che Mosè, profeta di Dio ed autorità indiscussa, aveva proibito per il popolo d’Israele. Gesù diverrebbe dunque facilmente un rivoluzionario scardinatore dei precetti di purezza.

In secondo luogo, la moderata severità unita all’autorevolezza di Gesù durante la vita pubblica in Palestina, farebbero pensare ad un pentimento dello Stesso, quasi che avesse inverato in Sé il buon epilogo della parabola del figliol prodigo, dopo molto tempo passato lontano dalla Casa del Padre.

La Storia della Salvezza si ridurrebbe ad una conoscenza per giungere alla divinizzazione individuale ed il senso del peccato si appiattirebbe ad una semplice ignoranza delle tecniche spirituali per vivere nell’Assoluto.

Non sarebbe così necessario alcun Redentore o dottrina sul peccato originale, perché basterebbero la consapevolezza della divinità dell’uomo per renderlo redentore della propria vita unito ad un buddistico sentimento di compassione universale.

Per salvarci da queste seduzioni, dovremmo ricordarci che di Se Stesso Gesù dice: “da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma Lui mi ha mandato” (Gv 8,42), mentre il diavolo, “il principe di questo mondo è stato giudicato” (Gv 16,11) e che “egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44).

Se Gesù non fosse stato realmente innocente, da ogni peccato ed idolatria, quale sacrificio perfetto avrebbe potuto compiere? Ciò significherebbe dare ragione ad Hegel, ovvero che solo facendo esperienza del negativo e del peccato, si può giungere alla maturazione. Ma Hegel è filosofismo, non cristianesimo.

Gesù è l’Agnello di Dio, è innocente perché del negativo e del peccato ha subito le conseguenze da tutti noi ed ha riparato ogni mancanza, escluse quelle, inesistenti, Proprie e della Sua Divina Madre.

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AH, AH…ah…..
Cristo a Cristo,
VEDA ai Veda.