Dialogo sui crimini di Stalin e l’utopia comunista

di Francesco Bellanti*

RIVOLUZIONE, COMUNISMO, “UOMO NUOVO” SOCIALISTA, DISTRUZIONE DELLA RELIGIONE E STERMINIO DEI POPOLI

Monte Pizzillo, a Palma di Montechiaro, sotto un ulivo secolare, Iosif Stalin contempla il paese.

Francesco. Il vento della storia non ha disperso tutta l’immondizia deposta sulla tua tomba, compagno Stalin. 

Stalin. Le parole che dissi a Molotov nel 1943 – il vento della storia disperderà tutta l’immondizia deposta sulla mia tomba – non sono state confutate dalla storia, perché la storia non è ancora finita.

Francesco. Questo stesso vento, tuttavia, ti ha scaraventato in poco tempo nella parte sbagliata della storia. Caro Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica o Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo dell’URSS.

Stalin. Chi sei tu che ti riempi la bocca di storia, e dai giudizi definitivi su un titano della storia come Iosif Stalin? E perché mi chiami compagno?

Francesco. Il mio nome è… 

Stalin. Ah, ora so chi sei. Ho preso informazioni su tutti gli abitanti di questo paese. Sei un professorino di lettere del locale liceo, ultimo discendente di una famiglia di socialisti menscevichi di lungo corso. Chiamami pure compagno, ma non rompermi più i coglioni. Anch’io posso definirmi socialista, il mio primo partito si chiamava Partito Operaio Socialista Democratico Russo, anche se ero un bolscevico, del partito leninista. Che cosa vuoi da me?

Francesco. Poco più di niente, compagno Stalin. Chiederti, intanto, perché sei qui. E perché, all’ombra di quest’ulivo secolare sul monte Pizzillo, guardi così attentamente il paese sulla collina.

Stalin. Sono venuto a vedere il paese nel quale nascerà l’uomo nuovo e avrà inizio la seconda e definitiva rivoluzione comunista mondiale della storia. Quella che mi darà nuova gloria.

Francesco. Una nuova rivoluzione comunista? Dopo il crollo di tutti gli Stati comunisti, compreso il tuo? Qui, in questo paese? Qui, l’uomo nuovo? Ho qualche dubbio. Questo è un paese povero, disperato.

Stalin. Lo so: è il paese più disperato dell’Occidente. Ma mi hanno detto che qui ci sono gli ultimi comunisti.

Francesco. Non ci sono più comunisti in questo paese. La sezione comunista è stata chiusa molti anni fa. 

Stalin. Cazzo! Questa non me l’aspettavo. Allora non esistono più comunisti in Occidente?

Francesco. In Occidente non lo so. Ma in questo paese, no. Anzi, vorrei sbagliarmi, ma credo che non ci sia più nessuno di sinistra in questo paese. Ma questo è un paese bisbetico, cambia spesso umore. Chissà che non tornino, i rivoluzionari! Anche se ho i miei dubbi che con loro tu potrai realizzare la definitiva rivoluzione comunista mondiale della storia!

Stalin. Amico mio, la società capitalista volge al termine. L’Unione Europea sta franando, gli USA e il Giappone sono in crisi, l’Oriente e il petrolio stanno mettendo in ginocchio l’Occidente. Gli USA vogliono speculare sulla fine dell’ex URSS, vogliono mettere i missili nucleari nel culo dei russi, ora che la Nato non ha più senso di esistere, e l’Europa che fa da zerbino agli americani, che stanno sfruttando quel pagliaccio di Zelensky. Anche se quell’alttro pazzo di Putin ha sbagliato tempo e modi. Si stanno affermando Paesi giganteschi che domineranno il mondo, come la Cina, l’India. La società cosiddetta liberale, quella che secondo alcuni economisti visionari è lo sbocco finale della storia, è agli sgoccioli. Interi popoli premono dall’Africa, da Oriente, conflitti immani si affacciano all’orizzonte. Più di cento Paesi nel mondo sono in guerra. Il progresso tecnologico e industriale si sta rivoltando contro l’uomo, il capitalismo ha creato moltitudini sterminate di poveri ed eserciti di ceti medi emarginati, senza autentica partecipazione politica e senza uguaglianza di diritti. Sì, la società occidentale è finita. 

Francesco. Uhm, è da un secolo che la società occidentale viene data per spacciata. Ma io, compagno Stalin, prima di parlare di società liberale e di rivoluzione, e di uomo nuovo, vorrei parlare innanzitutto della tua morte. Da cui tutto comincia, anche la vita. Quella morte così bene descritta dalla tua figlia prediletta, Svetlana. Disse che sul letto di morte la tua agonia fu spaventosa, che avevi uno sguardo terribile, folle, pieno di terrore. Disse che, furibondo, minacciasti tutti con la mano prima di morire. Compagno Stalin, come si sta dopo una morte così?

Stalin. Io, nel bene e nel male, ho compiuto un destino. Tu, non lo so.

Francesco. Nelle parole di tua figlia c’è la denuncia di un regime, l’atto d’accusa contro un tiranno.

Stalin. Ehi, gringo, non mi fare parlare male della mia adorata Svetlana. Nella morte ho perdonato anche i miei peggiori nemici. Io fui un tiranno: ma ogni grande rivoluzione deve pagare dazio al sangue e alla tirannide. 

Francesco. Uh, la rivoluzione! Diciamo pure un colpo di Stato. Una rivoluzione fatta da una minoranza bolscevica, in un Paese di contadini analfabeti, tradizionalisti e molto religiosi, un mondo disperso e solitario in un territorio sterminato. Insomma, il colpo di Stato predicato da Lenin nella sua dottrina. 

Stalin. Amigo, una cosa è la rivoluzione, un’altra è la strategia. Sì, occorreva agire nello spirito e nel pensiero di Lenin. Una rivoluzione è possibile solo se c’è un partito che si assume il ruolo di guida e di avanguardia del movimento rivoluzionario, in una società in cui le condizioni di vita dei lavoratori sono insostenibili. Nella Russia zarista c’erano tutte le condizioni per un’azione rivoluzionaria del genere. Ma in ogni grande rivoluzione è sempre stato così. Chi era a capo della Rivoluzione Francese? I sanculotti assaltarono la Bastiglia, ma a tagliare la testa a Luigi XVI fu Robespierre.

Francesco. Lenin, Robespierre… Se penso che saresti potuto diventare un sacerdote ortodosso, compagno Stalin!

Stalin. È vero, mia madre mi voleva sacerdote. Frequentai un buon seminario ortodosso a Tbilisi, e feci buoni studi umanistici, studiai anche il francese. Mia madre mi adorava. 

Francesco. Eppure c’è chi sostiene che tu abbia avuto un’infanzia infelice. E che la tua violenza, la tua paranoia e il tuo sadismo abbiano origini in questa infanzia infelice. 

Stalin. Ehi, yankee, vacci piano. Io non fui affatto un sadico e un paranoico. Sì, è vero, mio padre era una cosa inutile, un violento che spesso mi picchiava. Ma questo non mi ha procurato particolari turbe psicologiche. 

Francesco. Compagno Iosif Vissarionovich Dzhugashvili detto Stalin, uomo d’acciaio, sei passato alla storia come un sadico, un perverso, anche se la tua vita privata è ancora avvolta dal mistero. Che c’è di vero? Forse che non solo i dittatori fascisti, ma anche i tiranni bolscevichi, erano satiri possenti? Come te e Berija malato di sesso?

Stalin. Modera le parole, giovanotto. È lo stesso vento malefico che non ha spazzato via l’immondizia sulla mia tomba. Sì, in effetti ero molto virile, ebbi molte amanti, anche artiste, ballerine. Ma, in genere, non ero io che le cercavo, erano loro che cercavano il potere. 

Francesco. O tu, padre di tutti i popoli, qualcuno avrebbe voluto chiamarti padre di tutti i figli. O di tutti gli aborti. O di tutti gli incesti. A cominciare da quello con Nadezhda Alleluievna, la tua giovane seconda moglie. Morta suicida. Che forse era tua figlia. Inoltre, si è sempre avuta la sensazione che Stalin non amasse molto né le sue mogli, né le sue amanti, né i suoi figli.

Stalin. Ehi, guapo. Non credo che un uomo della statura di Iosif Stalin debba essere giudicato per questi pettegolezzi pruriginosi e infondati da una nullità come te. Berlusconi vi ha abituati male. Nei Paesi capitalisti vi è un concetto sbagliato del sesso e dell’amore.

Francesco. Forse hai amato solo tua figlia Svetlana, compagno Stalin. Svetlana, l’unica che occupò un posticino nel tuo cuore, l’unica che chiamavi la padrona, di cui accettavi i consigli. Anche perché molti figli, in effetti, non li hai mai conosciuti. Kostja, per esempio, avuto da Matrena nel 1911, e i due figli avuti dalla minorenne Lida Perepryghina tra il 1915 e il 1917. Aveva quattordici anni, potevi essere impiccato. Ne hai riconosciuto uno, promettendo di sposare la minorenne. 

Stalin. La verità, amico mio, è che io ero sbattuto di qua e di là, dal Mar Nero al Mar Caspio, dagli Urali al Pacifico, e nell’attesa della rivoluzione dovevo pur fare qualcosa.

Francesco. La verità è, forse, come disse tua figlia Svetlana, che tu, pur di raggiungere i tuoi obiettivi, marciavi tra montagne di cadaveri e ti sbarazzavi di nemici e avversari, tutti. Anche quelli a te vicini. Novello Nerone, in ricordo dei tuoi buoni studi, hai perseguitato i sacerdoti, hai distrutto le chiese di tutta la Russia. Anche se te ne sei servito, della Chiesa ortodossa dico, per combattere Hitler. Hai invocato la Grande Madre Russia, fatto l’elogio del popolo russo pervaso di sentimento religioso, perché i russi avrebbero combattuto per la patria in pericolo, ma mai per il comunismo. 

Stalin. Ehi, chierichetto, i preti e i monaci erano i peggiori esponenti e sostenitori di una società sbagliata. La famiglia imperiale era nelle mani di un monaco pazzo, Rasputin, una figura tragica, personificazione diabolica di quel tempo. Era lui il vero padrone dell’Impero zarista, profittò della debolezza dello zar. E di altri personaggi deboli, ignoranti e corrotti, che erano al servizio di Nicola II Romanov.

Francesco. E tu hai risolto i problemi della Russia col martirio e l’eccidio dei religiosi, la persecuzione nefasta di preti e vescovi, la distruzione di tutte le chiese e di tutti i monasteri. Hai distrutto quasi tutti i mille monasteri della Russia, hai chiuso quasi 55.000 chiese, hai fatto fucilare più di 110.000 membri del clero ortodosso, hai mandato nei gulag più di 5.000.000 di fedeli, hai addirittura messo al bando con una legge del 1937 l’idea stessa di Dio! E di Ebrei ne hai perseguitati e uccisi milioni, peggio di Hitler!

Stalin. Abbassa il tono, bischero, e non fare l’ipocrita moralista! E non accostarmi a Hitler. Come si viveva sotto l’Impero zarista? C’era una società arcaica, medievale, che venerava un imbelle Zar come un semidio, una società debole sul piano politico e militare, andata subito in sfacelo dopo le prime battaglie della Prima guerra mondiale. Tutta la terra era nelle mani della Chiesa e di una minoranza aristocratica. 

Francesco. E tu sei andato subito per le spicce.

Stalin. Tu sei un mona. Quella era una società senza democrazia e partecipazione popolare. Il popolo era costretto alla fame, nonostante che il Paese fosse il primo produttore agricolo del mondo. Quando io giunsi alla guida del Partito, avevo davanti un compito immane. Non sarebbe stato facile governare uno Stato di 22 milioni di chilometri quadrati, il più grande della Terra. Un continente, con 100 popoli e tutte le religioni del mondo, tutte le razze, tantissime lingue, tradizioni, culture. Russi, ucraini, bielorussi, georgiani, tagiki, usbeki, estoni, moldavi, kirghisi, lettoni, lituani, armeni, kazaki, turcomanni, azeri, mongoli.

Francesco. Trockij. Tu dici sempre “io”, compagno Stalin. Ma, vuoi forse negare che Lenin aveva indicato Trockij come suo erede alla guida del Pcus e che tu e i tuoi compari Zinov’ev e Kamenev avete nascosto il testamento di Lenin?

Stalin. Non fare lo stupido. I miei avversari nel Partito non erano agnelli. La lotta per il potere è sempre spietata. Non il potere fine a sé stesso, ma il potere strumento per realizzare un progetto.

Francesco. Ah, certamente. Infatti, subito dopo hai liquidato i tuoi compari Zinov’ev e Kamenev. E poi Tomskij, Rikov, Bucharin… Bucharin, un intellettuale di prim’ordine, moderno, riabilitato da Gorbaciov.

Stalin. Ora mi hai rotto la minchia. Sei un provocatore, una spia dell’Occidente. E non chiamarmi più compagno.

Francesco. Facciamo qualche altro nome delle tue vittime? Il georgiano Grigory Orgionikidze, tuo amico intimo e conterraneo, che costringesti al suicidio e a cui facesti grandi funerali di Stato; il maresciallo Tuchacevskij, capo dell’Armata Rossa; Sergej Kirov, capo del partito nel 1934, a Leningrado. E…

Stalin. Basta, mi hai rotto i coglioni! Il socialismo non è solo una sequela di processi e di condanne a morte! Io ho ereditato un’immensa moltitudine di popoli senza Patria, la grande Madre Russia devastata dalla guerra mondiale e dalla guerra civile, centinaia di milioni di cittadini e di mugiki affamati e senza casa, uno sconfinato Paese isolato dal mondo. Dopo la morte di Lenin, nel 1924, dovevo diventare un costruttore di Nazioni. L’Unione Sovietica doveva mobilitare tutte le proprie risorse per consolidare e salvaguardare la sua Rivoluzione socialista in un solo Paese. Per questo motivo il pericoloso e visionario Trockij con la sua rivoluzione permanente andava isolato.

Francesco. Eh, sì! Ogni rivoluzione che si rispetti pretende il sangue di tutti gli oppositori. Chi non era d’accordo col Centralismo Democratico (oh, che bell’ossimoro moderno!), era chiamato frazionista, scissionista. Già nel 1927 avevi liquidato lo psichiatra Vladimir Bechterev che ti aveva diagnosticato una sindrome paranoide. A cominciare da Trockij, poi, tutti i tuoi avversari furono intimiditi, pestati, perseguitati, liquidati con metodi brutali, uccisi. 1.500.000 condanne a morte per reati politici, 35.000 ufficiali dell’Armata Rossa uccisi, i comandanti più prestigiosi, quindi purghe, deportazioni di interi popoli. Tutto questo era necessario per la rivoluzione?

Stalin. Ehi burdel, testa dura. Io dovevo trasformare un Paese agricolo, povero, arretrato, in un grande Paese moderno industrializzato, in una grande potenza in grado di affrontare le prove difficili e apocalittiche che la attendevano. Io ho fondato città, ho alfabetizzato popoli di analfabeti e ignoranti, e tu non fai altro che parlare di processi e purghe! Vogliamo parlare dei crimini commessi dagli italiani per l’Unificazione, oppure del tradimento scellerato ai danni di Austria e Germania nella Prima guerra mondiale? Dei tradimenti nella Seconda guerra mondiale? Avete dichiarato guerra a tutti, perfino ai vostri alleati, Germania e Giappone.

Francesco. Ah, sì? Parliamo di economia, allora. Hai confiscato tutti i beni della Chiesa per eliminare la fame, e invece la fame è aumentata, come sono aumentati i cadaveri nelle strade… Hai distrutto i kulaki, la piccola e media proprietà terriera… 

Stalin. I kulaki! All’inizio io mi allineai con Bucharin, volevo che i kulaki potessero arricchirsi e trarre profitto dalla loro attività, nello spirito della Nuova Politica Economica, contro l’economia di guerra e contro Trockij. Ero favorevole a liberalizzare il commercio dei prodotti agricoli e a sostenere lo sviluppo della piccola impresa privata.

Francesco. Infatti, Bucharin aveva compreso che solo con l’aumento della produttività agricola, la Russia poteva, anche se lentamente, intraprendere la via dello sviluppo. Bucharin, che hai fatto giustiziare…

Stalin. Ma nel 1927, una grave crisi agricola mi costrinse a ripristinare la vecchia economia di guerra e a requisire la produzione agricola. Dovetti introdurre una pianificazione integrale dell’economia, la collettivizzazione delle terre, privilegiare l’industrializzazione del Paese. La Russia doveva diventare una grande potenza.

Francesco. Bella economia! Scomparvero il commercio e la piccola industria; i contadini dei kolchoz, le cooperative agricole, compresi i kulaki declassati, e quelli ancor più demotivati dei sovchoz, le aziende statali, non erano in grado di rispettare le consegne e le quote assegnate. I raccolti venivano allora sequestrati dalla tua polizia politica. I contadini perciò erano costretti a imboscare le derrate alimentari e a macellare di nascosto il bestiame. La soluzione? Eliminazioni fisiche e deportazioni di massa. Per un pugno di grano, i figli della Grande Madre Russia li facevi fucilare sul posto, tu hai cancellato dalla storia interi villaggi. I contadini non potevano abbandonare i villaggi. Hai portato il Paese alla fame, con forme arcaiche di produzione, lavoro coatto nei gulag e aziende statali prive del valore della produttività e della qualità. 

Stalin. Picciuttè, io ho modernizzato il Paese e ho fatto dell’Unione Sovietica un Paese tecnologicamente avanzato, dotato di armi nucleari, e la seconda potenza mondiale.

Francesco. E per far questo non ci hai pensato due volte a diventare uno sterminatore di popoli…

Stalin. Tu sei una minchia piena di nervi! Io sono un fondatore di Stati, padre di tutti i popoli… Ricordalo!

Francesco. Dieci milioni di morti in Ucraina per una catastrofica carestia pianificata dal tuo regime. La gente mangiava carne di cavallo putrefatta, si aggirava per le strade come fantasmi, con la pelle giallastra, gli occhi piccoli, le facce stravolte, mangiava cani e gatti. Poi, le persone cominciarono a mangiarsi tra di loro. Sul Don una donna fu arrestata perché vendeva salame fatto di carne umana. Per questo i soldati nazisti nel 1941 in Ucraina e in altri Paesi dell’URSS furono accolti con mazzi di fiori, erano considerati dei liberatori.

Stalin. Chi cazzo ti ha dato queste notizie? La propaganda nazifascista?

Francesco. La storia, compagno Stalin. O, meglio, sempre l’immondizia sulla tua tomba. Tu sei uno sterminatore di popoli. Hai deportato nei gulag e nei campi di lavoro più di 45 milioni di persone, quasi sette milioni sono morte. Hai arrestato altri 40 milioni di persone per reati comuni, appena sospettate – senza prova – di attività sovversive o di apologia del capitalismo. Un milione di civili e prigionieri sono morti a causa dell’Armata Rossa. Su una popolazione di 170.000.000 di allora, ne hai sterminati almeno trenta milioni.

Stalin. Bugiardo! Millantatore! Fammi vedere i documenti. Io sono il costruttore di una società nuova e di un uomo nuovo. La guerra ha interrotto il mio progetto. I frutti si vedranno dopo.

Francesco. Compagno Stalin, tu hai creato lo Stato totalitario più feroce della storia. Il tuo regime è stato una dittatura autocratica, volta allo schiacciamento di un’intera società. Sì, tu hai distrutto un’intera società e non ne hai costruita una nuova. Con la collettivizzazione e l’industrializzazione hai frantumato l’identità della Nazione, l’identità collettiva, una civiltà agricola fatta di valori. Masse di contadini fuggirono dai loro villaggi, la Russia si popolò di nomadi e vagabondi. Poi, non contento di questo, hai trasformato interi popoli in schiavi della gleba legati alla terra, e in operai legati alle fabbriche, e hai riempito il Paese di campi di concentramento, di gulag. Hai organizzato uno stato di polizia repressivo e criminale, distrutto intere classi sociali, stravolto i ruoli, declassato, portato ai vertici masse smisurate di burocrati inutili che vessavano gli operai, riportato indietro nel tempo la società, una società di schiavi, nella condizione del puro servaggio. 

Stalin. Tu non sei un socialista menscevico, sei un nostalgico fascista schiavo di un’idea di società rurale arretrata! 

Francesco. Tu, un despota sanguinario, capriccioso, tu peggio di Hitler! Hai sostituito il nazionalismo imperiale col culto di Stalin, con una nuova religione pagana. In Russia regnava il caos, l’arbitrio totale. Intere popolazioni furono deportate dopo la vittoria sul Nazismo, perché accusate di collaborazionismo.

Stalin. Ora mi hai rotto i coglioni, microbo! Fascista. E ti ho detto di non dirmi più compagno.

Francesco. Non te lo dirò più. Stalin, il Patto Molotov-Ribbentrop di non aggressione del 1939 con la Germania non è stato una tappa fondamentale nel glorioso processo del comunismo verso la pace e la libertà dei popoli. Vi siete spartiti la Polonia.

Stalin. Io dovevo tenermi buono quel pazzo almeno per tre-quattro anni, prima o poi doveva avvenire lo scontro finale col nazifascismo, non mi aspettavo che mi avrebbe attaccato così presto. E poi l’URSS era troppo isolata sul piano internazionale dopo la Conferenza di Monaco nel 1938, dove non mi avevano invitato. La Francia e l’Inghilterra – con le quali volevo stringere un patto per difendermi da quel pazzo paranoico – mi evitavano come se fossi un cane rabbioso. Il Patto non serviva alla pace, ormai la resa dei conti era inevitabile in Europa. Ma dovevo prendere tempo per la Grande Guerra Patriottica.

Francesco. E questo tempo lo prendevi trucidando polacchi. Vogliamo parlare di Katyn, del massacro di 25.000 ufficiali polacchi del 5 marzo 1940? Stalin, tu aspettavi di puntare sul cavallo vincente in Europa. Per questo ti sei pappato mezza Polonia e l’Estonia, la Lettonia e la Lituania e hai fatto guerra alla Finlandia, per assicurarti le frontiere più pericolose e per aprirti una finestra sull’Europa.

Stalin. Ehi pirla, quello era un momento di grande confusione. C’erano democrazie molto deboli, Stati appena formati dopo la Prima guerra mondiale, vecchi conti da regolare, pazzi furiosi come Hitler, dittatori demagoghi come Mussolini, dittatori in formazione con Franco. Come cazzo poteva non scoppiare un’altra guerra mondiale?

Francesco. Se a questi aggiungiamo Stalin… Beh, forse il Führer temeva che avresti attaccato prima tu. Sei caduto in una trappola: ti ha fatto occupare mezza Polonia per poterti attaccare meglio, coi confini in comune.

Stalin. Pensandoci bene, col senno di poi, su questo non hai tutti i torti. Però la storia  ha dato ragione a me. Con l’Inghilterra ancora in guerra, non doveva attaccarmi.

Francesco. Hai cominciato nella parte sbagliata della storia, l’URSS era un Paese aggressore, hai attaccato la Polonia, la Finlandia, i Paesi Baltici. Aspettavi che i Paesi europei si dilaniassero per impadronirti delle macerie del Vecchio Continente. Anche perché io fingevo di difendere gli interessi dei russi di Polonia.

Stalin. La politica è una cosa molto complessa, giovanotto. Non si poteva lasciare il mondo nelle mani di una congrega di pazzi. Il Nazifascismo andava liquidato, prima o poi. La verità finale è che Hitler non sarebbe stato sconfitto senza il contributo decisivo dell’URSS con i suoi trenta milioni di morti e il suo Stato distrutto.

Francesco. Insomma, diciamo che sei diventato grande stratega con la guerra.

Stalin. Io con l’Armata Rossa ho distrutto il più potente esercito della Terra, la Wehrmacht, sei milioni di uomini con decine di migliaia di aerei e di carri armati. Ho costruito un esercito immenso. La Russia è diventato il più sterminato campo di battaglia per le più straordinarie campagne di guerra che il mondo avesse mai conosciuto, Mosca nel 1941, Stalingrado e Kursk nel 1943: ho mobilitato tutte le risorse materiali e morali di cento popoli per salvarli dallo sterminio e dalla schiavitù. Con la battaglia di Berlino non ho sconfitto solo il Nazifascismo, sono diventato anche faro dei popoli che attendevano da millenni il loro riscatto. Alla mia morte, l’Unione Sovietica era una superpotenza mondiale dotata di armi nucleari, esempio per popoli immensi come quello cinese, modello delle lotte di liberazione, guida dei gloriosi Paesi socialisti dell’Europa orientale.

Francesco. Oh sì, qualche merito. Ma il comunismo, o il cosiddetto socialismo reale, è stato un errore della storia. E tu l’incarnazione del Terrore. Dopo le purghe dell’Armata Rossa non avevi più generali per fermare l’avanzata di Hitler, che giunse facilmente fino a Mosca. Hai riportato la Russia nel Medioevo, hai creato una società feudale, altro che modernizzazione! Hai creato un’élite dirigente senza legittimazione e che rispondeva solo a te, monarca assoluto medievale. Non a caso poi c’è stata la destalinizzazione… 

Stalin. Oh, la destalinizzazione! Ammasso di cartacce di quel rancoroso di Krusciov, quell’ucraino ignorante analfabeta, revisionista da quattro soldi, che costruì però il Muro di Berlino e si cacò addosso nel 1962 con Kennedy per la storia dei missili di Cuba, e portò alla fame la Russia per incapacità nell’attività agricola. La storia finale volta al progresso dei popoli l’ha già spazzato via. Principiante, voleva darmi lezioni di strategia militare in Ucraina nel 1941. Io, il padre dei popoli, il difensore dell’umanità oppressa e della pace che all’improvviso diventa il criminale paranoico assetato di sangue, il persecutore e l’assassino degli innocenti, il sadico sterminatore dei popoli! La destalinizzazione! Il fatto è che, dopo avere sconfitto Hitler, non servivo più all’Occidente. Krusciov e i suoi accoliti si sono venduti per un piatto di lenticchie all’Occidente. Io dovevo difendere la Rivoluzione.

Francesco. Beh, certo qualche gulag fu smantellato, molti prigionieri politici furono liberati, molti, a cominciare da Trockij, vennero riabilitati, cominciò un clima più disteso, che condusse progressivamente trent’anni dopo alla caduta del comunismo. A proposito, compagno Stalin: che cos’è il comunismo?

Stalin. La società comunista è l’unica via possibile alla felicità e alla creazione dell’uomo nuovo. L’uomo nuovo è l’uomo socialista. Per il marxismo, il comunismo significa abolizione della proprietà privata e controllo dello Stato dei mezzi di produzione per assicurare giustizia e uguaglianza sociale; esso non è una dottrina politica né un principio filosofico, ma un divenire della realtà nel tempo del capitalismo sviluppato. È l’idea cristiana che tutti gli uomini sono uguali realizzata in modo scientifico, e la sua applicazione richiede un’intransigenza ideale giacobina e un forte rigore morale. Comunismo vuol dire fine dello sfruttamento e piena realizzazione dell’individuo. Il comunismo trova la sua riflessione matura in Karl Marx e Friedrich Engels, e passa da socialismo utopico a movimento rivoluzionario. Il comunismo vede la storia come lotta di classe fra chi possiede i mezzi di produzione e chi non possiede nulla, e, dopo una fase provvisoria in cui dalle rovine del capitalismo e della borghesia ci sarà l’avvento della dittatura del proletariato, lo Stato… Ehi, compagno Bellanti, che fai, te ne vai? Perché te ne vai?

* Tratto da “Francesco Bellanti, Voci dell’Oltretomba, Amazon, 2023”.

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