Tradimento o inadeguatezza delle élites italiane?

di Vincenzo Silvestrelli 

SEMBRA CHE IN ITALIA LE ÉLITES AL POTERE NON ABBIANO PIÙ VISIONE PER IL PAESE E SI CONSIDERANO AMMINISTRATRICI PER CONTO DELL’ANGLOSFERA, SVENDENDO TRADIZIONE, CULTURA ED ECONOMIA

Servus servorum Dei “, servo dei servi di Dio, è uno dei  titoli  che si dava al Pontefice sottolineando che il potere ecclesiastico è sempre servizio e solo per questo si giustificano i privilegi che ad esso si accompagnano. Questa concezione cristiana esprime però anche una profonda realtà antropologica. In una società, se manca la coesione fra chi dirige e chi esegue,  la disgregazione è inevitabile in tempi più o meno lunghi.

La coesione si trova attraverso il servizio al bene comune, in particolare di chi, per qualche motivo ha una visione più approfondita e chiara dei problemi per ruolo, posizione o cultura. 

Da sempre le società sono dirette da una minoranza di persone configurando quella che si definisce “teoria delle élites”.  Afferma Vilfredo Pareto, lo studioso italiano che insieme a Gaetano Mosca la formulò per primo: «Fra le tendenze e i fatti costanti, che si trovano in tutti gli organismi politici, uno ve n’è la cui evidenza può essere a tutti manifesta: in tutte le società, a cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono arrivate appena ai primordi della civiltà, fino alle più colte e più forti, esistono due classi di persone, quella dei governanti e l’altra dei governati. La prima, che è sempre la meno numerosa, adempie a tutte le funzioni politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono uniti; mentre la seconda, più numerosa, è diretta e regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero più o meno arbitrario e violento, e ad essa fornisce, almeno apparentemente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che all’utilità dell’organismo politico sono necessari».

La selezione delle  delle élites è avvenuta storicamente su varie basi ed è connessa al tema delle capacità individuali che ne costituiscono uno degli elementi accanto a quello della ereditarietà del potere. Non staremo qui a ripercorrere le varie teorie, che a partire da Mosca a Pareto, hanno portato a studiare e ad approfondire la modalità di funzionamento delle élites, la loro compatibilità con la democrazia e la sovranità popolare e se esse siano titolari di un potere visibile o di un potere riservato ma non per questo meno efficace.

Il dato di fatto è che esse esistono e sono fondamentali, per il loro ruolo, per il buon andamento e lo sviluppo di ogni società. Storicamente basti pensare a Venezia, in cui una aristocrazia originaria seppe dare vita ad una esperienza statuale millenaria e di grande successo, mantenendo sempre il principio dell’uguaglianza nell’accesso alle cariche delle Casate nobiliari.

Il primo requisito di ogni élites è la presenza di un principio unificante, come era a Venezia la difesa della Repubblica. SI trattava di una unione fatta di cultura, memoria storica, unità di educazione e di atteggiamenti che garantirono il successo nei momenti difficili. Anche il coinvolgimento delle altri classi era curato sapientemente per mantenere la coesione sociale.

La Repubblica venne meno quando, per i contrasti fra le casate, si perse la capacità decisionale e di riforma che portarono all’occupazione napoleonica del 1797.

Partendo dalla storia ci possiamo chiedere se esistano oggi in Italia élites politiche, economiche e culturali che abbiano una uguale coesione intorno ai valori e alla storia italiana. Ci sembra che anche la Chiesa istituzionale, tradizionalmente attenta alla salvaguardia di una società solidale e capace di produrre cultura, arte e figli, non eserciti più il suo ruolo e che la cultura politica espressa in passato sia un ricordo.

La sostanziale subordinazione delle élites italiane al mondo anglosassone ne ha sminuito il ruolo facendole diventare amministratrici, sempre meno influenti, della nazione. Ci sembra che non si sia quell’orgoglio, che nasce ben radicato nella storia, di guidare verso nuovi traguardi la comunità italiana. Certamente vediamo il sorgere di nuovi fermenti in quella che viene definitiva “informazione alternativa”, in realtà spesso unica informazione corretta.

In questo ambito molti uomini di talento sembrano attenti all’Italia e pronti ad assumere incarichi di responsabilità se qualcuno saprà costruire una organizzazione in grado di giocare un ruolo decisionale.

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Pensano, così di raccogliere più voti.
Ma raccoglieranno “sorprese”.
” pecché acca’ nisciun’e ffesso (Toto’)