Il potere delle lacrime

Il potere delle lacrime

di Pamela Salvatori

VEDENDOLA, NE EBBE COMPASSIONE …

C’è un episodio nel Vangelo di Luca che mostra quanto potere hanno le lacrime di una madre sul Cuore di Gesù. È l’episodio della vedova di Nain, che piange seguendo la bara del figlio appena morto. Non dice il Vangelo che abbia domandato qualcosa a Gesù, forse non Lo nota neppure, presa com’è dal suo dolore, eppure Gesù nota lei e «vedendola», dice l’evangelista, «ne ebbe compassione». 

Così leggiamo nel Vangelo di Luca 7, 11-17 

In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.

Il dolore di una madre, le sue lacrime attirano l’attenzione di Gesù, che porta il suo sguardo sulla sofferenza del suo cuore. Gesù vede e si lascia toccare profondamente dal dolore della donna fino a far Suo quel dolore. Ne ha compassione, rivela san Luca, ossia lo patisce con lei (com-patire), lo sente vivo in Sé, avverte nel Suo Sacro Cuore la sofferenza di lei. 

È una vedova, con un figlio unico, ormai morto. Chissà se in quel dolore Gesù abbia visto anche il dolore di Sua Madre per Lui. Chissà se in quel compatire, non stesse già portando in sé anche la compassione per il dolore di Sua Madre! Ma al di là di ogni ipotesi, la compassione muove Gesù ad accostarsi al defunto per toccarne la bara. Prima, però, una parola alla madre: «Non piangere!», poi il miracolo che asciuga ogni lacrima e consola il cuore: «Ed egli lo diede alla madre».

Una dinamica che rivela il modo di agire del Signore. Toccato dalla sofferenza della donna, tocca il figlio per amore di lei e lo risolleva dalla morte: «alzati!». La sofferenza silenziosa del cuore della madre si è fatta preghiera davanti a Dio, forse inconsapevolmente per la donna, ma non per Dio. Una sofferenza così profonda da attirare su di sé lo sguardo stesso del Signore, una sofferenza che si fa parola di supplica. Il Signore comprende, accoglie e gratuitamente risponde, realizzando più di quanto la donna avesse mai potuto sperare. 

Questo è il modo di agire di Dio! Tale il potere della sofferenza materna sul suo Cuore. Di qui un grande insegnamento per noi, alimento per la fede, la speranza e l’amore, coraggio per com-patire generosamente la sofferenza dell’altro. Scopriamo, infatti, qualcosa di grande nel Cuore di Dio, un’attenzione speciale verso i sentimenti del cuore umano, specialmente quando è un cuore materno. E così può dirsi ogni cuore disposto a soffrire il dolore dell’altro, disposto a piangere, anche silenziosamente, la sventura dell’altro, a desiderare la sua felicità, ad accompagnarlo discretamente e con tenerezza nel suo patire. Farsi presente nel dolore del prossimo, desiderando che non sia più solo, domandando per lui guarigione e vita. Dio, che vede nel segreto, misteriosamente compatisce, si fa presente in chi ama e miracolosamente agisce: vede, opera e consola; tocca e risuscita; risana, libera e risolleva; ridona la parola a colui che ormai è senza parola; ridona vita e speranza a chi ormai non ha più vita né speranza. 

Ecco il Cuore di Gesù, che rivela il Cuore del Padre, che nessun dolore lascia indifferente, al punto da mandare il Suo Unigenito per salvare l’uomo dalla sua disperazione. La compassione ha spinto Gesù a farsi vittima nel cuore del mondo, nel grembo di un sepolcro. 

Quale incoraggiamento per noi! Condividere la sofferenza dell’altro, come per un figlio, muove il Signore ad entrare nella sua storia per trasformare ogni morte in vita, ogni storia umana in storia di salvezza. Essere disposti a soffrire maternamente significa lasciare agire il Signore, operare miracolose guarigioni e rinascite. Significa amare davvero, dare la propria vita, il proprio cuore per l’altro, perché viva ancora e per sempre. Non c’è da temere, allora, perché la Croce di Cristo è vittoria sul demonio, sul peccato, sulla morte, come su ogni loro conseguenza. Portare la sua Croce è prendere parte alla sua vittoria, perché l’ultima parola non è mai la morte. Condividerne il peso con chi è affaticato e oppresso dalle prove è già sollevarlo dalla sua solitudine, è già consolazione e grazia. È anche questo l’amore cristiano che rende testimonianza al Signore, che contraddistingue i veri figli di Dio: quell’amore, spesso invisibile, amore “eucaristico”, che ottiene miracoli e rivela Cristo al mondo, perché tutti, riconoscendo il Suo volto, possano glorificare Dio. 

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