Brilla ancora per il suo genio operoso e la sua fede
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UNA RIFLESSIONE SU FRANCESCO FAÀ DI BRUNO
Duecento anni fa Il Beato Francesco Faà di Bruno nacque in Alessandria il 29 marzo 1825 da famiglia di antica nobiltà piemontese, i marchesi di Bruno, ricca di gloriose tradizioni e di personaggi che illustrarono nel corso dei secoli i vari campi della vita religiosa, militare e politica.
Aveva intrapreso la carriera militare, ma assistendo alle mattanze della guerra contro l’Austria del 1848, decise di dimettersi dall’esercito e compì studi in Scienze Matematiche alla Sorbona di Parigi. A causa della sua chiara e dichiarata fede cattolica, subì pesanti ostracismi nell’ambiente accademico.
Nonostante varie pubblicazioni, apprezzate a livello europeo (Calcul des erreurs, 1869 e Théorie des formes binaires, Turin-Paris 1876), al Faà di Bruno fu negata, per opposizioni ideologiche settarie, la cattedra di professore ordinario.
Da laico fondò nel 1859 l’Opera di Santa Zita per le donne di servizio ed altre opere di assistenza sociale ed educativa, privilegiando sempre la donna, giovane, anziana e in difficoltà. Annessi a tale Opera vi erano l’Emporio Cattolico, una tipografia, una lavanderia a vapore. Inoltre promosse la costruzione di bagni pubblici e l’apertura di cucine economiche; ideò anche apparecchi di astronomia, fisica, elettronica e realizzò uno scrittoio per ciechi e uno svegliarino elettrico.
Nel susseguirsi vertiginoso di opere all’interno del complesso creato da Francesco c’erano ancora spazi per iniziative di altro genere. Così nel 1862 fondò un Liceo privato per formare le nuove leve che avrebbero dovuto guidare il Paese.
Francesco Faà di Bruno costituì per primo in Torino una Biblioteca Mutua Circolante come strumento di formazione e di informazione per alimentare, variare e moltiplicare la lettura e la diffusione di libri religiosi e scientifici con modica spesa.
Non era una biblioteca a carattere unicamente religioso, ma, mentre comprendeva volumi di vera formazione spirituale, offriva anche testi scientifici, proprio per quella convinzione tutta sua che “1a scienza vera porta a Dio”.
Fu socio attivo nelle Conferenze di S. Vincenzo a Parigi e a Torino e ne fondò una in Alessandria. Costruì la Chiesa di Nostra Signora dei Suffragio, centro di preghiera specialmente per i caduti di tutte le guerre; ne progettò l’ardito campanile (75 m.), un vero miracolo di statica.
Introdusse per primo a Torino il mese dei morti e l’adorazione notturna per soli uomini.
Istituì a Torino una Casa di Preservazione per ragazze madri e un Collegio professionale con ritiri estivi a Benevello d’Alba.
A 51 anni, il 22 ottobre 1876, fu ordinato sacerdote a Roma, per intervento diretto di Papa Pio IX e compì un intenso ministero sacerdotale.
Iniziò ufficialmente la Congregazione della Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio (16-7-1881), cui lasciò in dono di alimentare in perpetuo la preghiera per i defunti e l’impegno di continuare le opere socio-educativo-assistenziali, soprattutto a favore della donna, da lui iniziate e che attualmente si svolgono in Italia, Argentina, Colombia e Congo.
Collaborò a riviste scientifiche, pubblicò dotti trattati e testi scolastici adottati anche all’estero, raccolte di musica sua e di altri, manuali di devozione e liturgico-musicali, opuscoli ascetici, agiografici, morali. L’ampiezza della sua cultura si conosce anche dal suo interesse per le lingue; oltre l’italiano parlava correntemente il francese, l’inglese e il tedesco e iniziò lo studio del russo e del cinese.
Spentosi a soli 63 anni di età (27 marzo 1888), le sue spoglie dal 1925 riposano nella Chiesa da lui fondata in via San Donato a Torino.
Fu beatificato a Roma nel primo Centenario della morte, il 25 settembre 1988 da San Giovanni Paolo II.
A duecento cent’anni dalla nascita la figura di Francesco Faà di Bruno brilla ancora per il suo genio operoso e la sua fede.
Visse in quella Torino ottocentesca da dove partì l’attacco al cuore della Cristianità ma che fu anche- per quanto paradossale possa sembrare – una città di santi. Questo genio straordinario aveva un torto imperdonabile: era un cristiano assolutamente innamorato di Dio, che con la propria vita si proponeva di dare gloria a lui. Per questo motivo venne ostacolato, oltraggiato, emarginato dalle autorità civili e accademiche. Il caso Faà di Bruno è il simbolo stesso della ottusa e fanatica volontà del Risorgimento di escludere la dimensione religiosa dalla vita pubblica: poco importava che il capitano dell’esercito, il ricercatore, il docente, fosse un cittadino esemplare per virtù civiche. Il suo conciliare pienamente fede e scienza, religiosità e lealtà alla patria, impegno sociale e devozione, era assolutamente insopportabile per un’ideologia che, forzando ogni evidenza, doveva sostenere l’incompatibilità tra Cristianesimo e società moderna. Faà di Bruno fu vittima di quella banda di avventurieri senza scrupoli che volevano edificare un paese privo di quella coscienza civile e cristiana che animò sempre il grande piemontese, il cui coraggio ebbe ad esprimersi in questa frase: “Mal si affida la spada a chi non è prode di cuore, né insieme prudente e saggio di mente: ora di questa prodezza, di questo senno unica vera e mirabile dispensatrice è la religione”.