Il cristiano perdonato
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LA POTENZA DELLA GRAZIA È PIÚ CHE MERA OSSERVANZA
Il cristiano perdonato ha imparato tre cose da Dio: la gravità del peccato mortale e quanto è costato al Fíglio di Dio; l’amore infinitamente grande nel perdono di Dio, di fronte al pentimento; l’importanza di guardare avanti e non indietro alla colpa commessa. A queste tre cose, il Vangelo dell’adúltera perdonata, aggiunge un altro insegnamento: se guardiamo a noi stessi con la dovuta sincerità, non saremo portati a condannare nessuno, ma a lasciare a Dio il giudízio.
Le letture di questa V Doménica di Quarésima ce lo dícono molto bene. Nella prima, per bocca del profeta Isaia Dio dice a chi finalmente làscia l’esílio per una vita nuova: «Non ricordate piú le cose passate», e fàtelo questo non per dimenticare i miei beneficî, ma per non pèrdere tempo e giòia nel tornare ad accusarvi di colpe perdonate ed espiate. San Pàolo esprime lo stesso concetto cosí: «Ho lasciato pèrdere tutte queste cose e le rèputo come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di èssere trovato in lui, non con una mia giustízia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustízia che deriva da Dio, basata sulla fede: – e cosí conclude: –….dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al prèmio che Dio ci chiama a ricévere lassú, in Cristo Gesú» (Fil 3, 8-9.13-14). Infine il Vangelo ci spiega in tèrmini di scàmpata morte, il peccato perdonato all’adúltera, e, in tèrmini di vita nuova che deve fuggirlo, la raccomandazione amorévole con cui Gesú licènzia la donna: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare piú» (Gv 8, v.12). Ci soffermiamo di piú sul Vangelo, perché questo fatto, che si svolge in un cortile del tèmpio di Gerusalemme, in un contesto tutto religioso e di osservanza della Legge (apparente osservanza però!, perché Gesú non si oppone alla Legge, ma la perfeziona), è una lezione anche per noi su come ci si confronta con la Legge di Dio. La Sacra Scrittura dice infatti: «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’ànima; la testimonianza del Signore è verace, rende sàggio il sémplice. Gli órdini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore» (Sal 18, 8-9). Se questo lo avesse capito la donna di cui oggi parliamo, non avrebbe commesso adultèrio. Ma sempre la Scrittura dice anche: «La Legge non si basa sulla fede; …Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge» (Gal 3, 12-13). Sorge allora spontànea la domanda, a cui san Pàolo stesso risponde: «Perché allora la Legge? Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della discendenza» (Gal 3, v.19) del Benedetto Fíglio di Dio, che ha tolto la maledizione del peccato con la sua Misericòrdia, con il suo Sacrifício sulla Croce, con la sua purificazione della Chiesa, con la sua volontà di innestarci in Lui. Donde sempre san Pàolo, nella seconda lettura di oggi, ci diceva: «[Vòglio] èssere trovato in lui, non con una mia giustízia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo» (Fil 3, v.9). Per capire queste parole e non pensare che la Legge sia un sàdico modo in cui Dio ci mette davanti alla nostra incapacità di sentirci salvati da essa, e quindi sempre disubbidienti, vi fàccio un esèmpio che prendo dalla paràbola di Doménica scorsa: il fíglio minore che ritorna a casa, ma vorrebbe vívere da schiavo anziché da fíglio, perché sa di avere peccato. In questa paràbola la la Legge era “il modo di vívere bene” nella casa di quel Padre tanto buono, ma “il vívere bene in quella casa”, vagheggiato dal pentimento imperfetto del figliol pròdigo, non è ancora la relazione stupenda e di comunione che deve èsserci tra padre e fíglio. E infatti anche il fíglio maggiore invidioso del perdono del Padre, viveva bene in quella casa, ma non aveva la fede che fa èssere nella giòia, la fede che mi tiene unito a Dio e in relazione con l’Amore con la A maiúscola. Gesú, dunque, vuole sia la legge che mi insegna la vita buona che ci custodisce dalle lapidazioni dei demonî, sia la fede che mi offre la relazione con Dio, che è Lui stesso Vita, Giòia e Libertà.
La legge e la sua osservanza avèvano reso san Pàolo irreprensíbile per tutto quello che faceva, perché stava molto attento a non trasgredire la legge, ma non per questo ubbidiente a Dio e alla sua volontà. Perché l’ubbidienza è la comunione di volontà tra l’uomo e Dio, derivante dalla fede; l’osservanza è la Legge che mi custodisce dalle trasgressioni, a prezzo di un grande sforzo di volontà. Capiamo bene allora che nella peccatrice del Vangelo c’è anche l’immàgine di ogni uomo che non ha ancora conosciuto il potere della gràzia, e non ha saputo usare al màssimo la pròpria volontà per non cadere nella tentazione. La sua esperienza di caduta nel peccato, non era dissímile da quella degli scribi e dei farisei che l’hanno condotta a Gesú per vedere se si fosse opposto alla legge mosàica; l’única differenza fra l’adúltera e loro, è che lei era stata «sorpresa in adultèrio» (Gv 8, v.3), mentre i loro peccati mortali restàvano occulti a tutti fuorché a Dio. Gesú li smàschera e li mette di fronte a sé stessi e anche alla stessa Legge trasgredita. Lo fa sia scrivendo col dito a terra (Cfr Gv 8, 6 e 8) e sia dando il permesso di lapidarla a una condizione: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8, v.7). ¿Che cosa vuol dire quello scrívere a terra di Gesú? Ce lo dice il profeta Geremia: «Quanti si allontànano da te saranno scritti nella pòlvere, perché hanno abbandonato il Signore, sorgente di acqua viva» (Ger 17, v.13). Gesú sta scrivendo nella pòlvere i nomi di quegli scribi e farisei, di cui conosceva tutti peccati; stava scrivendo anche tutti quei peccati commessi per la loro osservanza senza relazione con Dio, per la loro Legge priva di fede. Ma gli scribi e i farisei non mòstrano di avere capito l’atto dello scrívere nella pòlvere di Gesú, dunque Gesú deve dire ai falsi giusti e ai falsi osservanti: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Sappiamo come finisce la stòria: «Quelli, udito ciò, se ne andàrono uno per uno, cominciando dai piú anziani» (Gv 8, v.9).
¿Quale lezione ne viene a noi, oggi? Guardando a tutti quei battezzati ritornati schiavi, perché non vívono da figlî e non sanno e non pòssono piú osservare la Legge (infatti è impossíbile osservarla senza un rapporto con Dio e se non si paga il prezzo di un grande sforzo di volontà), la lezione che ricaviamo è questa: recuperiamo la fede in Gesú (cioè un rapporto vivo con Lui), che vuole rafforzare la nostra volontà ogni volta che ci perdona nel sacramento della riconciliazione. Lui vuole e può rèndere «il càrico leggero e il giogo soave» (Mt 11, v.30). Non giustifichiamo mai il peccato, perché se noi giustifichiamo il peccato, a lapidarci e metterci a morte saranno i demonî, che pòssono arrecarci la morte eterna, facèndoci crèdere che non c’è peccato nel seguire il piacere (L’adúltera era caduta in questo inganno fino al momento in cui fu sorpresa in flagrante adultèrio). Non fermiàmoci a una pràtica religiosa che tiene conto di divieti e non capisce che deve èssere unita la nostra volontà e vita alla volontà e vita divine. Non fermiàmoci a pensare che Dio non possa perdonare la gravità del peccato, quando ancora una volta Cristo ci ha mostrato come non sia venuto per condannare ma per salvare i peccatori: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare piú» (Gv 8, v.11).
V Doménica di Quarésima anno C. 6 Aprile 2025. Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11.
*L’autore aderisce ad una riforma ortografica della lingua italiana