Così si vincono le tenebre

Così si vincono le tenebre

di Padre Giuseppe Agnello 

DOMENICA DELLE PALME, ANNO C, 13 APRILE 2025. IS 50,4-7; SAL 21; FIL 2,6-11; LC 22,14-23,56

Il potere della mansuetúdine e dell’umiltà oggi si presenta in tutta la sua forza e vittòria, all’interno del dramma della Passione, che è realmente “Pasqua” (cioè un “passàggio”), ma è anche compimento.

Cristo è il vero re dei Giudei, ma è stato «annoverato fra gli empî» (Lc 22, v.37); è il Messia atteso, venuto a liberare il suo pòpolo, ma dice: “Basta!” (Lc 22, v.38) a chi alle due spade della verità e della carità preferisce le spade della violenza.

È il Fíglio di Dio, ma viene processato come fosse un sobillatore del pòpolo che mèrita la crocifissione; è il Consolatore e la sapienza di tutti, ma viene schernito, bestemmiato e ridotto al silènzio in un sepolcro.

È lui solo che beve il càlice dell’ira di Dio contro il peccato, e in ciò trova due consolazioni: l’àngelo che gli appare nell’orto degli ulivi per confortarlo (Cfr Lc 22, v.43) e la Madre e il discèpolo prediletto sotto la croce, di cui però non ci parla san Luca, il quale invece sottolínea la solitúdine di Gesú in tutto questo: «Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avèvano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo» (Lc 23, v.49).

Il dramma della solitúdine della croce tèrmina alla vigília di Pasqua, in un sepolcro nuovo, il cui significato nuovo sarà dato dalla risurrezione di Gesú.

Intanto, anche sotto i nostri occhî, è presentato il cúlmine dell’amore di Dio che accetta ogni umiliazione per noi, e la completezza dell’offerta che Egli còmpie fino alla consegna del pròprio spírito al Padre: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappàvano la barba; non ho sottratto la fàccia agli insulti e agli sputi» (Is 50, v.6); «Si fanno beffe di me quelli che mi vèdono, stòrcono le labbra, scuòtono il capo» (Sal 21 [22], v.8); «Padre, nelle tue mani consegno il mio spírito» (Lc 23, v.46).

Tutto questo orrore e delírio tenebroso avviene non per impotenza di Dio nei confronti del male, sennò non sarebbe Dio e l’ateismo avrebbe la sua scusa piú convincente per rinnegare l’esistenza e l’amore di Dio: tutto ciò avviene per dimostrare all’uomo che, abbandonato alla pròpria volontà, è cieco, livoroso, bestemmiatore, nemico della verità, insensíbile verso gli innocenti, crudele e ingiusto anche quando pensa di èssere giusto.

Gesú e il Vangelo lo mòstrano bene con queste due espressioni: «Questa è l’ora vostra e il potere delle tènebre» (Lc 22, v.53), e poi quando Pilato prende la sua decisione sulla base dei desiderî altrui e degli interessi proprî: «“Non ho trovato in lui nulla che mèriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà”. Essi però insistèvano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescèvano.

Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicídio, e che essi richiedèvano, e consegnò Gesú al loro volere» (Lc 23, 22-25). Risulta evidente da ciò che tutta la sofferenza di cui si è fatto càrico e parafúlmine Gesú ha una sola càusa: la nostra volontà: volontà di potenza; volontà di continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto senza relazione con Dio; volontà di maggioranza agitata da passioni e istinti; volontà di ricévere i premî che conferisce il mondo anziché quelli che ci offre una retta coscienza. «Questa è l’ora vostra e il potere delle tènebre» (Lc 22, v.53)! …« e [Pilato] consegnò Gesú al loro volere» (Lc 23, v.25)».

Il male che abbiamo visto riversato su Gesú contínua, nella stòria e nell’oggi, a produrre farisei, empî, bruti esecutori di comandi immorali, pappagalli di pensieri altrui che crocifíggono gli innocenti, persone esaltate dalla forza delle maggioranze, potenti piú preoccupati a diventare amici fra di loro che a servire la verità e le persone.

Su tutto questo (che produce sofferenza) Gesú non subisce passivamente, ma ribalta tutto con le parole, con l’esèmpio, con la pazienza, con il silènzio, con il suo rapporto con Dio Padre.

L’amore vince l’òdio; la pazienza vince la prepotenza; la verità vince la menzogna; il silènzio vince le parole insipienti; la sofferenza dell’innocente vince i cuori induriti. Infatti san Luca cosí commenta tutto: «Visto ciò che era accaduto, il centurione dava glòria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Cosí pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettàcolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battèndosi il petto» (Lc 23, 47-48).

Dunque in tutto questo non c’è la sconfitta di Dio, ma la sconfitta dell’uomo senza Dio e la vittòria di Dio nella sofferenza e nella solitúdine. L’insegnamento della croce è anche questo: nell’ingiustízia, nella sofferenza, nell’incomprensione, nel mondo prepotente e beffeggiatore, si deve usare la mansuetúdine e l’umiltà per víncere e non pèrdersi quando tutto sembra perduto: istituzioni, relazioni, speranze.

Gesú resta il vero maestro di tutto questo e ci rivela il segreto della sua fortezza e luce: un rapporto con Dio Padre mai spezzato: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spírito» (Lc 23, v.46). La relazione con Dio Padre, che è preghiera mai spezzata nemmeno dal búio piú nero, è la garanzia della soavità del cuore, è sofferenza accettata e offerta per amore, è desidèrio di condivídere tutto noi stessi per il bene che manca agli altri. Gràzie, Gesú, per questa stupenda lezione di carità divina.

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