La nefasta devianza antisemita

La nefasta devianza antisemita

di Sergio Caldarella

RECENSIONE A NATHAN GREPPI, “LA CULTURA DELL’ODIO. MEDIA, UNIVERSITÀ E ARTISTI CONTRO ISRAELE”

Il libro La cultura dell’odio. Media, università e artisti contro Israele (Lindau, 2025) è una miniera d’informazioni ed analisi in cui Nathan Greppi riesce, con efficacia, a fare il punto sulla situazione attuale offrendo, al tempo stesso, una visuale chiara e documentata sulla gravità, morale ed intellettuale, del momento storico.

Attraverso una minuziosa ricerca, compilazione di dati e dichiarazioni che vanno dalla politica ai media generalisti, fino alle piazze virtuali della rete, Greppi traccia un allarmante quadro dell’odio contemporaneo il cui indice dei nomi, in Italia ed all’estero, è strabiliante quanto inquietante.

Raccogliendo le dichiarazioni di quelle figure che affollano il panorama tra industria culturale e politica, Greppi riesce a far toccare con mano la situazione di allontanamento dai fatti, dalla storia e dal buonsenso, non appena si giunge al tema d’Israele o del popolo ebraico.

Questo libro diventa, allora, un testo sull’attualità ed un’opera utile per la futura documentazione storica sul nostro perturbato presente. La mole documentale contenuta in quest’utilissima ricerca la rende una cartina di tornasole della situazione corrente ed una mappa del preoccupante risorgere dell’odio più antico

Il semiologo Ugo Volli, nella prefazione, partendo dal “lutto per le vittime del 7 ottobre 2023” prova ad esprimere lo stato d’animo “degli ebrei in Italia” scrivendo: “per gli oltre 1200 uccisi dal terrorismo, per i quasi 250 rapiti, per gli stupri, le devastazioni, le atrocità contro donne, vecchi e bambini, si è aggiunta progressivamente la percezione della freddezza, dell’incomprensione, della vera e propria ostilità di buona parte dell’opinione pubblica.”

A quest’amara e giusta considerazione di Volli è doveroso aggiungere anche lo sconcerto provato da tutte le persone di senso e coscienza di fronte all’ostilità, sbandierata senza pudore, da parte di un’opinione pubblica ormai apertamente aizzata ad un odio cieco ed antico contro le vittime del 7 ottobre ed Israele.

La cultura dell’odio, in particolare per l’Italia, è un libro troppo importante per passare inosservato. Lo scenario documentato in questo lavoro di Greppi mostra, con precisione e chiarezza, aspetti di quell’ebbrezza antisemita, troppo spesso camuffata da mera critica ad Israele, letteralmente esplosa dopo il 7 ottobre, ossia dopo il più numeroso massacro di ebrei dalla Shoah!

La cultura dell’odio non si limita però alla sola denuncia, ma descrive e confuta quel vuoto cognitivo che, al momento, dirige, ancora una volta nella storia, le piazze reali e virtuali. Nathan Greppi offre qui una guida utilissima per opporre elementi di fatto alle sfrenate fantasie, narrative e violenze terminologiche, come l’accusa di genocidio, che la virulenza dell’antisemitismo resurgens getta proprio contro coloro che ne sono “stati le vittime per eccellenza”. Curiose inversioni con cui si sovvertono la realtà e la storia avvelenando la coesistenza sociale ed il discorso culturale.

Il saggio di Greppi documenta, lucidamente, i vari passaggi che, non da oggi, hanno condotto alla criminalizzazione mediatica dell’unico Stato autenticamente democratico nell’area mediorientale e mostra anche la risonanza che le arcaiche menzogne dell’odio antiebraico continuano ad esercitare ancora dopo millenni.

A pagina 53, ad esempio, viene posto l’inquietante parallelo tra le mistificazioni diffuse sulla stampa a proposito di un falso “avvelenamento delle forniture d’acqua” da parte di Israele durante la Seconda Intifada e l’analogia con l’antica leggenda dell’avvelenamento dei pozzi durante la peste del ‘300: similitudini indubbiamente inquietanti le quali non dovrebbero aver posto in una società che voglia dirsi civile o avanzata. 

Un volume a parte andrebbe dedicato al ruolo dell’università in questo sovvertimento di ogni realtà storico-fattuale. Anche in questo caso Greppi compie un lavoro eccellente riportando non solo le dichiarazioni di un troppo nutrito nugolo di accademici, ma anche la confutazione di tali affermazioni bislacche.

Tra queste si trova di tutto, dalle sconcertanti dichiarazioni di un Piergiorgio Odifreddi: “Non entro nello specifico delle camere a gas perché di esse sò (sic) appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ‘ministero della propaganda’ alleato nel dopoguerra…” ad altre amenità che si preferisce non riportare – ma possono esser lette nel libro – come le affermazioni strampalate dei soliti noti da Alessandro Orsini ad Enzo Traverso, fino a Francesco Alberoni, Alessandro Barbero e troppi altri personaggi dell’apparato dell’industria culturale, fino ad arrivare alla corrente ideologica dei “postsionisti”.

Su questo punto sorprende l’assenza di menzione, nel libro, di un soggetto quale Alessandro Di Battista la cui aperta ostilità contro Israele spadroneggia nei salotti televisivi e conquista scellerati proseliti online.

Ne La cultura dell’odio c’è tutto quello che serve per farsi un’immagine propria del contesto attuale e, com’è facile intuire già da questi pochi accenni, molte delle situazioni denunciate nel libro hanno, a dispetto della loro gravità, anche un carattere surreale ed incredibile. Proprio per questo l’autore documenta, minuziosamente, ogni pagina con un notevole apparato critico.

Il testo diventa, così, una guida utilissima per orientarsi tra i miasmi del risorgere di un antisemitismo sempre volgare ed inquietante il quale, attraverso antiche mistificazioni incartapecorite, prova a vestire i panni di una finta solidarietà con gli assassini di Hamas, invertendo le parti di aggressore ed aggredito o di vittima e carnefice.

Nelle oltre quattrocento pagine Nathan Greppi smaschera e confuta molte delle pantomime del rigurgito antisemita il quale pretende di camuffarsi come mera critica anti-israeliana o “anti-sionista”, mostrando come le dichiarazioni di tali personaggi, utilizzando qualsivoglia pretesto per criminalizzare Israele e dare addosso all’ebreo, siano parte di un lungo curriculum di odio e mistificazione ben precedente al 7 ottobre.

Lo storico Claudio Vercelli, nell’intervista Evoluzioni moderne di un male antico contenuta nel libro, denuncia chiaramente le manovre di coloro i quali cercano “di negare la realtà dipingendo le denunce di antisemitismo come tentativi di censurare le critiche nei confronti d’Israele.”

La malafede di questi presunti critici è evidente già dal momento in cui costoro trovano sia un problema l’esistenza di un solo Stato tra gli oltre centonovantotto intorno al mondo. Nel mezzo del pandemonio di asserzioni false e tendenziose con cui si attacca Israele per colpire gli ebrei, o viceversa, il libro di Greppi rappresenta una di quelle proverbiali lanterne per navigare tra i vicoli di quest’ennesima notte della storia. 

L’antisemitismo e le scatenate fantasie contro Israele rappresentano, com’è stato ben osservato da altri, il canarino nella miniera che allerta dei pericoli a cui è sottoposta una socialità quando diventa incapace di ragionare criticamente e, come in questo caso, di distinguere moralmente tra una parte che stupra ed uccide ed un’altra che subisce tali efferate ed ingiustificabili violenze. Uno tra tutti è l’esempio della negazione degli stupri e del massacro del Nova Music Festival compiuta anche da personaggi politicamente rilevanti quali Briahna Joy Gray, la quale fu “addetta stampa del senatore democratico Bernie Sanders alle presidenziali del 2020.”

Greppi spiega come si arrivi al “negazionismo degli stupri di Hamas” partendo da altre storie come quella di Ori Ansbacher, la ragazza di 19 anni violentata ed uccisa dal “palestinese” di Hebron Arafat Irfayia, mostrando, ancora una volta, la faziosità di certe testate italiane le quali avevano dapprima taciuto l’orrendo atto, ma riportarono con enfasi le dichiarazioni di certi politici israeliani i quali, in un momento di comprensibile sfogo, auspicarono l’applicazione della pena capitale per l’assassino. Uno stile, quello di porsi dalla parte dei carnefici e non delle vittime, che purtroppo continua a ripetersi.

Sarebbe però un errore leggere La cultura dell’odio unicamente come un libro sull’antisemitismo e l’avversione ideologica contro Israele; in realtà questo è un testo attraverso cui si possono anche leggere le contraddizioni di un’epoca e comprendere la gravità di un linguaggio con cui si invoca l’umanità in modi ad essa contraria.

Gli esempi che il testo riporta sono molteplici, tra questi la vicenda di Ahmad Daraldik, presidente, nel 2020, di un’associazione studentesca della Florida State University il quale aveva creato, nel 2016, un sito web antisemita in cui paragonava Israele alla Germania nazista blaterando di “sperimentazione medica forzata sui ‘palestinesi’” ed altro. Ahmad, assumendo la carica di presidente degli studenti, aveva sostituito un cattolico conservatore rimosso “per aver ‘osato’ criticare il movimento Black Lives Matter” e, nonostante le sue “invettive contro gli ebrei ed i post che minimizzavano la Shoah, quando il 17 giugno si votò per decidere se rimuoverlo dall’incarico, mancarono i voti necessari”.

Oltre al sovvertimento delle parole consentito dall’ideologia si osserva, qui, la deriva con cui si propongono tesi le quali: “pur presentandosi come antirazziste e negando di essere antisemite”, utilizzano metodi attraverso cui vengono messe “in atto pratiche discriminatorie nei confronti di chi aveva posizioni filoisraeliane” o contrarie a posizioni di elementare buonsenso e correlazione con la fatticità della storia.

Dall’analisi offerta in questo libro emerge il volto tetro di una società in contraddizione con i propri princìpi. Tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti e la sintesi che Greppi offre è una guida necessaria la quale tematizza quei materiali che non vengono messi a disposizione altrove.

L’unica osservazione critica al libro può esser mossa sull’uso di termini quali “teorie del complotto” ed altri affini, presi in prestito dalle narrative costruite ad arte dai media generalisti: le tesi degli antisemiti non sono mai “teorie”, ma scelleratezze o deliri di menti fuorviate ed anime malvage. Certi media, le cui falsificazioni sul tema d’Israele vengono facilmente smascherate da Greppi, sono gli stessi che hanno introdotto l’infausta terminologia del complotto, entrata a far parte del linguaggio comune, la quale non aiuta certo ad una miglior comprensione dei troppi problemi con i quali la nostra epoca si dibatte.

Tolti quei pochi elementi che fanno malauguratamente da eco all’apparato dell’industria culturale, ormai onnipervadente, il libro rimane una guida essenziale per aiutare a comprendere la nefasta devianza antisemita – e non solo – nel momento storico corrente.

Leggendo La cultura dell’odio si palesa, infatti, il panorama di un grave sfacelo umano ed etico e, al contempo, un vuoto culturale abissale in cui tutto può esser detto purché sia contro Israele o gli ebrei, come se nulla fosse mai successo, come se l’Italia non avesse le proprie gravi responsabilità storiche nel massacro di 6 milioni di innocenti nei campi di sterminio, come se Primo Levi non vi fosse mai stato… Se Daniel Goldhagen, nel suo libro del 2013 The Devil That Never Dies, lamentava: “È improbabile che le inibizioni post-olocausto contro l’espressione pubblica dell’antisemitismo vengano ripristinate a breve (The post-Holocaust inhibitions against antisemitis’s public expression are unlikely to be restored anytime soon”), il testo di Greppi lascia toccare con mano, dodici anni dopo, proprio lo scellerato sdoganamento dell’antisemitismo dagli studi televisivi alle piazze! Dall’incapacità di confrontarsi con il passato proviene l’antisemitismo nelle strade dell’Occidente o il silenzio etico e culturale di aule in cui gli studenti vengono indottrinati e non più educati, insegnando loro un corso degli eventi al contrario. In tale contesto la storia diventa parodia di se stessa, la parola insulto, ed il ragionamento volgarità e sragionamento. È oggettivamente impressionante il numero di “storici” ed altri chierici mediatici israelofobici che Nathan Greppi riesce a raccogliere in questo sostanziale testo. Chiaramente il libro non può anche tener conto della pletora di paradigmi maligni e commentatori anonimi che impestano, in seguito, le varie piattaforme online ripetendo, coperti da un facile anonimato, la propaganda degli assassini di Hamas, diffondendo un odio gratuito ed immotivato contro le vittime e gli ostaggi, poiché la gramigna moltiplica sempre se stessa. Ricostruendo però le fonti dei sermoni dell’odio, Greppi offre una mappa per tracciare i percorsi, offerti da quei cattivi maestri i quali alimentano, con chiacchiere insulse ed odiose, l’infuriata brigata dell’antisemitismo online ed altrove.

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