Warhol degrada la persona
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RIFLESSIONI DI UN TOMISTA “FUORI DAL MONDO” IN MERITO ALLA MOSTRA SU ANDY WARHOL A BELLUNO
Il Comune di Belluno ha organizzato, dal 19 aprile 2025 al 29 giugno 2025, al terzo piano del prestigioso Palazzo Fulcis, una mostra di 92 opere della collezione “Rosini Gutman” dedicate a Andy Warhol (1928-1987), noto pittore statunitense esponente della Pop Art.
Premesso che ogni amministrazione comunale (quella in carica dal 2022 è di “centro-destra”) sceglie liberamente e legittimamente il proprio indirizzo in materia culturale, lo scrivente nutre serie riserve sulla produzione artistica dell’artista americano.
In primo luogo, sotto l’apparenza di una celebrazione delle icone pop, Warhol compie una vera e propria forma di iconoclastia. Egli, infatti, svuota le immagini del loro valore sacro o personale, trasformando il volto umano in oggetto da replicare, pervenendo in questo modo ad una vera e propria “degradazione” della persona (che direbbe oggi Boezio?).
In secondo luogo, Warhol, sulla scia dell’arte novecentesca, rompe con l’ordine finalistico del reale, offrendo una visione caotica, meccanica e amorale. La sua arte non eleva, non educa, non guida alla Verità, ma riflette e moltiplica il vuoto nichilistica tipico di gran parte del pensiero e dell’arte contemporanei. In terzo ed ultimo luogo, Warhol ha trasformato l’artista in imprenditore e l’arte in prodotto. La sua “Factory” era letteralmente una fabbrica, dove si “producevano” opere d’arte. In altri termini, un vero e proprio industrialismo estetico che giunge ad una perversione del concetto stesso di arte, ridotta a feticcio da vendere, priva di ispirazione e trascendenza. Per fortuna che l’artista in esame era stato definito come il “cantore” critico del sistema capitalistico. Si potrebbe obiettare, a riguardo, che anche i grandi artisti del passato, come Michelangelo, Leonardo, Raffaello, lavoravano per comittenti esigenti (Papi, principi etc.), ma c’è una profonda differenza. Mentre Warhol riduce l’arte a “forma di consumo”, per i veri “maestri” di cui sopra il profitto, per quanto importante e necessario, restava comunque subordinato alla ricerca del vero e del bello. Ora se è corretto, da una parte, sostenere che l’arte evolve, dall’altra dovremmo anche chiederci verso quale direzione. Essa, soprattutto nel ‘900, ha abbandonato la forma, il significato, la tensione metafisica, per perdersi nell’informe, nel nichilismo, nell’assurdo. Non è più rivelazione del senso, ma espressione dell’incomunicabilità. In estrema sintesi, un’arte intesa come “angoscia fatta materia”. E questa affermazione vale anche per Warhol: non è sicuramente l’angoscia urlata dell’espressionismo, bensí quella piú inquietante del vuoto, della ripetizione meccanica e dell’identitá smarrita. Si lascia ad altri, piú sensibili e piú preparati del sottoscritto a riguardo, esprimere eventuali giudizi di apprezzamento.
P.S. Non buttate via i soldi.