Buttiglione: “Il nuovo Papa curi il Vecchio Continente”
di Bruno Volpe
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INTERVISTA AL FILOSOFO ROCCO BUTTIGLIONE
“Al nuovo Papa spetterà compito di proseguire l’opera di universalizzazione della Chiesa cattolica. Non a.partire dalla morale, ma dalle esperienza di vita”.
Lo dice in questa intervista il filosofo e politico Rocco Buttiglione che parla dello stato della Chiesa cattolica, del nuovo Papa e di Francesco.
Professor Buttiglione, qual è lo stato di salute della Chiesa cattolica che si appresta al Conclave?
“Innegabilmente, la Chiesa cattolica vive un momento di grandi cambiamenti, direi persino epocali. Siamo passati in modo relativamente veloce da un’era in cui il nemico era il comunismo rappresentato dall’Urss, ad oggi in cui i nemici o gli avversari, tolto il comumismo che non esiste più, sono altri e innumerevoli. Penso alla scristianizzazione dell’Europa che è minorataria nella fede rispetto ad altri continenti e dobbiamo farcene una ragione. Nel passato, sino a Giovanni Paolo I, i papi sono stati tutti europei e italiani, poi la tendenza è cambiata con Giovanni Paolo II che, pur polacco, rappresentava altra realtà, arrivando al Pontefice dell’America Latina”.
Insomma, dal centro al periferia…
“Esattamente, ora l’Europa è minoritaria nella fede e appunto uno degli obiettivi del nuovo Papa deve essere quello di curare il Vecchio Continente. Il Papa che sarà eletto, in poche parole opererà in un mondo cattolico che ha visto cambiati gli equilibri”.
Sarà secondo lei un conclave contrastato?
“Senza dubbio nella Chiesa cattolica ci sono varie sensibilità, e i cardinali preseti al conclave sono tanti e di numerose nazionalità con diffuse problematiche e radici culturali e pastorali difformi. Alla fine bisognerà fare una sintesi e mediare. Anche a questo sarà chiamato il nuovo Papa ricordando comunque che ogni pontefice compie opera di mediazione sapiente, senza spingere troppo sulle proprie convinzioni, badando alla unità della Chiesa”.
Che eredità lascia Papa Francesco?
“A mio avviso grande. Innegabilmente per il suo stile, tipicamente latinoamericano, che pone l’idea del popolo al centro e la sua stessa popolarità, è stato in un certo qual modo divisivo. Però si è reso conto che dopo Giovanni Paolo II tutto è cambiato. Per valutarlo attentamento bisogna guardare appunto alla sua derivazione latinoamericana e a quella mentalità, distante da quella Europea. Ma Francesco in verità non si è fatto impressionare dai giudizi degli europei che sono lontani dalla sua mentalità nella interpretazione della cattolicità. Ha ragionato da latinoamericano, con quelle categorie”.
Ha raggiunto i suoi obiettivi?
“Ha seminato molto, raccolto poco. In questo lo paragono a Paolo Vi che non fu compreso del tutto e i cui sforzi sono stati goduti dai successori. Per Francesco mieteranno gli altri”.
Non ha avuto un buon rapporto con i movimenti ecclesiali…
“Giovanni Paolo II aveva dato grande impulso e fiducia ai movimenti come Comunione e lIberazione, Opus Dei, Neocatecumenali e via discorrendo. Poi è successo lo scandalo dei Legionari di Cristo e del loro fondatore. Ovvio che Papa Francesco dovesse stringere i freni evitando di lasciare mano libera. Non aveva altra scelta, era obbligato”.
Che compito spetta al nuovo Papa?
“Continuare sulla strada ormai intrapresa, e precisamente l’opera di universalizzazione della Chiesa cattolica che deve essere voce dei poveri. E’ importante una Chiesa che non parta dalla morale e dai principi etici, che pur sono centrali, ma dalla esperienza di vita concreta, ricordando che il cristianesino è uno stile di condotta e non una dottrina o una filosofia e bisogna coinvolgere i laici, senza forme di clericalismo o fondamentalismo”.
Ovvero?
“Per citare San Josemaria Escrivà de Balaguer una Chiesa con i piedi per terra e gli occhi rivolti al cielo”.