Ritorno alla “verità dell’essere”

Ritorno alla “verità dell’essere”

di Daniele Trabucco

GENDER E DIRITTO NATURALE

La cosiddetta “teoria del gender”, intesa come l’idea secondo cui l’identità sessuale costituirebbe un costrutto soggettivo, fluido e indipendente dal dato biologico e naturale, rappresenta una delle più radicali espressioni del soggettivismo contemporaneo.

Tale posizione, tuttavia, non risulta sostenibile né sotto il profilo razionale, né sul piano etico, né, ancor meno, dal punto di vista metafisico. Secondo l’insegnamento del diritto naturale, la legge morale non è il risultato di convenzioni mutevoli o di determinazioni culturali, dal momento che è iscritta nella stessa natura razionale dell’uomo.

Come osserva Poppi, negare questo ordine significherebbe scivolare nell’indifferentismo, cioè in quella posizione per cui sarebbe indifferente, per l’uomo, essere ciò che è o essere un’altra cosa. In tale prospettiva, la sessualità umana non può essere considerata come un attributo secondario o estrinseco, ma come un principio intrinseco all’essere della persona, in quanto espressione dell’ordine finalistico iscritto nella natura.

San Tommaso d’Aquino (1225-1274), nella “Summa Theologiae”, insegna che l’essere umano è una “unitas substantialis” di anima e corpo: l’identità personale, dunque, non può prescindere dal corpo, e quindi dal sesso biologico, senza cadere in una forma di dualismo gnostico che frantuma l’unità sostanziale dell’uomo.

La teoria del gender, al contrario, sovverte tale ordine ontologico. Essa nega che la sessualità abbia un significato oggettivo e naturale, affermando invece una pretesa autodeterminazione del soggetto che si risolve in un arbitrio assoluto, sganciato da ogni riferimento all’essere.

All’interno della metafisica dell’essere, l’identità personale precede ogni atto di scelta: non ci si “costruisce” uomini o donne, poiché lo si è già per natura, in vista di finalità inscritte ontologicamente nell’essere stesso.

L’idea di autodeterminarsi indipendentemente da tale ordine conduce inevitabilmente a un’ontologia in cui l’essere si dissolve nel volere: è quanto il prof. Di Marco ha definito con l’espressione “velle volutum”, ossia il primato di un volere privo di fondamento nell’essere.

Aveva colto con lucidità questo slittamento il grande tomista Cornelio Fabro (1911-1995) che, nella sua critica della modernità, denunciava la sostituzione dell’essere con la coscienza e della verità con una libertà disancorata da ogni oggettività.

Alla luce, dunque, di queste considerazioni, si rende quanto mai urgente un ritorno alla “verità dell’essere”, per evitare che la pretesa di liberazione dall’ordine naturale e creaturale si trasformi, paradossalmente, in una forma di autodistruzione dell’uomo stesso.

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