Gli errori di Walter Kasper

Gli errori di Walter Kasper

di Daniele Trabucco 

IN RISPOSTA AL CARDINALE WALTER KASPER

L’affermazione del cardinale tedesco Walter Kasper (92 anni), riportata dai quotidiani, secondo cui le esequie di Papa Francesco, contraddistinte da una partecipazione popolare significativa, costituirebbero un invito alla continuità nella linea del pontificato da lui esercitato fino al 21 aprile 2025, solleva problematiche rilevanti sul piano della filosofia politica applicata alla teologia, in particolare circa la natura del potere ecclesiastico, la nozione di successione e la legittimazione delle scelte magisteriali nella Chiesa cattolica.

Una simile dichiarazione, infatti, se assunta in senso strettamente performativo, sembra presupporre una comprensione della continuità ecclesiale come esito di un processo storico-consensuale, piuttosto che come permanenza ontologica nell’”ordo veritatis”.

Dal punto di vista filosofico, si rileva una implicita adesione a una concezione immanentistica del potere, secondo la quale la legittimità delle scelte istituzionali, e dunque anche teologico-pastorali, deriverebbe dal loro radicamento nella praxis comunitaria e dalla loro accettazione sociale.

Questo approccio, di matrice fenomenologico-storica, conduce a una sorta di “ermeneutica dell’accoglienza”, per cui il dato ecclesiale si legittima retrospettivamente in forza della sua ricezione e condivisione.

Tale visione contrasta con l’ontologia classica del potere sacro, secondo cui l’autorità nella Chiesa è partecipazione dell’autorità di Cristo, e come tale è fondata su una oggettività trascendente rispetto al consenso dei fedeli o alla storicità degli eventi. In questa prospettiva, la continuità non è una linea di sviluppo soggetta al fluire delle contingenze storiche, ma una fedeltà sostanziale alla “lex credendi”, la quale precede e fonda ogni azione ecclesiale.

Anche sotto il profilo strettamente teologico l’argomentazione kasperiana sembra implicare una indebita trasposizione della categoria democratica della “continuità per acclamazione” all’interno della costituzione divina della Chiesa.

Essa appare, quindi, incompatibile con una ecclesiologia fondata sulla distinzione tra potere d’ordine e potere di giurisdizione, dove il ministero petrino, pur esercitato storicamente, non trae la sua forma da una dialettica tra popolo e pastore, bensì dalla struttura sacramentale della grazia.

La partecipazione popolare alle esequie non può, pertanto, essere assunta come criterio teologico-normativo, in quanto le manifestazioni liturgiche, pur significative, rimangono segni espressivi e non determinazioni dottrinali.

In tal senso, la funzione esequiale appartiene al livello simbolico e comunitario della pietà ecclesiale e non costituisce una fonte formale del magistero. Inoltre, il riferimento alla necessità di “proseguire lungo la medesima linea” presuppone una continuità meramente orizzontale, intesa come sviluppo storico-pastorale, piuttosto che come continuità verticale con la Tradizione, la quale, come insegna la teologia tomista, è principio formale di identità della Chiesa nel tempo.

La linea interpretativa proposta da Kasper, se accolta, condurrebbe a una teologia della successione pontificia come atto pragmatico, teso a garantire una coerenza operativa piuttosto che una fedeltà al depositum fidei.

Si profila, così, una ecclesiologia dell’autorappresentazione, dove la Chiesa diventa soggetto riflessivo della propria evoluzione con conseguente erosione della dimensione metafisica e soprannaturale della sua costituzione.

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