Il cuore grande di Iva Zanicchi

Il cuore grande di Iva Zanicchi

di Matteo Orlando

RIFLETTENDO SULL’INTERVISTA DI MARIELLA LENTINI A IVA ZANICCHI

In una intervista pubblicata su Informazione Cattolica (vedi qui), la famosa cantante Iva Zanicchi – 85 anni compiuti il 18 gennaio scorso, ma ne dimostra 15 di meno (ad agosto terrà un concerto a Cortemilia) – svela la sua parte più umana, ma soprattutto interviene con grande severità nei confronti di chi abbandona i propri genitori e nonni nelle RSA, tanto da considerarli meritevoli di andare all’inferno.

Iva Zanicchi, giustamente, ci è andata giù pesante. In certi casi, ha detto, bisogna essere severi per riuscire a scuotere le coscienze. Anche Papa Francesco, un altro “vecchio” di 88 anni morto lo scorso 21 aprile, era intervenuto varie volte su questo tema, difendendo e valorizzando il ruolo dei nonni.

Esistono delle eccezioni, naturalmente, e ogni caso esige di essere valutato. Ma l’abbandono degli anziani, purtroppo, rimane una realtà: nipoti che si dimenticano di avere una nonna, figli ingrati che non vanno mai a trovare i genitori diventati fragili e malati anche se da loro hanno ottenuto tutto quando erano ancora giovani e stavano bene: tempo, sostegno morale, economico, aiuto con i figli piccoli, aiuto domestico. E magari prenderanno l’eredità, avidi, ben contenti in questo caso, fatta della casa e di risparmi.

C’è un modo speciale di raccontarsi, che non passa per il clamore né per l’autocelebrazione, ma per la semplicità profonda di chi ha vissuto tanto e custodisce la vita come un dono da restituire. Iva Zanicchi, in quelle risposte ispirate al celebre Questionario di Proust, ci consegna il ritratto vivido di una donna che, dietro il successo e l’energia scenica, cela un’anima ricca di sensibilità, spiritualità, intelligenza emotiva.

A emergere, prima di tutto, è il suo amore sconfinato per la musica, che non è mai solo mestiere, ma missione esistenziale, passione autentica, linfa vitale. La sua venerazione per Maria Callas – “unica, per sempre” – non è semplice omaggio artistico, ma riconoscimento di un ideale che travalica il talento per approdare alla dedizione assoluta. Così come la sua stessa carriera, costellata di generi e contaminazioni, dimostra che per Iva cantare è mettersi in ascolto della vita, senza steccati.

C’è una saggezza antica nelle sue parole, che affiora nell’amore per le piccole cose – la neve, un fiore, l’abbraccio di una figlia – e nella sua idea di felicità: attimi da cogliere con gratitudine, mai certezze da inseguire. Questa capacità di cogliere la bellezza del quotidiano è ciò che rende il suo sguardo così autentico e rassicurante, in un mondo che troppo spesso corre senza guardarsi intorno.

Iva è anche memoria storica vivente. Il suo racconto dell’infanzia – il panettone come meraviglia natalizia in tempo di guerra – è tenero e potente, perché ci ricorda che la gioia non è fatta di grandezze ma di momenti condivisi, spesso nati dalla mancanza. La lealtà, valore cardine per lei, accompagna il suo giudizio sull’uomo e sul mondo, insieme a un’indignazione non ideologica ma profondamente morale di fronte alla violenza e all’abbandono degli anziani.

Commovente, come abbiamo detto, è il suo grido d’amore verso i nonni, considerati non solo pilastri familiari, ma testimoni preziosi del passato, e ancora più forte è il suo appello contro la solitudine che troppe volte li colpisce. In una società che rischia di misurare le persone solo per la loro produttività, Zanicchi difende il valore umano incondizionato degli anziani, chiedendo per loro dignità e amore.

Poi c’è la fede, presenza costante e mai ostentata. Per Iva è forza, consolazione, guida e ricerca. Le sue parole su Gesù Cristo, gli angeli e la Chiesa sono quelle di una credente consapevole, capace di distinguere l’essenziale dall’accessorio. La sua fede è vissuta come un viaggio, non come certezza imposta: “la fede è un dono, ma anche una ricerca continua”.

Alle nuove generazioni offre consigli che pochi artisti si permettono: niente scorciatoie. Lo spettacolo può essere un’arte nobilissima, ma senza studio, gavetta e autenticità, rischia di diventare un’illusione pericolosa. “Ho una voce che Dio mi ha donato – dice – però alla base c’è stato tanto studio”. È questa l’umiltà che distingue il talento duraturo dalla gloria effimera.

E poi la natura, con la quale Iva dialoga davvero: ama le piante, le pietre, la terra. Le sue parole, quando racconta di aver “resuscitato” un bonsai parlando con lui, sembrano uscire da una fiaba e invece sono il segno tangibile di un’anima connessa con il Creato. Non è un caso che la sua figura spirituale di riferimento sia San Francesco, di cui raccoglie l’eco nella semplicità, nell’amore per la vita e nella compassione per i più fragili.

In un tempo in cui la leggerezza si confonde spesso con la superficialità, le parole di Iva Zanicchi sono un invito alla profondità, alla coerenza e all’amore. Non c’è in lei posa, ma carne viva e memoria pulsante. È una donna che, al di là delle luci dello spettacolo, ha fatto della sua esistenza un inno alla perseveranza, al rispetto e alla fede nella vita.

I veri artisti – quelli completi, veri, umani – non si misurano solo dal palco, ma dalla capacità di parlare al cuore di tutti. E Iva Zanicchi lo fa, da sempre, con voce limpida e cuore spalancato.

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