La frequenza alle funzioni religiose riduce drasticamente i “decessi per disperazione”

Uno studio condotto dall’Università Harvard ha scoperto che la frequenza constante alle funzioni religiose riduce drasticamente i cosiddetti «decessi per disperazione», come il suicidio o le morti provocate dall’abuso di droghe e di alcol. Una scoperta importante soprattutto oggi, nel contesto critico generato dalla pandemia di CoViD-19, che provoca perdite di posti di lavoro e che getta sul futuro di molte persone un’incertezza drammatica.



Gli studiosi hanno indagato la possibilità di un legame tra disperazione e riduzione della pratica religiosa attiva, scoprendo che gli infermieri e i medici che hanno preso parte a una funzione religiosa almeno una volta alla settimana hanno rivelato probabilità minori di decesso per suicidio o per abuso di droghe e alcol rispetto a coetanei che hanno invece abbandonato la pratica religiosa.



L’incidenza di «decessi per disperazione» tra gli operatori sanitari è più del doppio di quella registrata nella popolazione in generale, e questo a causa di stress e di traumi, ma tra chi pratica ancora attivamente la religione partecipando alle funzioni almeno settimanalmente le morti diminuiscono del 68% tra le donne e del 33% tra gli uomini. Poiché il livello di istruzione degli operatori sanitari è superiore alla media, in loro la disperazione è associata più a fattori come la perdita del senso della vita piuttosto che a privazioni di tipo materiale. Ora, spesso la religione favorisce un senso di pace e una visione positiva della vita, promuove la condivisione sociale, e incoraggia la socializzazione e l’impegno in attività di tipo comunitario come per esempio il volontariato.



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