Shemà. “ecco perchè il Padre Nostro ha uno schema che è proprio della preghiera ebraica”

Informazione Cattolica ospita la rubrica Shemà (che in ebraico vuol dire “Ascolta”), un commento al Vangelo del Giorno a cura della teologa Giuliva Di Berardino*. Anche a noi, uomini e donne del terzo millennio, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “Shemà”. Ascoltiamolo!

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Il Vangelo di oggi ci presenta la preghiera del Padre Nostro, una preghiera che riprende il linguaggio proprio della cultura biblica, proponendo uno schema che è proprio quello della preghiera ebraica: una proclamazione della santità di Dio, l’attesa del Regno di Dio e della realizzazione del Suo desiderio per noi. Seguono poi le richieste: del pane quotidiano, della remissione dei debiti, e della protezione dal Male.

Nello specifico di Gesù, tuttavia, questa preghiera del Padre Nostro, che può sembrare una preghiera molto comune in ambiente ebraico, si presenta come un riassunto di tutto il suo insegnamento, che, di fatto, è contenuto nell’incipit della preghiera: “Padre nostro“. Non che Israele non chiamasse Dio Padre, ma la frequenza e l’importanza che questa caratteristica di Dio ricopre per Gesù, fa di questa preghiera l’eredità dei cristiani.

Preghiera che esce dalla bocca dei cristiani, come l’insegnamento diretto di Gesù per noi, perché Gesù insegna ai suoi discepoli la stessa familiarità col Padre che Lui ha avuto, insegnando così a vivere la fraternità tra tutti gli uomini e le donne della terra.

Nel testo, questa preghiera è preceduta da una premessa di Gesù in cui spiega come la preghiera, di fatto, non è altro che mettersi in ricerca di Dio e non di interessi personali. Pregare è mettersi in ascolto dei propri bisogni, dei bisogni di chi ci sta accanto, ma con la certezza che Dio vuole il nostro bene e che conosce i nostri bisogni, prima ancora delle nostre preghiere.

La vera preghiera, quindi, ci mette in relazione sempre nuova tra noi esseri umani, tra noi e la natura, tra noi e l’universo, fino a  giungere all’unione col Padre, che ama tutto e tutti, perché Dio è Padre di tutti. Allora oggi mettiamoci in questa ricerca, cerchiamo in questo giorno, in quello che viviamo, di cogliere il fondamento che ci fa vivere, che ci rende vivi, che è la relazione con Dio e con tutti.

Se cerchiamo la relazione, soprattutto col Padre, inizieremo a percepire, intorno a noi e in noi, la vita come un dono, come qualcosa di tanto prezioso, che non possiamo non riconsegnare a Dio e agli altri. E in questa caratteristica, troviamo l’esempio di un santo che ha vissuto una grande intimità col Padre, ha scritto una preghiera di affidamento totale a Dio Padre che ci fa cogliere lo spirito di chi sa pregare come Gesù, come il Figlio amato.

Sto parlando di Charles De Focault, che oggi non ricordiamo nella liturgia, ma ricordiamo proprio in relazione a questo Vangelo, perché è stato davvero un fratello universale, che ha saputo vivere come Gesù mostrandoci come affidarci a Dio, da figli amati e fiduciosi e che è possibile anche per noi convertire il cuore alla relazione di fiducia e di abbandono al Padre.

Preghiamo insieme con le parole di Charles De Foucault: “Padre mio, mi abbandono a Te, fa’ di me quello che vuoi. Qualsiasi cosa Tu faccia di me io ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto. Purché si compia la Tua volontà in me, in tutte le Tue creature. Non desidero altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle Tue mani, la do a Te, mio Dio, con tutto l’amore che ho nel cuore, perché ti amo, e perché ho bisogno di amore, di far dono di me, e di rimettermi nelle tue mani senza misura, con infinita fiducia, perché Tu sei mio Padre”. Amen.

Buona giornata con il Vangelo del giorno!

 

VANGELO SECONDO SAN MATTEO 6,7-15

18 Giugno 2020

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

 

GIULIVA DI BERARDINO

 

 

 

* Giuliva Di Berardino, laureata in Lettere Classiche a Roma, ha poi conseguito il Baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Antonianum di Roma e la “Licenza ad docendum” in teologia liturgica presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova. Dopo aver vissuto alcuni anni in Francia,insegna danza di lode e di adorazione. Consacrata nell’Ordo Virginum della diocesi di Verona, mette a servizio della chiesa la sua esperienza nella danza biblica e nella preghiera giudaico-cristiana. In seguito ai diversi interventi sulla teologia del corpo e della danza e ai numerosi laboratori svolti in Italia e in Europa, ha pubblicato il libro “Danzare la Misericordia” (ed. dell’Immacolata), in cui descrive una vera e propria spiritualità della danza di lode, a partire dalla Bibbia. Insegnante Religione Cattolica nella scuola pubblica ed è Pedagogista del movimento e liturgista.

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