I magistrati, l’ultracasta e la degenerazione correntizia

Con l’ennesimo tavolo ministeriale sulla riforma del processo civile convocato in questi giorni dal Ministero della giustizia, si riparla finalmente dell’atavico problema del recupero dell’efficienza del sistema giudiziario italiano. Problema che s’intreccia, naturalmente, con quello dell’urgenza di una urgente “rigenerazione” del Csm, la cui deriva correntizia è diventata a tutti nota a seguito del “caso Palamara”.

Il nostro augurio è che l’obiettivo di ripristinare lo Stato di diritto nel nostro Paese superi una volta per tutti gli steccati politici e le convenienze ideologiche. Se non questo almeno il prossimo Governo si determini come prima urgenza ad estirpare (o almeno a intaccare) l’inedito (per la pervasività raggiunta) fenomeno della degenerazione correntizia nei processi decisionali dell’organo di autogoverno dei magistrati, soprattutto allorquando procede a scegliere i titolari di incarichi direttivi.

Una delle migliori riflessioni su ruolo e protagonisti del potere giudiziario in Italia è a tutt’oggi contenuto nello scottante libro del giornalista d’inchiesta Stefano Livadiotti (1958-2018) intitolato “Magistrati l’ultracasta”, edito da Bompiani nel 2009. A 11 anni di distanza sembra decisamente esser rimasto inosservato a politici e legislatori. Ingiusto ed ingiustizia sono i concetti che più di tutti vengono a mente quando si legge questo volume che, purtroppo, racconta le azioni (per lo più secretate) di chi in Italia è chiamato ad assicurare la giustizia.

Il problema dei ritardi e delle storture del funzionamento della giustizia italiana è annoso. È così grave che molti osservatori individuano in questo aspetto uno dei motivi per cui gli investitori stranieri si guardano bene dall’investire in Italia. E, sia detto senza giri di parole, il malfunzionamento sta prima di tutto nel lavoro dei giudici. Infatti, con la complicità del legislatore, l’ultracasta ha fatto disegnare un meccanismo di carriera per cui, scrive Livadiotti, «la meritocrazia non ha alcun diritto di cittadinanza […] vengono promossi, e guadagnano di più, […] solo in base alla anzianità professionale» e alle cordate di appartenenza.

I giudici, oltretutto, non assumono responsabilità nemmeno quando mettono in galera – e ce li tengono – cittadini di cui non solo il dibattimento, ma anche il semplice buon senso urlerebbe l’innocenza.

Anche sul “caso italiano”, quindi, valgono le parole sempre profetiche di san Giovanni Paolo II che, evocando il motto del pontificato di Pio XII Opus iustitiae pax, la pace come frutto della giustizia, ha affermato:«Dove non c’è giustizia non ci può esser pace, perché l’ingiustizia è già un disordine e sempre vera resta la parola del Profeta: Opus iustitiae pax».

 

GIUSEPPE BRIENZA

 

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