Ci sono politici coraggiosi che si battono per chiudere i negozi che vendono la Cannabis

La legge 242/2016 fissa alcune destinazioni d’uso per la cannabis: alimenti e cosmetici, semilavorati per applicazioni industriali, prodotti per la bio-edilizia, e così via. Manca invece ogni riferimento alla possibilità di vendere le infiorescenze della cannabis per essere fumate (uso ricreativo), anche perché tale attività sarebbe apertamente in contrasto con le leggi sanitarie. In assenza di un esplicito divieto alla vendita di cannabis come deodorante per ambienti o come articolo da collezione, sono spuntati in tutta Italia diversi punti di vendita di questo prodotto, il cui giro d’affari in Italia è stimato intorno ai 40 milioni e sta crescendo proprio in presenza di un vuoto normativo.

La legge 242/2016 ha creato un’enorme confusione, come la convinzione che fosse consentita la vendita di “erba legale” a scopo ricreativo (per fumarla).

La realtà è ben diversa, ma la confusione è tale che sono sorti in tutta Italia centinaia di negozi, che vendono infiorescenze di Cannabis e suoi derivati, per un giro d’affari che vale decine di milioni di euro, ma destinato a crescere.

Target privilegiato i giovani, che amano la trasgressione e sono per lo più ignari dei danni alla salute, che colpisce in particolar modo proprio loro nell’età nello sviluppo.

Il Consiglio Superiore di Sanità è stato molto chiaro (10.04.2018): questi negozi dovrebbero essere chiusi perché inducono al consumo: – per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico fisiche, THC e altri principi attivi, inalati o assunti con le infiorescenze di Cannabis, possono penetrare e accumularsi nel cervello; – tale consumo avviene al di fuori di ogni possibilità di controllo della quantità assunta e quindi degli effetti psicotropi che questa può produrre a breve e a lungo termine; – non è stato valutato il rischio connesso al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni, quali: età, patologie, gravidanza/allattamento, interazioni con farmaci, effetti sullo stato di attenzione, ecc., così da evitare che l’assunzione percepita come sicura si traduca in un danno per se stessi o per altri (feto, neonato, guida in stato di alterazione).

C’è da aggiungere che è scientificamente provato che il consumo di cannabis può portare nelle persone vulnerabili, all’uso di droghe ancora più pesanti; lo sanno bene le comunità di recupero perché la quasi totalità dei tossicodipendenti, hanno iniziato a drogarsi cominciando a fumare cannabis.

Ciò è dimostrato anche da uno studio effettuato su 34.000 adulti, pubblicato sulla prestigiosa rivista JAMA Psychiatry dell’American Medical Association, che evidenzia tra le persone che usano cannabis rispetto a quelli che non la utilizzano, un rischio 6 volte maggiore di passare ad altre droghe.

Un’altra indagine dell’American College of Cardiology ha dimostrato che il solo utilizzo regolare di cannabis, seppur moderato, non porta soltanto a complicanze polmonari e psichiatriche, ma anche cardiovascolari, in particolare ictus e scompensi cardiaci; mentre per i consumatori under 21 i rischi sono ancora maggiori, come evidenzia un’altra ricerca della Concordia University: deterioramento cognitivo, perdita di memoria, diminuzione del Quoziente d’Intelligenza, limitato successo formativo e probabilità di sviluppare malattie mentali. Inoltre è dimostrato che il consumo di marijuana moltiplica gli effetti negativi dell’abuso di alcol.

La maggiore disponibilità causata dalla legalizzazione produce inoltre l’aumento del consumo di marijuana.

Il fenomeno è stato rilevato in Olanda, dove con la legalizzazione della vendita di marijuana, il consumo tra 18-20enni dal 1984 al 1996 è passato dal 15% al 44%8, e ancor più da un’analisi condotta negli Stati Uniti9, che ha messo a confronto gli stati in cui la cannabis è stata legalizzata con quelli in cui non è stata legalizzata. Nei primi si riscontra un forte incremento non solo del consumo, ma anche degli accessi al pronto soccorso per problemi collegati all’uso della cannabis.

E’ chiaro che la vendita della cannabis light quale deodorante per ambienti o articolo da collezione è un espediente utilizzato dai venditori per fornire prodotti destinati di fatto e illegalmente all’uso umano. Queste vendite inoltre lanciano un pericoloso messaggio di “normalizzazione” dell’uso di cannabis ai giovani facendo loro credere che non c’è alcun rischio (se la legge lo consente, significa che non fa male), mentre sono proprio loro i più vulnerabili per via dell’accumulo di THC nel cervello non ancora completamente sviluppato.

L’ex-ministro alla Salute, Giulia Grillo, acquisito il parere del CSS, disse che prima di decidere attendeva il parere dell’Avvocatura di Stato (non arrivò mai, forse frenato da qualcuno che voleva liberalizzare le droghe?).

Il Testo Unico sugli stupefacenti (309/1990 e succ.) include nella Tabella II, tra le sostanze vietate, la Cannabis e i prodotti derivati, senza alcuna distinzione rispetto alle diverse varietà.

L’incertezza interpretativa della legge 242/2016 è confermata dal fatto che tre diverse sentenze della Quarta e della Sesta Sezione della Corte di Cassazione hanno confermato il sequestro di infiorescenze di cannabis in altrettanti cannabis-shop (Sentenza n. 34332 del 13.06.2018 della Quarta Sezione, sentenza n. 52003 del 10.10.2018 della Sesta Sezione, sentenza n. 56737 del 17.12.2018 della Sesta Sezione della Corte di Cassazione), mentre solo una sentenza della Sesta Sezione (Sentenza n. 4920 della Sesta Sezione della Corte di Cassazione) ne ha ordinato il dissequestro.

Da ultimo, la sentenza n. 330475 del 30.05.2019 delle Sezioni Unite di Cassazione conferma il divieto di commercializzazione dei derivati della coltivazione di Cannabis Sativa, quali foglie, inflorescenze, olio, resina, ma aggiunge “salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”.

Tale sentenza per altro ha generato ulteriori incertezze per i seguenti motivi: – il divieto ribadito nella stessa sentenza, di coltivare la Cannabis Sativa per usi diversi da quello agroindustriale (produzione di fibre o altri usi industriali); – l’utilizzo improprio delle infiorescenze di Cannabis da parte degli acquirenti (non potrebbero fumarle, ma usarle solo per ricerca, come deodorante o per collezione); – la vendita di più bustine di infiorescenze allo stesso acquirente aumenta la percentuale complessiva di tetraidrocannabinolo (THC), con palese effetto drogante, che è vietato dalla sentenza citata; – l’accumulo di tetraidrocannabinolo (THC) nel cervello dei fumatori, che utilizzano più dosi di infiorescenze acquistate nei cannabis-shop, produce un effetto drogante, vietato dalla sentenza sopra citata; – la vendita di apparecchiature, che permettono di aumentare la concentrazione di THC, dimostra l’intenzione del venditore di invogliare il cliente a sperimentare effetti psicotropi, vietato dall’art.82 del DPR 309/90 e s.m..

La diffusione del cannabis-shop, soprattutto nelle vicinanze di istituti scolastici o centri di aggregazione giovanile pone un problema di tutela della salute dei giovani, spesso indotti da una pubblicità accattivante a sperimentare la cosiddetta “erba legale” (così chiamano la Cannabis light), assumendone in quantità rilevante (e quindi “drogante” in base alla sentenza n. 330475 delle Sezioni Unite di Cassazione sopra citata) o aumentandone la concentrazione con apparecchiature appositamente vendute a tale scopo.

Sorprende, inoltre, e crea rischio e disagio ai cittadini, il posizionamento di insegne pubblicitarie esterne con immagini chiaramente evocative simboli di droga che creano confusione oltre che dare messaggi ambientali che possono incentivare l’uso di droghe. I simboli e le immagini utilizzate sono gli stessi che nei paesi dove è stata legalizzata la cannabis (es. Olanda – Amsterdam) si usano per pubblicizzare i coffee shop dove si vende cannabis ad alto principio attivo.

L’articolo 84 del DPR 309/90 e s.m. sul “Divieto di propaganda pubblicitaria” dove si dice esplicitamente che “1. La propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni comprese nelle tabelle previste dall’articolo 14, anche se effettuata in modo indiretto, è vietata”. Sulla base di una legislazione analoga in Francia tali negozi sono stati tutti chiusi.

L’articolo 82 del DPR 309/90 “Istigazione, proselitismo e induzione al reato di persona minore” che in questo caso potrebbe essere evocato per la visione di dette insegne esterne da parte di studenti che si trovino a passare davanti a questi negozi anche senza entrarvi.
Un’altra violazione riguarda il Regolamento Europeo 2015/2283 sui Novel Food, e cioè la autorizzazione europea per la commercializzazione dei prodotti a base di cannabinoidi (incluso il CBD – cannabidiolo).

In questi negozi infatti si vendono sostanze ad alta concentrazione di CBD che è una sostanza farmacologicamente attiva registrata negli Stati Uniti come farmaco antiepilettico. I prodotti a base di cannabinoidi (compreso il CBD) sono, secondo questo regolamento, classificabili come NOVEL FOOD e non possono quindi essere commercializzati senza aver ottenuto specifica autorizzazione. Non ci risulta che questi negozi abbiano questo tipo di autorizzazione europea rilasciata dall’AIFA.

Un altro elemento a sfavore della libera commercializzazione della cannabis light è costituito vietare la vendita contemporanea alla cannabis di estrattori, bombolette di gas butano, cartine per confezionare sigarette a base di cannabis e altri oggetti finalizzati al consumo umano (respiratorio e per ingestione) dei prodotti vegetali in vendita

 

Alla luce di queste riflessioni i componenti della Lega Salvini Premier presenti nel Consiglio comunale di Verona (nella foto uno dei consiglieri della Lega di Verona, il dottor Alberto Zelger, che ha presentato la mozione, unitamente a Laura Bocchi, Vito Comencini, Anna Grassi, Thomas Laperna, Paolo Rossi, Roberto Simeoni, Andrea Velardi) hanno chiesto al Sindaco della città scaligera, l’avvocato Federico Sboarina, e alla Giunta da lui guidata, di intensificare i controlli sui cannabis-shop, soprattutto nei negozi vicini agli istituti scolastici e con la ripresa delle lezioni in aula, per evitare che vengano messi in vendita prodotti illegali o in quantità tale da ritenersi “droganti” in base alla sentenza di Cassazione sopra citata, o che vengano vendute apparecchiature atte ad aumentare la concentrazione di THC; a verificare il rispetto delle norme sulla pubblicità dentro e fuori dai cannabis-shop, come pure sul web, e che non si configuri la violazione degli artt. 82 e 84 del DPR 309/90 e s.m. sopra citati.

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