Matteo Orlando: “esisterà sempre l’esigenza dell’attuazione del ‘bene comune universale'”

Un invito a pregare «per la pace, per il dialogo e per la solidarietà tra le nazioni: doni quanto mai necessari al mondo di oggi», è stato rivolto da Papa Francesco durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 2020.

Oltre al contributo verso la grande solidarietà fra i popoli che, nei rispettivi Stati, possono dare le varie comunità e singoli cittadini, legislatori e politici cattolici o cristiani del mondo occidentale, il Santo Padre non manca d’incoraggiare anche governanti e classi dirigenti del mondo arabo.

Nell’incontro ad esempio tenuto a Rabat, in Marocco, il 30 marzo 2019 con i rappresentanti del popolo marocchino, le autorità e i membri della società civile e del corpo diplomatico, il Papa ha espresso l’auspicio per la «messa in atto di una vera solidarietà tra le Nazioni e i popoli, al fine di trovare soluzioni giuste e durature ai flagelli che minacciano la casa comune e la sopravvivenza stessa della famiglia umana» (Papa Francesco, Dialogo e collaborazione contro i fondamentalismi, in L’Osservatore Romano, 1-2 aprile 2019, p. 9).

Si tratta, quindi, di un argomento all’attenzione della Chiesa oltre che di stretta attualità nell’ambito dell’emergenza economica, sanitaria e sociale che sta affliggendo buona parte del mondo.

La Dottrina Sociale della Chiesa, come noto, parla di “unità della famiglia umana”, ma come fare in concreto per realizzarla?

La risposta è solo una, ma difficilmente le nazioni del mondo la metteranno in pratica. La risposta è quella di mettere Nostro Signore Gesù Cristo al centro dell’economia e della società, perché lui è il prototipo e fondamento della nuova umanità.

L’unità della famiglia umana è già chiaramente delineata nelle Sacre Scritture. I racconti biblici sulle origini mostrano l’unità del genere umano e insegnano che il Dio d’Israele è il Signore della storia e del cosmo: la Sua azione abbraccia tutto il mondo e l’intera famiglia umana, alla quale è destinata l’opera della creazione.

La decisione di Dio di fare l’uomo a Sua immagine e somiglianza conferisce alla creatura umana una dignità unica, che si estende a tutte le generazioni e su tutta la terra. Il Libro della Genesi mostra, inoltre, che l’essere umano non è stato creato isolato, ma all’interno di un contesto di cui fanno parte integrante lo spazio vitale, che gli assicura la libertà (il giardino), la disponibilità di alimenti (gli alberi del giardino), il lavoro (il comando di coltivare) e soprattutto la comunità (il dono dell’aiuto simile a lui). Le condizioni che assicurano pienezza alla vita umana sono, in tutto l’Antico Testamento, oggetto della benedizione divina.

Dio vuole garantire all’uomo i beni necessari alla sua crescita, la possibilità di esprimersi liberamente, il positivo risultato del lavoro, la ricchezza di relazioni tra esseri simili.L’alleanza di Dio con Noè, e in lui con tutta l’umanità, dopo la distruzione causata dal diluvio, manifesta che Dio vuole mantenere per la comunità umana la benedizione di fecondità, il compito di dominare il creato e l’assoluta dignità e intangibilità della vita umana che avevano caratterizzato la prima creazione, nonostante in essa si fosse introdotta, con il peccato, la degenerazione della violenza e dell’ingiustizia, punita con il diluvio.

Il libro della Genesi presenta con ammirazione la varietà dei popoli, opera dell’azione creatrice di Dio e, allo stesso tempo, stigmatizza la non accettazione da parte dell’uomo della sua condizione di creatura, con l’episodio della torre di Babele. Tutti i popoli, nel piano divino, avevano «una sola lingua e le stesse parole» (Gen 11,1), ma gli uomini si dividono, volgendo le spalle al Creatore. Ed è così anche oggi.

L’alleanza stabilita da Dio con Abramo, eletto «padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,4), apre la strada al ricongiungimento della famiglia umana al suo Creatore. La storia salvifica induce il popolo di Israele a pensare che l’azione divina sia ristretta alla sua terra, tuttavia si consolida a poco a poco la convinzione che Dio opera anche tra le altre Nazioni. I Profeti annunceranno per il tempo escatologico il pellegrinaggio dei popoli al tempio del Signore e un’era di pace tra le Nazioni. Israele, disperso nell’esilio, prenderà definitivamente coscienza del suo ruolo di testimone dell’unico Dio, Signore del mondo e della storia dei popoli.

Con l’incarnazione del Figlio di Dio, noi sappiamo come in Gesù Cristo trova compimento l’uomo creato da Dio a Sua immagine. Nella testimonianza definitiva di amore che Dio ha manifestato nella croce di Cristo, tutte le barriere di inimicizia sono già state abbattute e per quanti vivono la vita nuova in Cristo le differenze razziali e culturali non sono più motivo di divisione.

Grazie allo Spirito Santo, la Chiesa Cattolica conosce il disegno divino che abbraccia l’intero genere umano e che è finalizzato a riunire, sotto la signoria di Cristo, tutta la realtà creaturale frammentata e dispersa. Dal giorno di Pentecoste, quando la Risurrezione è annunciata ai diversi popoli e compresa da ciascuno nella propria lingua, la Chiesa adempie al proprio compito di restaurare e testimoniare l’unità perduta a Babele: grazie a questo ministero ecclesiale, la famiglia umana è chiamata a riscoprire la propria unità e a riconoscere la ricchezza delle sue differenze, per giungere alla «piena unità in Cristo», come ha insegnato la Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II Lumen gentium.

Tuttavia, il mondo attuale, stritolato da varie ideologie anticristiane che ne governano la società e l’economia, non può comprendere questo. E tocca a noi cattolici ribadire che solo ritornando alla fede in Cristo si potranno creare anche condizioni socioeconomiche migliori.

Il messaggio cristiano offre una visione universale della vita degli uomini e dei popoli sulla terra, come ha spiegato chiaramente Pio XII, il 6 dicembre 1953, parlando ai Giuristi Cattolici sulle Comunità di Stati e di popoli. Il Cristianesimo fa comprendere l’unità della famiglia umana, ha spiegato il numero 42 della Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II.

I padri dell’ultima assise conciliare hanno chiaramente spiegato che la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d’ordine politico, economico o sociale ma di ordine religioso. Tuttavia proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina. Basti ricordare le opere di misericordia cattoliche, destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi.

La Chiesa Cattolica è per una sana socializzazione e per la più ampia solidarietà civile ed economica. Ma, come sappiamo, una vera unione sociale esteriore discende dalla unione delle menti e dei cuori, ossia da quella fede e da quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata nello Spirito Santo.Infatti, la forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea consiste in quella fede e carità effettivamente vissute, e non in una qualche sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani. In forza della sua missione e della sua natura, la Chiesa Cattolica non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale.

La Chiesa per questa sua universalità può costituire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e le riconoscano di fatto una vera libertà per il compimento della sua missione. La Chiesa, infatti, collabora con qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona e della famiglia e riconosca le esigenze del bene comune. Per questo motivo il Concilio ha esortato gli uomini a superare ogni dissenso tra nazioni e razze, e a consolidare interiormente le legittime associazioni umane. Evidentemente non è stato molto ascoltato.

È chiaro che l’unità tra gli uomini e le nazioni non va costruita con la forza delle armi, del terrore o del sopruso. Come ha spiegato il grande Papa e santo Giovanni Paolo II, il 5 ottobre 1995, durante un Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione, l’unità tra gli uomini e le nazioni è una conquista della forza morale e culturale della libertà.

Il cattolicesimo ha cercato e cerca di fare capire all’umanità che i popoli tendono ad unirsi non solo in ragione di forme di organizzazione, di vicende politiche, di progetti economici o in nome di un internazionalismo astratto e ideologico, ma perché liberamente si orientano verso la cooperazione, consapevoli di essere membra vive di una comunità mondiale.

«L’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale», ha spiegato il santo Papa Giovanni XXIII, nella lettera enciclica Pacem in terris.

 

 

MATTEO ORLANDO (nella foto)
in Corriere del Sud n. 3, anno XXIX
Crotone 30 aprile 2020, p. 3

 

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