L’importanza della Regola di San Benedetto per la società di oggi

 

Di Don Massimo Lapponi e Giuseppe Brienza

 

Dopo tanti anni di sacerdozio posso confermare che la Regola di San Benedetto da Norcia (480-547) ha molto da insegnare non solo alle famiglie, ma anche al mondo dell’educazione e della scuola e, infine, ai sacerdoti diocesani. Infatti, appena escono dal seminario, i molti di essi si trovano ad affrontare una vita che facilmente diventa senza regole: tutta un affanno a correre dietro alle varie iniziative più o meno pastorali. Che cosa è mancato, dunque, nella loro formazione? La risposta potrebbe essere: quello che è mancato a tutti!

E qui ho potuto meglio comprendere un fatto essenziale, che già da tempo stavo considerando, e che è generalmente sfuggito all’attenzione: tutta l’esperienza di San Benedetto potrebbe essere ricondotta ad un conflitto profondo con la scuola, come essa viene intesa – e lo era già al suo tempo! – sia nell’ambito laico istituzionale, sia anche nell’ambito ecclesiastico.

Consideriamo: San Benedetto fugge da Roma, dove era andato per i suoi studi superiori. Perché? Perché vede che i giovani studenti conducono una vita sregolata. A cosa serve una scuola che non sa insegnare ai giovani a vivere in modo sano e virtuoso? Una scuola così conduce all’inferno! Meglio dunque fuggire, “coscientemente ignorante e sapientemente indotto”, come scrive San Gregorio Magno, suo biografo. Quando, dopo una lunga esperienza, prima di solitudine e poi di organizzazione della vita religiosa, San Benedetto scrive la sua Regola, egli afferma di voler costituire una “scuola del servizio divino”. Una scuola, dunque! Ma quanto diversa da quella che si è lasciato alle spalle!

Non pensiamo subito che questo discorso valga soltanto per i monaci. Vale per tutti! Già più di cent’anni fa F.W. Förster, che è stato il mio principale ispiratore, osservava che i nostri centri di studi superiori sono anche i più grandi centri di corruzione sessuale della gioventù! Dunque dai tempi di San Benedetto che cosa è cambiato? E certamente il problema non riguarda soltanto i monaci!

Vi è un bel testo di S. Ambrogio che recita: «I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene». Ma i genitori di oggi sono in grado di realizzare questo programma? Se non lo sono, è perché la scuola non li ha formati per questo! Per che cosa li ha formati? Ha richiesto un impegno immenso nelle cognizioni intellettuali, presumibilmente utili per una professione fuori casa, mentre nello stesso tempo ha quasi del tutto trascurato la formazione a tutte le virtù umane e cristiane e a tutte le competenze necessarie per creare e saper gestire una famiglia, e la prima cosa che ha programmaticamente trascurato è quella oggi tanto disprezzata virtù della castità che è invece, come dovrebbe essere ovvio, la fondamentale pietra d’angolo di ogni futuro edificio familiare.

In questa luce la “scuola del servizio divino” di San Benedetto appare assai meno “ecclesiastica” e assai più “laica” di quanto non sembri! Lo dimostra il fatto che anche le scuole di teologia in cui si formano i nostri sacerdoti mirano assai più alla cultura intellettuale che alla sana e santa gestione della vita quotidiana, con tutte le sue ricchezze e complessità! Se solo San Benedetto insegna a governare l’ambiente di vita in modo che “nessuno si turbi o si rattristi nella casa di Dio”, vuol dire che solo la sua scuola può servire al programma di S. Ambrogio!

A mio giudizio, dunque, seguendo il grande insegnamento del Förster, è necessaria per tutti una grande riforma della scuola, e San Benedetto è il vero patrono di essa!

Il fatto che ora, almeno in Sri Lanka, il clero incomincia ad ascoltare questa lezione, e che già si sta progettando di estenderla anche alla pastorale familiare, è un piccolo segno, che però infonde fiducia e speranza che il granello di senape seminato con la nostra iniziativa possa produrre, per grazia di Dio, un grande albero, tra le cui fronde molti volatili verranno fare il loro nido.

Un discorso sulla “liturgia familiare”

Chi è già iscritto alla scuola online “La corona di dodici stelle” troverà nel relativo sito le tre parti di cui si compone l’istruzione sulla preghiera liturgica familiare, con l’aggiunta in fondo dei “Canti per la liturgia”, di cui abbiamo parlato nelle conversazioni precedenti.

La prima parte dell’istruzione è la più lunga e offre molti spunti utili per organizzare e valorizzare al meglio la preghiera comune di tutta la famiglia. Nelle altre due parti si presentano alcuni esempi di preghiera, presi dalla Bibbia e dall’immenso repertorio della preghiera cristiana, orientale e occidentale, antica e moderna.

Infine si rimanda ad un bellissimo testo: l’Introduzione Generale dell’opera “L’anno liturgico” di Dom Prosper Guéranger (1805-1875), restauratore dell’Ordine Benedettino in Francia nel secolo XIX. Il testo dell’Introduzione Generale è messo a disposizione, nell’Undicesima Stella, tra i documenti aggiunti. Conviene leggerlo nella versione da noi presentata, perché il testo italiano che si trova nel relativo sito web è pieno di refusi. Il documento da noi pubblicato, invece, è stato corretto ed è perciò da preferire. Chi conosce il francese troverà online il testo originale. È una lettura che si raccomanda vivamente, richiamando l’attenzione sull’importanza delle realtà e dei segni sensibili e visibili per la nostra vita spirituale. Il fatto stesso che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana e l’abbia poi sacrificata sulla croce per la nostra salvezza dimostra quale ruolo insostituibile abbiano le realtà corporali e sensibili, quando si fanno portatrici della vita divina, per la vita spirituale degli uomini.

Non è, dunque, assolutamente secondaria la qualità dei segni sensibili che hanno la finalità di metterci in contatto con la persona di Cristo, di Maria e dei santi, ed è, perciò, nostro dovere e nostro interesse che tutto il mondo dell’espressione liturgica e artistica della fede non decada a forme banali, insignificanti e inadeguate, ma mantenga il livello che duemila anni di appassionata devozione da parte di santi, pittori, scultori e musicisti gli hanno conferito.

Ritornando al ruolo della famiglia quale insostituibile strumento di salvaguardia, ovvero di recupero, nelle crisi, oggi sempre in agguato, rappresentate dai possibili disordini comportamentali, dalla disoccupazione, dalla malattia o dalla morte, ciò non è a motivo di qualche strategia finanziaria, ma per la presenza, nella vita familiare, di fattori spirituali e morali determinanti, che dunque devono essere ben considerati, studiati e coltivati da una sana educazione e formazione scolastica. Se, infatti, da detti fattori deriva la sana economia delle famiglie, e quindi dell’intera società, è necessario che i membri di una famiglia, e specialmente i genitori, siano messi in grado di avvalersene, e questo è un compito che può essere svolto soltanto dalla scuola, ma da una scuola totalmente ripensata.

Come, dunque, potremmo chiarire la natura di detti fattori?
Proprio i tre voti monastici – castità, povertà e obbedienza – ce ne danno la chiave.
Sebbene, ovviamente, nelle famiglie non si richieda la rinuncia radicale ai superiori beni umani dell’amore coniugale, del possesso e dell’autonomia del volere, perché proprio su quei beni esse si fondano, paradossalmente San Benedetto ha visto bene che le tre relative rinunce hanno un profondo legame con una sana vita comune.

Che la virtù della castità, se pure non finalizzata ad una rinuncia totale, sia necessaria per prepararsi degnamente al matrimonio e per poi viverlo felicemente, è una verità che soltanto un’età schizofrenica come la nostra poteva dimenticare o negare. E sono certamente elementi fondamentali della coesione e del buon ordine familiare la subordinazione del possesso e dell’uso individuale dei beni agli interessi della famiglia e la disponibilità a porre al servizio dei familiari la libera iniziativa di ciascuno. Se manca questo “spirito dei voti monastici”, il valore della famiglia, anche come ammortizzatore finanziario, rischia di venir meno.

Ma la Regola di San Benedetto indica in modo molto più dettagliato in qual mondo sia necessario indirizzare e ordinare le ricchezze materiali e spirituali della comunità, o della famiglia, e dei suoi membri in modo che ognuno possa realizzare sé stesso spendendo a beneficio di tutti i propri talenti e nello stesso tempo ricevendo dalla famiglia un sostegno incomparabile, che nessun altro ammortizzatore sociale potrebbe offrirgli.

Don Massimo Lapponi

 

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Don Massimo Lapponi, chi è
A cura di Giuseppe Brienza

Sacerdote benedettino dell’Abbazia Benedettina di Santa Maria di Farfa (Rieti), teologo e autore di numerose pubblicazioni accademiche, Don Massimo Lapponi O.S.B. è nato a Roma nel 1950. Dal 1973 professo di Farfa, il 24 giugno del 1977 è ordinato sacerdote e, successivamente, ha esercitato diversi incarichi fra i quali quello di Archivista-Bibliotecario, organista e docente nella Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo di S. Anselmo in Roma. Delegato dal P. Priore dell’Abbazia di Farfa, attualmente opera come missionario in Sri Lanka.

Nei suoi numerosi scritti e interventi, anche giornalistici (per esempio sul quotidiano “La Croce”) Don Lapponi si è segnalato per uno stile profondo e incisivo, insegnando fra l’altro che, l’attuale deriva morale contemporanea, buona parte (dal punto di vista culturale) esito della Rivoluzione sessuale del Sessantotto – che si chiami o meno “teoria del gender” – costituisce una violazione ed una discriminazione insieme dei diritti non di una minoranza, bensì della grande maggioranza dell’umanità, in particolare formata da donne, soprattutto naturali procreatrici ed educatrici, insieme al suo partner maschile, della vita umana nascente.
Per rispondere a questa crisi, fra l’altro, Don Lapponi ha promosso e dirige la prima scuola on-line per famiglie denominata “La corona di dodici stelle”, inaugurata il 3 aprile del 2016 presso l’Abbazia di Farfa (per info: http://www.abbaziadifarfa.it). Costruita sulla base della Regola Benedettina, questa iniziativa si rivolge a persone impegnate nella vita familiare o che si preparano a formare una famiglia, ma anche ai membri delle comunità claustrali, in quanto interessati a trasmettere alle comunità familiari il modello di vita, e le relative competenze, propri delle comunità religiose, e specialmente di quelle che seguono la spiritualità di San Benedetto da Norcia.

 

In Corriere del Sud n. 4
anno XXVI/17, p. 3

 

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