L’aborto chimico e le menzogne del Pd
IL PD RITIENE LA RU486 SICURA COME UN’ASPIRINA. MA DAL PARTITO DI ZINGARETTI MENTONO SAPENDO DI MENTIRE! QUELLA CAUSATA DALL’ABORTO FARMACOLOGICO È UNA MORTALITÀ 10 VOLTE MAGGIORE DI QUELLA PER ABORTO CHIRURGICO
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Di Pietro Licciardi
Il Partito democratico ha fatto sapere di aver chiesto la rimozione dei manifesti che Pro Vita ha affisso in alcune delle maggiori città italiane per mettere in guardia le donne dall’assumere alla leggera i farmaci che interrompono la gravidanza, le cosiddette “pillole del giorno dopo”, definite un “veleno” dicendo che «sostenere che un farmaco autorizzato dagli organismo preposti sia un “veleno” che costringe le donne ad una procedura lunga e dolorosissima (…) è molto crudele oltre che falso».
Ma a mentire, tanto per cambiare è il Pd, il partito erede di quel Pci che alla fine degli anni Settanta si impegnò in una campagna referendaria per far diventale l’aborto una legge della repubblica e un diritto ricorrendo ad ogni sorta di menzogna, sciorinando cifre false sul numero di aborti clandestini praticati ogni anno in Italia e sul numero delle donne che avevano abortito.
Una menzogna che oggi prosegue facendo passare le “pillole del giorno dopo” come innocui farmaci.
Già nel 1998 Lawrence F. Roberge, che ha fatto parte del gruppo consultivo scientifico che ha studiato la RU486 – uno dei composti chimici abortivi in questione – per Americans United for Life (AUL) nel 1994-1995 ha presentato una lettera di reclamo contro la Food and Drug Administration (FDA) avendo rilevato numerosi effetti dannosi sulle donne che si erano sottoposte al trattamento: Tra questi effetti: immunodepressione col verificarsi in numerosi casi di infezioni nel tratto pelvico genitale, dolori, crampi uterini, abbondanti emorragie, perdita del sonno. Tra i rischi riscontrati anche la morte.
Nel 2008 il Movimento per la vita ambrosiano e l’Associazione medici cattolici organizzarono a Milano un convegno per contestare la decisione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) di introdurre la Ru486 in quanto ritenuta non sicura. Tra il 2001 e il 2006 furono infatti riscontrati 16 decessi di donne decedute per complicanze seguite all’assunzione della Ru486, uno dei farmaci che il Pd ritiene sicuro come un’aspirina. Una mortalità, quella causata dall’aborto farmacologico, 10 volte maggiore di quella per aborto chirurgico.
Nel 2018 la Gedeon Richter, azienda produttrice dell’Esmya, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l’AIFA hanno diramato un comunicato col quel si metteva in guardia sul fatto che erano stati riscontrati quattro casi di grave danno epatico che hanno portato a trapianto di fegato e altri casi di insufficienza epatica dopo il trattamento con ulipristal acetato, anch’esso presente nelle pillole abortive.
Intervistato da “Avvenire” il 27 marzo 2007 Massimo Srebot, primario di ginecologia a Pontedera (Pisa), uno dei primi medici in Italia a introdurre l’aborto chimico spiegò che «alla luce dei 200 casi che ho seguito chiedo alle donne di restare tutta la giornata, sia perché alcune di loro hanno dolori forti per le contrazioni violente e sanguinamento e spesso bisogna ricorrere a un forte analgesico per via endovenosa, sia per fare un controllo ecografico. Inoltre, un 4-5 per cento non riesce a espellere (il concepito n.d.a.) e bisogna intervenire con l’aspirazione. In ogni caso è bene dire che la Ru 486 deve essere usata sotto stretto controllo, non va assolutamente presa sotto gamba, va fatta una valutazione medica prima, perché ci si può trovare di fronte, per esempio, a una gravidanza extrauterina. […] Non è comunque un modo indolore per abortire, per una donna non c’è un modo indolore». Alla faccia del Pd e di chi crede che prendere la “pillola del giorno dopo” sia come prendere un qualsiasi farmaco.
Purtroppo manca lo spazio per riportare per intero il racconto di Mara (nome inventato) intervistata dal settimanale “Tempi” nel Settembre 2009, che ricorda: «Me l’hanno dipinta come una pillola magica come per non lasciarmi alternative, così l’ho presa. Dopo cinque minuti mi hanno mandato a casa e li è iniziato il calvario (…) La parte peggiore è stata quando sono uscita: non appena salita in macchina ho incominciato a sentire delle fitte insopportabili, mi sentivo venir meno e penso sempre che se fossi stata sola forse non sarei qui, probabilmente mi sarebbe capitato un incidente. Fortunatamente c’era il mio ragazzo. Altrimenti come avrei fatto a salire le scale su cui sono svenuta? Chi mi avrebbe accudito quando sono entrata in casa vomitando per ore con sbalzi ormonali pazzeschi, sensazioni di freddo e caldo continue e tachicardie ripetute, mentre la violenza delle contrazioni mi piegava in due? E i giorni seguenti quando sono dovuta rimanere a letto come avrei fatto ad andare in bagno o anche solo a mangiare?».
Comunque niente paura, perché secondo il ministro della morte Roberto Speranza «L’aborto farmacologico è sicuro. Va fatto in day hospital, nelle strutture pubbliche e private convenzionate, e le donne possono tornare a casa mezz’ora dopo aver assunto il medicinale». E lì sanguinare, patire atroci dolori e forse anche morire.