La vita (difficile) di una donna cristiana in Pakistan

La vita (difficile) di una donna cristiana in Pakistan

I CRISTIANI PAKISTANI, NONOSTANTE LA LORO CONDIZIONE DI ESTREMA POVERTÀ, SONO PRONTI A DARE LA VITA PER CRISTO, PERCHÉ SANNO CHE DIO È SEMPRE CON LORO

Di Giuseppe Brienza

La blogger cattolica pakistana Zarish Imelda Neno, presidente del Jeremiah Education Centre, un centro educativo-assistenziale fondato a Faisalabad, in Pakistan, che assiste i bambini cristiani poveri e le loro famiglie, ha raccolto i suoi pensieri e la sua esperienza nel libro Una piccola matita. Vita di una donna cristiana in Pakistan, pubblicato dalla casa editrice Berica nella collana “chestertoniana” Uomo Vivo (Vicenza 2020, pp. 92, € 14).

La Neno, sposata con un italiano, ha studiato Economia in Pakistan, Business a Londra e Scienze Religiose a Roma. Dal 2019 vive in Italia e, da noi, ha maturato l’idea di lavorare ad un libro che, sin dal titolo, s’ispira alle grandi parole di saggezza di Santa Teresa di Calcutta (1910-1997): «Sono come una piccola matita nelle Sue mani, nient’altro. È lui che pensa. È lui che scrive. La matita non ha nulla a che fare con tutto questo. La matita deve solo poter essere usata». La Neno vi descrive le difficili condizioni di vita dei cristiani pakistani e, in particolare, delle donne soggette alla condizione islamica di minorità. Nella Repubblica Islamica del Pakistan i cristiani (sia cattolici sia protestanti) rappresentano appena l’1,6% della popolazione e, la discriminazione, è forte nei loro confronti, e sotto molteplici aspetti. Dopo l’11 settembre 2001, testimonia l’autrice, la pressione si è fatta ancora più intensa, con lo scopo di forzare alla conversione all’islam o lasciare il Paese.

In Pakistan il Codice penale punisce la blasfemia contro il Corano o il profeta Maometto con la detenzione a vita o addirittura con la pena di morte. Anche se finora non risultano persone giustiziate per blasfemia, sono numerose quelle imprigionate con accuse di questo genere.

Di fatto la legge antiblasfemia è uno strumento di persecuzione di tutte le minoranze religiose presenti in Pakistan (principalmente hinduisti e ahmadi). Tra i misfatti di questa legge va senz’altro annoverato il calvario toccato ad Asia Bibi – il cui vero nome è in realtà Aasiya Noreen –, la donna cristiana incarcerata dopo essere stata falsamente accusata nel 2009 di aver oltraggiato il profeta Maometto. Solo nel 2018 è stata assolta dall’accusa di blasfemia ma ha dovuto ugualmente lasciare il paese per timore di ritorsioni.

Questa vicenda e la testimonianza stessa dell’autrice di Una piccola matita dimostrano però che la persecuzione va affrontata in piedi: a testa alta, con lo sguardo rivolto verso il cielo. Scrive a tal proposito Zarish Neno: «Dio non ha promesso che le nostre vite quotidiane sarebbero state facili, ma che sarebbe stato con noi e non ci avrebbe mai lasciati, quello sì! Mi dà così tanto conforto sapere che non sarò mai sola! E questa certezza è anche la forza di tutti gli altri cristiani che vivono in Pakistan e che, nonostante la loro condizione di estrema povertà, sono pronti a dare la vita per Cristo, perché sanno che Dio è sempre con loro» (p. 68).

Non a caso il capitolo finale del libro è rivolto ai cristiani d’Occidente al fine di chiedere sostegno e incoraggiarli a resistere alle forme di persecuzione più sottili che ovunque nel mondo vanno diffondendosi sotto la forma della “dittatura del relativismo”. Questo decimo capitolo s’intitola Messaggio per tutti i miei fratelli e sorelle occidentali e, significativamente, inizia con la citazione di San Paolo: «Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti» (1Corinzi, 16,13). Si conclude con una splendida orazione, composta dall’autrice: «Preghiamo il Signore Gesù: “Perché sei morto per me, aiutami a vivere per te e, se necessario, a morire per te. Non lasciare che il mondo mi intimidisca. Aiutami a non vivere nel “politically correct”. Aiutami a essere forte, a non avere paura. Insegnami, Signore, a testimoniare sempre il Tuo Amore”» (pp. 90-91).

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Perché mi hai fatto nascere qui?

Per gentile concessione di Berica Editrice pubblichiamo uno stralcio del libro

di Zarish Neno

Quando il terrorismo e la persecuzione hanno iniziato a crescere, in Pakistan, ho domandato a Dio: «Perché mi hai fatto nascere qui? Non potevo nascere in un altro paese, così avrei vissuto in pace?». A lungo ho continuato a cercare una risposta e finalmente un giorno Dio me l’ha data.

Avevo ventun anni e stavo andando a Faisalabad con una focolarina (del Movimento dei Focolari) di nome Sima. Ero stata invitata a partecipare a un incontro mensile della comunità. Un uomo di quarant’anni si è alzato per parlare. Non ricordo il suo nome, né il volto. Ho un’immagine molto sfocata di lui nella mia mente, ma quello che ha detto quel giorno non l’ho più dimenticato. È rimasto nel mio cuore e nella mia mente per sempre.

«Spesso penso che Dio avrebbe potuto farmi nascere in qualsiasi parte del mondo. Avrei potuto essere un americano o un italiano o un irlandese. Ma da tutti i paesi del mondo, Dio ha deciso di farmi nascere in Pakistan e di essere un cristiano in Pakistan. Questo è il suo progetto di vita per me. Vuole che io testimoni la mia fede vivendo in queste difficoltà che ci circondano. Vuole che testimoni il Suo Amore e la Sua misericordia a coloro che non lo conoscono. Pertanto, non ho rimpianti di essere un cristiano pakistano. Invece, sono molto felice che Dio abbia scelto me come testimone della sua fede in un posto come il Pakistan. Mi sento onorato!».

Quelle parole erano per me, come se Dio mi stesse parlando direttamente, dandomi la risposta che da tanto tempo stavo cercando. Pur essendo trascorsi undici anni da quell’incontro a Faisalabad, quelle parole sono rimaste impresse nella mia mente e nel mio cuore e questo mi ha aiutato a cambiare la mia prospettiva sul dolore che viviamo. Ho cominciato a capire che la persecuzione è un dono e che se il Pakistan è il luogo in cui Dio ha voluto farmi nascere, così che possa testimoniare la mia fede in Lui alle persone che ci circondano, allora perché dovrei essere qualcun’altra?

Ora, ogni volta che qualcuno mi dice: «Non definirti “cristiana pakistana”, ma semplicemente “cristiana”», io rispondo: «Ma se Dio ha voluto che io fossi una cristiana pakistana, perché dovrei negarlo. Sono felice di essere una cristiana pakistana. Per me è un grande onore».

 

In Il Corriere del Sud, n. 7
anno XXIX/20, p. 3

 

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