Bullismo e cyberbullismo trattati dall’abile “penna” di Barbara Appiano

Bullismo e cyberbullismo trattati dall’abile “penna” di Barbara Appiano

IL ROMANZO DI BARBARA APPIANO: UN “PUGNO PERSONIFICATO”, ALLEGORIA DEL BULLISMO

Di Maria Luisa Donatiello

La prolifica penna di Barbara Appiano (www.appianobarbara.it), artista e scrittrice, ha generato un libro-allegoria dal titolo “Bulli e atolli, il mondo non è dei polli: romanzo bullo che non vuole farsi educare” (Barbara Appiano, Io sono il libro e mi auto pubblico, Santhià (VC),2020, pp. 100, € 14) nel quale il tema del bullismo è affrontato dalla scrittrice con apprezzabile ironia mediante l’artificio letterario del paragone, della trasposizione del mondo umano nel mondo animale, escamotage tanto antico quanto intramontabile ed efficace.

Così il gallo Luciano diventa l’allegoria del bullo, lui che nel pollaio detta legge. L’autrice scrive nell’Introduzione: “davanti ad una scuola vidi dei ragazzini scagliarsi contro un loro compagno senza un apparente motivo: la zuffa era da pollaio, […] Nacque così “Bulli e atolli, il mondo non è dei polli[…]. L’ispirazione ha preso il volo quando entrando nel pollaio adiacente il mio orto, Luciano, un super gallo, mi cacciò via […] Luciano fu inquadrato come un autentico bullo”.

Dall’acuta osservazione della realtà scaturiscono profonde riflessioni, così i temi del bullismo e del cyberbullismo sono trattati dall’Appiano con ingegno e originalità, mediante un linguaggio immediato in cui trovano la giusta collocazione anche rime e giochi di parole: “Armi che abbracciano il riso che diventa de-riso” e “La noia è il vostro boia” per una lettura agevole e scorrevole. Nell’affrontare il tema del cyberbullismo l’autrice scrive: “Noi pugni siamo di poche parole più che parlare agiamo […]. Siamo anche virtuali con parole di fuoco[…].L’identikit del bullo è il nostro profilo social che raccatta tanti pollici innalzati al cielo”.

Nella Prefazione la filologa Sonia Francisetti Brolin definisce i bulli “una nuova forma antropologica, frutto distorto di un contesto sociale che, invece di educare all’amore e alla condivisione, inneggia alla supremazia, perché la sana normalità è associata alla mediocritas del fallimento. I bulli sono quindi paragonati ai galli, che si scagliano contro le loro vittime, ossia i polli, in una zuffa da pollaio”.

Dalla poesia, genere caro all’autrice insieme alla narrativa e alla saggistica, si prende qui in prestito l’immagine figurata per la quale il pugno diviene “personificato”, tanto che è proprio Pugno il personaggio principale del romanzo che si rivolge al lettore esprimendosi in prima persona: “Mi chiamo Pugno e sono nato dalla pancia di una pianta che di nome fa violenza […]. Insostituibile nella mia potenza di alimentare scompiglio, […]. Sono anche coscienza che dorme […]. Sono lo scrigno della vostra indifferenza”.

In più punti della narrazione si fa riferimento alla “cattiva educazione” che non è da intendersi soltanto come mancanza di buone maniere, ma soprattutto come assenza di formazione all’amore. Si perché l’amore non è solo un sentimento, ma una pratica per la quale bisogna essere formati e in fin dei conti il pugno non è che una mano usata male e rappresenta l’uso errato del proprio corpo che creato per fare del bene, per accarezzare, per amare, per creare bellezza diviene strumento di violenza. Non a caso nel libro non manca il riferimento all’amore autentico incarnato in Gesù al quale il nono capitolo è interamente dedicato.

Il bullismo è generato anche da una mancata importanza attribuita alle parole e una mancata educazione al dialogo interpersonale, perciò inevitabilmente il pugno viene considerato elemento in contrapposizione con le parole: “E le parole? Loro se ne stanno in disparte, praticano l’esercizio agnostico del mutismo”.

Bella l’immagine finale di Pugno che si ribella al ruolo che gli è stato attribuito dal bullo al quale è appartenuto: “L’obbedienza ha dato forfait […]. L’armistizio che abbiamo firmato con il pollice rivolto verso l’alto ci ha reso inabili alla prevaricazione, restiamo immobili e in fila nella nostra condizione di pugni redivivi nell’attesa che qualcuno finalmente ci liberi dal pregiudizio che un pugno equivale alla forza incontrollata che ha perso la ragione”.

Una lettura interessante e sicuramente consigliata soprattutto ai genitori ed agli insegnanti.

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