Cultura e turismo virtuali? Tutto molto bello, ma fino a un certo punto!

Cultura e turismo virtuali? Tutto molto bello, ma fino a un certo punto!

L’ICOMOS, ONG FONDATA A PARIGI NEL 1965, HA PROMOSSO ANCHE QUEST’ANNO IL 18 APRILE COME “GIORNATA INTERNAZIONALE DEI MONUMENTI E DEI SITI”. OCCASIONE PER RIAFFERMARE CHE LA CULTURA SI FA SOLO IN PRESENZA… IL VIRTUALE LASCIAMOLO AI VIDEO GAMES!

Di Anita Kuhta*

L’ICOMOS (International Council of Monuments and Sites), organizzazione non governativa (ONG) consultiva dell’UNESCO, ha istituito nel 1982 il 18 aprile come Giornata internazionale dei monumenti e dei siti. Quest’anno il tema proposto è stato “Passati complessi: futuri diversi”. La diffusione pandemica che stiamo vivendo sta in effetti mettendo a dura prova tutto il mondo della cultura, del turismo e dell’arte, siti e monumenti compresi. Tutte le attività culturali sono interdette da oltre un anno, con brevi parentesi per le riaperture con ingressi “contigentati”.

Le visite nel frattempo sono diventate virtuali. Tutti si sono attrezzati per non interrompere del tutto le attività organizzandosi sulle varie piattaforme, un modo limitato di rimanere in contatto con i propri visitatori, viaggiatori, fruitori di ogni tipo. Per dire la verità, progetti del genere esistevano anche prima, solo che con i vari lockdown, hanno vissuto e stanno vivendo un vero boom. I promotori sostenevano che in questo modo diventava possibile immergersi in una realtà virtuale, per esempio passeggiare nei giardini della reggia di Versailles o visitare il Foro imperiale di Augusto ricostruito in scala, tutto comodamente dal divano con lo smartphone in mano. Tutto molto bello, ma fino a un certo punto! La fruizione dell’arte e il turismo online non hanno e non possono avere la stessa valenza, né culturale, né sociale né economica di quella reale. La visita virtuale può essere ben fatta, ma non può sostituire la realtà… L’ha esplicitamente riaffermato in occasione di quest’ultima Giornata internazionale il presidente di ICOMOS Italia Maurizio Di Stefano: «Ritengo che la fruizione del patrimonio debba essere sempre in presenza; altra cosa è l’esperienza diretta e la capacità di guardare da vicino un quadro, un’opera o un monumento, toccare una pietra per capirne la differenza da un marmo, da un granito o da un tufo. C’è anche una necessità fisica di stare fra i monumenti e stare soprattutto fra la gente, perché un monumento vive quando è con la sua gente» (Giornata Internazionale dei Monumenti e dei Siti, Icomos Italia: futuro dovrà essere sostenibile, in AgCult, 17 aprile 2021).

Il Museo, “raccolta, pubblica o privata, di manufatti relativi a uno o più settori della cultura, e dell’arte in particolare; della scienza e della tecnica”, rappresenta una “istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo”. Quindi, per definizione deve essere fruibile dal pubblico e servire alla crescita dell’individuo nella società. Oggi il pubblico è assente ma, speriamo, che questa situazione passi in fretta, perché l’individuo impossibilitato ad avere contatti sociali non fa più parte della società, non è più integrato. Scambiare opinioni, guardarsi negli occhi, stringersi la mano fa parte della nostra eredità culturale.

Personalmente devo dire che visitando alcune mostre ai tempi del COVID, con ingressi scaglionati, mi sentivo molto più sicura che nel supermercato o sul trasporto pubblico. Bisogna pure ammettere che in passato, soprattutto i musei e i siti più celebri, sono stati spesso sovraffollati, basti ricordare la Basilica della Natività a Betlemme, patrimonio UNESCO. Gli ingressi scaglionati esistevano anche prima della pandemia, volti a salvaguardare l’opera d’arte: tra gli esempi più noti, alcune tombe della Valle dei Re in Egitto, il Cenacolo Vinciano a Milano o la Cappella degli Scrovegni a Padova. Tali accorgimenti sono stati imposti per evitare ciò che è successo con le Grotte di Altamira, definitivamente chiuse al pubblico dal 2002. Sono state create le repliche della Grotta e i percorsi virtuali, ma non è la stessa cosa, nessuno può sostenere l’equiparazione tra l’emozione e il contatto che si riesce ad istaurare con un luogo, un paesaggio, o un’opera d’arte originale con un’esperienza ricostruita o virtuale. La sensazione fisica che si prova entrando in una Chiesa o in una Villa non può essere riprodotta virtualmente, la passeggiata in un parco o in una città non può essere vissuta “comodamente dal divano”, il colore originale di un quadro non può essere riprodotto.

La raccolta museale senza visitatore reale non ha vita: basti pensare al successo che hanno sempre avuto le mostre che raccolgono tutte le opere di un singolo pittore sparse nel mondo. Mettendo insieme tante opere provenienti dai diversi musei, una mostra crea un “viaggio” al contrario: è l’opera d’arte che viaggia verso il visitatore.  Ma attenzione, anche il visitatore ha diritto di vedere e “vivere” seriamente l’opera. Se non riesce a fruire e gustare la propria visita a causa della calca, lo scopo del museo fallisce. Quindi è da favorire una fruizione intelligente che tiene conto del sovraffollamento, ovvero delle possibilità reali di un Museo o di un Sito in rapporto al numero dei visitatori.

Il secondo problema riguarda il contesto storico-culturale delle raccolte. Il dibattito che ha ripreso vigore negli ultimi anni riguarda il processo della decolonizzazione culturale, che intende la restituzione delle opere d’arte ai Paesi d’origine, sottratti in epoche di conquiste o di colonialismo. Le domande e risposte sono molte, ma non si può negare che la collocazione nel luogo d’origine restituisce la dignità all’oggetto. Certamente, bisogna considerare anche le condizioni di custodia e protezione che un manufatto dovrebbe avere nel suo Paese d’origine, ma non si può negare diverso peso culturale delle opere d’arte persiana o indiana viste in un museo nel rispettivo Paese, rispetto a un’opera d’arte visitata nelle sale dei grandi musei, corredata con il cartellino. Se il visitatore si trova in un certo contesto culturale, uscendo percorre le strade che sono state calpestate dagli antenati della gente che incontra, sente lo stesso calore e vede il mondo immerso nella stessa luce. L’opera d’arte, quindi, dovrebbe “vivere” nell’ambiente per cui è stata creata. Il Museo, come ambiente che conserva e protegge nelle condizioni ottimali, ha senz’altro salvato molte opere dal deperimento, ma comunque comporta anche alienazione dagli ambienti d’origine, smembramenti e frammentazione dovuti al collezionismo ed altro. Le Pale d’Altare mancanti, gli affreschi strappati tolgono una parte della bellezza complessiva allo spazio della chiesa per cui sono stati creati.

Tutti i siti e patrimoni immateriali sono radicati nel territorio, e come tali già risolvono alcune problematiche di cui ho parlato riflettendo sul Museo, un’istituzione validissima che stimo e amo, ma che comunque dovrà tener conto delle problematiche citate sopra. I siti devono essere sostenuti, mantenuti, curati ma, soprattutto, visitati! È impossibile pensarli senza un fruitore – visitatore proprio perché – pur essendo siti archeologici, religiosi, storici sono parte integrante dell’ambiente: sono stati pensati e creati apposta per uno specifico abitatore del tempo, modificando lo spazio precedente per creare un spazio nuovo con scopi precisi. Nel loro contesto storico, questi spazi vedevano le donne e gli uomini pregare, passeggiare, ballare, mercanteggiare… i siti rappresentano gli spazi ripresi dal passato per un visitatore-abitatore dell’oggi. Il sito deve far sentire al fruitore odierno che i giardini e le città, le strade e i templi sono stati creati apposta per le donne e per gli uomini del tempo che fu e che devono rimanere tali anche nel tempo che è. Sono qui per noi, che dobbiamo essere coscienti della nostra umanità, di ciò che eravamo, di ciò che siamo e di ciò che possiamo diventare. Un sito è un complesso sistema spazio-temporale che ha un ruolo unico e preciso per il visitatore d’oggi e per il suo futuro. Questi luoghi vanno compresi come spazi propri dell’umanità, nei quali il rispetto e la riconoscenza con cui sono stati creati va perpetuata con lo stesso tipo di cura che si ha verso i propri simili, genitori, nonni, bisnonni… tutto per il futuro dei nostri figli e nipoti! Senza persone che li visitano questi luoghi e la memoria storica che vive in essi rischiano la morte.

Tutti i monumenti, quelli naturali o quelli frutto dell’opera e dell’ingegno dell’uomo, vivono solo se vissuti, visitati, raccontati e curati. Se vengono abbandonati dal “visitatore-abitatore” la conoscenza e l’interesse si spengono, facendo crescere l’ignoranza e la dimenticanza. Nonostante rappresentano il passato, sono un progetto per il futuro, e noi, che viviamo il presente, ne siamo responsabili! Se negassimo questa responsabilità, saremmo alla fine della civiltà. Non è possibile raccontare la mescolanza dei profumi di un giardino o di un bosco, la frescura dentro le spesse mura di un castello medievale, il vociferare dei venditori nel mercato ortofrutticolo o la sensazione dell’infinito sotto gli affreschi di una cupola barocca. Con l’intelligenza del cuore, impegniamoci ad essere presenti nel passato, responsabilmente.

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* Nata a Zagabria, dal 1990 vive a Monza. Ha frequentato il Liceo classico di Zagabria, in seguito ha studiato Storia dell’arte e Letteratura comparata presso l’Università di Zagabria, Facoltà di lettere e filosofia. Attualmente Geaway Tour Operator, si occupa della promozione web dell’azienda, della creazione di itinerari di taglio culturale e religioso.

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