Shemà. Commento al Vangelo del 4 giugno della teologa Giuliva Di Berardino

Shemà (in ebraico “Ascolta”), un commento al Vangelo del Giorno di Giuliva Di Berardino.

Anche a noi, uomini e donne del terzo millennio, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “Shemà”. Ascoltiamolo!

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IL COMMENTO TESTUALE

IL VANGELO DEL GIORNO: Mc 12, 35-37

venerdì 4 Giugno 2021

Oggi il Vangelo ci presenta la critica di Gesù ai dottori della legge. L’insegnamento che i dottori della Legge traevano dalla Scrittura riguardo al Messia aveva creato in loro e nei loro seguaci l’aspettava secondo la quale il Messia doveva essere Figlio di Davide e quindi, come Re Davide, un re forte che avrebbe riunito il popolo d’Israele per vincere contro i suoi dominatori. Gesù, come questo testo oggi ci fa notare, critica l’aspettativa dei dottori della Legge, perché nel Salmo 110,1 attribuito proprio al Re Davide,  lo stesso Davide chiama Dio Signore e non come suo figlio. Questa nota critica di Gesù, lascia quindi intuire che avrebbe più senso aspettare il Messia come”figlio di Dio”, piuttosto che come “figlio di Davide”.
La domanda allora che oggi ci pone questo testo testo del Vangelo è: cosa mi aspetto da Dio? Come aspetto Dio? Sappiamo bene che all’epoca di Gesù esistevano diversi gruppi religiosi che attendevano il Messia in modi diversi, ognuno a modo suo: i farisei lo aspettavano osservando i doveri religiosi, gli scribi lo aspettavano come discendente del Re Davide, gli esseni lo aspettavano uscendo fuori dalla società e dedicandosi a una vita scandita da rituali di purificazione, preghiere, meditazione, gli zeloti lo aspettavano attraverso la lotta armata. Eppure, nonostante tanti fossero i modi, forse solo uno era quello giusto: quello della folla, che, come è scritto in conclusione a questo testo, ascoltava volentieri Gesù. Erano le persone più semplici, le più povere, quelle che non cercavano complici per tramare contro gli altri, che non si aspettavano glorie o vittorie contro qualcuno, ma che non avevano altra aspettativa se non quella di guarire, di uscire dalla solitudine, dalla condanna, dalla disperazione, per tornare semplicemente a vivere.
Chiediamoci, allora, come dicevo già all’inizio, che cosa aspettiamo da Dio? Cosa ci aspettiamo da Lui in questa vita? In cosa speriamo davvero? Speriamo in ciò che ci conviene, in ciò che ci tranquillizza perché riusciamo a prevederlo, a progettarlo o intuirlo, oppure speriamo in ciò che ci può salvare per sempre dalla tristezza e dalla disperazione, lasciandoci destabilizzare da Dio, fino ad abbandonare i nostri progetti? Consegniamo al Signore le nostre aspettative perché le guarisca, perché ci purifichi nella speranza, perché è “nella Speranza” che “siamo stati salvati“, ci dice San Paolo in Rm 8,24. Il nostro papa emerito, Papa Benedetto XVI, nel 2007 scriveva la sua seconda enciclica proprio dal titolo Spe salvi, e al numero 37, nel paragrafo “agire e soffrire come luoghi di apprendimento della speranza”, leggiamo queste parole: “È sorta la stella della speranza, l’àncora del cuore giunge fino al trono di Dio. Non viene scatenato il male nell’uomo, ma vince la luce: la sofferenza, senza cessare di essere sofferenza, diventa nonostante tutto canto di lode.”
Preghiamo che oggi il Signore ci insegni a sperare Lui, perché tutto in noi possa proclamare la gioia del Vangelo, la lode del Signore che salva. Buona giornata!

Mc 12, 35-37
In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo: “Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi”. Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?». E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.

 

IL COMMENTO IN VIDEOhttps://www.youtube.com/channel/UCE_5qoPuQY7HPFA-gS9ad1g/videos

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