A relazionarsi si impara… ma nessuno lo insegna!
UN PERCORSO DI AUTO-FORMAZIONE ALLA BUONA VITA
–
A cura di Angelica La Rosa
“Costruire relazioni intelligenti, A relazionarsi si impara… ma nessuno lo insegna!” (Edizioni San Paolo 2021, pp. 272, euro 22), di Maria Martello, è un libro che vuole facilitare il compito fondamentale per il benessere di ciascuno: diventare competenti nel rapporto con noi stessi, con gli altri e con il mondo, applicando i principi della Mediazione dei conflitti secondo un modello filosofico-umanistico.
Le prime due parti del volume illustrano cosa rappresenta il conflitto per gli esseri umani e cosa significa intraprendere la via della mediazione, portando la profonda cultura di questa tecnica di al di fuori delle aule specialistiche e mettendola a disposizione di chiunque desideri scoprire o affinare le proprie competenze relazionali. La terza parte offre invece un ricco e multidisciplinare laboratorio di attività (da seguire anche in gruppo) per acquisire e allenare le competenze necessarie a gestire i piccoli e grandi conflitti che incontriamo ogni giorno in famiglia, a scuola, nel mondo del lavoro.
L’autrice, Maria Martello, è una formatrice alla mediazione per la risoluzione pacifica dei conflitti secondo il modello umanistico-filosofico, di cui è ideatrice, ed ha insegnato Psicologia dei rapporti interpersonali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
“Sono cresciuta in una famiglia il cui motto, implicito, era: «Non si deve litigare!». Per questo ho imparato a subire, a non reagire, a sentirmi in colpa, a implodere. Poi mi sono detta: «E se il conflitto invece fosse la cruna dell’ago attraverso la quale deve passare il cammello per imparare a stare in pienezza nelle relazioni?». Se dunque fosse necessario oltrepassare una porta stretta per imparare a conoscere ed esprimere se stessi e nello stesso tempo consentirlo all’altro? Se il conflitto fosse una danza, perfino armonica, per riconoscere i propri confini e quelli dell’altro? In questo caso, sarebbe necessario conoscerne i passi, altrimenti la danza sarebbe solo una calca, un ammasso disordinato e confuso di persone”, ha scritto l’autrice.
“L’insegnamento di questi passi non fa parte dell’educazione che tradizionalmente viene impartita a un bambino, infatti hanno sempre prevalso due linee di pensiero: la prima, buonista, dice di soffocare il conflitto al suo nascere, generando però ipocrisia e superficialità dei rapporti, nonché il lievitare di rancori latenti e sotterranei con malesseri anche di tipo psicosomatico. La seconda, inutile e banale, vorrebbe portare il conflitto su un piano volgare, vuoto e sterile, magari esibito, espressione libera degli istinti più bassi e aggressivi. La terza via che qui viene proposta rappresenta una nuova prospettiva che è frutto di studi e di una lunga esperienza sul campo: conoscere e seguire nel proprio comportamento il principio che supporta la Mediazione per la risoluzione pacifica dei conflitti. Ciò implica anche l’imparare a relazionarsi in modo costruttivo, corretto ed efficace. Uno strumento alla portata di tutti per affrontare armonie e disarmonie, con le necessarie riparazioni, che ineluttabilmente nella vita si incontrano. Non serve sfogarsi con la controparte, piuttosto ricorriamo a un amico disponibile ad ascoltarci; il confronto, infatti, deve sempre avere come obiettivo il superamento di una situazione che non funziona per arrivare a un punto d’incontro. Quindi un modo per ‘litigare bene’ è quello di riconoscere (e dire) prima quello che va bene, e solo dopo quello che non va. Allo stesso modo è importante rimanere focalizzati sul problema che stiamo affrontando, sulla cosa che ci fa arrabbiare in questo momento. Ciò che conta è il come lo si fa. Impararlo dovrebbe, a mio parere, essere tanto importante quanto l’alfabeto per i bambini in prima elementare. In questo modo si asseconderebbe proprio l’apertura che i bambini naturalmente hanno verso l’altro e si contrasterebbe l’isolamento indotto dagli attuali comportamenti prevalenti. E si accompagnerebbe positivamente la crescita della dimensione sociale della persona, evitando che l’incompetenza e i conseguenti errori blocchino la fiducia verso l’esterno, disperata e unica difesa dalle vulnerabilità emotive e affettive”, ha ricordato la professoressa Maria Martello.
“L’acquisizione di questa competenza nelle relazioni costituirebbe, nel caso degli adolescenti, uno spazio per dare voce alle proprie insicurezze, angosce, aggressività e incertezze; un supporto per orientarsi nelle proprie scelte partendo dalla scoperta dei bisogni più veri, più profondi. Va considerato che l’infanzia e l’adolescenza sono periodi della vita in cui si è estremamente recettivi, non essendoci ancora l’urgenza di acquisire strumenti operativi e professionali da spendere nel mondo del lavoro: si è ancora pronti e disponibili a riflettere sul senso del fare come espressione dell’essere. Questo apprendimento a mio avviso andrebbe inserito, attraverso corsi fondamentali, anche nell’ambito di tutti gli studi universitari, costituendo un ponte tra la scienza di riferimento e la prassi, una sinergia tra la teoria e l’esperienza applicativa. Per ogni studente e giovane/adulto sarebbe una significativa opportunità personale: una vera preparazione all’inserimento lavorativo quando, più che mai, il successo è legato alle competenze relazionali. Sono queste competenze, infatti, ‘a fare la differenza’ tra un lavoratore e l’altro, a costituire la variabile che può determinare lo sviluppo di una carriera. Le conoscenze tecniche, infatti, sono solo il dato di partenza che accomuna, al momento dell’assunzione, tutti i lavoratori. Lo studio che qui proponiamo dovrebbe avere uno spazio particolarmente ampio nell’ambito dei corsi di laurea che preparano all’insegnamento, alla formazione e alle relazioni d’aiuto. Una formazione profonda e plurale è utile purché vada ben oltre le tradizionali tecniche di comunicazione che, a volte, sembrano arenarsi a un livello di superficie. Insomma, una proposta di natura ben diversa dall’apprendimento di strategie troppo spesso simili a sovrastrutture che ingabbiano la persona e che propongono comportamenti formali non congruenti con il sentire più autentico. Una proposta pensata per un ascolto attivo, come spiega Erri De Luca: «Chi legge o ascolta non è un recipiente vuoto da riempire, ma un moltiplicatore di quello che riceve. Aggiunge di suo immagini, ricordi, obiezioni». Caro lettore, stai in guardia Questo libro non è per chi si dice «in pace con se stesso e con gli altri», per chi non vuole vedere l’esistenza del conflitto nella sua vita, per chi non ha intorno persone care in difficoltà relazionale. È invece per tutti coloro che sono consapevoli che si può vivere in molti modi, ma alcuni non permettono di vivere. È per chi, stimolato da ciò che leggerà, sarà disposto a portare alla luce nomi, sentimenti, vicende vissute direttamente o indirettamente. Per chi ama le buone domande, sia quando trovano subito risposte, sia quando restano tali e fanno pensare. Per chi è disposto a far emergere le ferite, i dolori che si sono sedimentati e che, come una zavorra, non ci lasciano ‘volare’ al pieno delle nostre potenzialità. Per quanti si sentono spiriti liberi chiamati ad avventurarsi per sentieri diversi e promettenti, sempre pronti ad analizzare non solo le teorie, come operai del pensiero, ma anche gli effetti del proprio comportamento sugli altri. Per quanti, infine, si fanno carico dell’impegnativa ma positiva lotta per trasformare l’homo homini lupus in homo homini Deus. Per la realizzazione di tutto questo è vitale la buona relazione con se stessi, gli altri e il mondo. Infatti tutti siamo sempre interdipendenti, competenti o incompetenti, così come sempre liberi. Quando le nostre libertà si confrontano e non si limitano né si ostacolano, si accrescono a vicenda, in una distanza che non è distacco ma legame, senza scadere nell’identificazione o considerare il rapporto simbiotico come l’ideale. L’incontro con l’altro è sempre un evento complesso, un mistero. Da un lato ci sentiamo dentro una gabbia che ci contiene, ci scherma, dall’altra abbiamo la sensazione che gli altri ne abbiano accesso fino a diventarne parte. Anche l’incontro con noi stessi, poi, è disorientante: vivere con la nostra pelle è percepito come un incontro! Inoltre il palcoscenico della nostra vita sembra affollato: sentiamo dentro di noi troppi stimoli e diverse voci, come in un teatro in cui un numero esagerato di protagonisti e comparse si mette in scena senza seguire un regista. Come scegliere di stare nella vita? Padroneggiare con equilibrio questa complessità non è dato a priori, per carattere o per nascita: va appreso! Con serietà, rigore e sistematicità. Si giunge così ad avere una visione nuova delle varie realtà, quasi una sorpresa che avviene dopo aver ‘visto l’altro in modo altro’. Desideriamo dare a queste pagine il compito di essere un’accessibile e piacevole lettura per chi ama riflettere sul senso del proprio vivere e vuol prendersi cura di sé e delle persone che gli sono affidate; una raccolta di principi, di risposte, di domande, di informazioni con cui mettersi a confronto; una guida da applicare nel proprio quotidiano. Un percorso di auto-formazione alla buona vita”, ha concluso la Martello.