Il Dio dell’Alleanza e il Dio dei filosofi

A DIFFERENZA DI QUANTO TALVOLTA SOSTENUTO IL CONTENUTO DELLA FEDE MONOTEISTA EBRAICA NON HA NULLA A CHE FARE CON LA CONCEZIONE DI DIO PROPRIA DELLE FILOSOFIE GRECHE. LA DIFFERENZA RISALTA, IN MODO PALESE, NELLA “DOTTRINA DELLA CREAZIONE”, CHE È ALL’ORIGINE DI TUTTE LE DIFFERENZE CON L’ANTICA GRECIA E CHE ACCOMUNA INVECE L’EBRAISMO CON IL CRISTIANESIMO

Di Sara Deodati

La prima differenza sostanziale fra la concezione di Dio dell’ebraismo e quella della filosofia greca può essere riassunta nell’opposizione Dio relazione/Dio auto-contemplazione. Il Dio dell’Alleanza, infatti, è un Dio che attraverso il legame personale intesse una relazione e coinvolge la totalità dell’uomo nel rapporto con sé. Mentre il Dio della fede ebraica è inquadrato nella categoria della relazione, il Dio dei filosofi è invece «essenzialmente rapportato solo a sé stesso, in quanto è pensiero esclusivamente auto-contemplante […]. Il Dio filosofico è puro pensiero. L’idea madre che gli fa da sfondo è questa: pensare e solo pensare è un’attività degna dell’essere divino. Viceversa, il Dio della fede è un “amare pensando”» (Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2003, pp. 107-108).

Fin dall’inizio del libro della Genesi, nel riferirsi alla sua potenza, Dio dimostra di non essere legato esclusivamente ad un luogo concreto, non si propone come un Dio legato a questa o quella famiglia. Il profeta Abramo non si trova pertanto in un ambiente monoteista bensì “enoteista” (enos = uno, Theós = Dio, il culto di un solo Dio perché considerato superiore agli altri riconosciuti).

 

La trascendenza del Dio d’Israele, che non è legato da nessun tipo di necessità col mondo, risulta manifesta nelle affermazioni per cui Egli è l’unico, il creatore, l’onnipotente. Dio, insomma, è in ogni parte, in tutti i luoghi, senza che si trovi legato ad alcuno di essi. Questa trascendenza si manifesta in modo specialmente evidente nella narrazione delle teofanie di Yahvé, nel simbolo della nube e della gloria, nella proibizione di rappresentare Yahvé con immagini o rappresentazioni varie.

A differenza di quella delineata nell’Antico Testamento, la trascendenza del Dio dei filosofi rimanda al concetto di Archè, principio unico e unitario di tutto l’essere che è anche immanente al cosmo. Questa immanenza caratterizza la concezione teista della filosofia greca in senso fondamentalmente panteistico. Il Dio dei filosofi, pertanto, come specificamente sostenuto dagli stoici, è l’anima del mondo e il mondo stesso è concepito come corpo di Dio. Le forme più diffuse di panteismo sono anche professate dallo gnosticismo e dal neoplatonismo, con la concezione del mondo come degradazione della divinità.

L’immagine biblica di Dio dell’Antico Testamento è quella di un Dio Creatore Signore della storia e della natura, a cui corrisponde un monoteismo che non accetta attenuazioni né consente compromessi. Questo contraddice il dualismo tipico della filosofia greca che individua le dicotomie Bene-Male=Spirito-Materia (la materia è buona, perché creata da Dio). La veterotestamentaria unicità di Dio, come si vede, non poteva non creare problema in un ambiente politeista e dualista come quello greco.

La fede monoteista ebraica crede in un Dio che è fuori dal cosmo, che risale ad un ordine ontologico altro, poiché non ammette una scala di motori intermedi tra la divinità e il mondo. Dio diviene parte dell’universo creato soltanto attraverso il legame personale, una donazione perfettamente libera che Lui fa al mondo.

Il creazionismo biblico risulta quindi l’opposto della concezione della physis greca (natura nel suo insieme), che vede Dio fare la natura quando la natura non c’era (“sine natura naturam facere”). Non disponendo di un concetto distinto di persona, la filosofia greca si riferisce a un Dio-ordinatore del cosmo. Mentre Anassagora (499-428 a.C.) parlava di una impersonale intelligenza ordinatrice dell’universo, Platone è arrivato a personalizzare questo principio nel Demiurgo, che è però nettamente distinto dalla Divinità.

Aristotele concepisce Dio come Atto puro, Motore immobile e Pensiero di pensiero. In definitiva, per lo Stagirita Dio è vita suprema ma, nello stesso tempo, è un principio ripiegato su sé stesso e privo di relazione con il mondo. Per Aristotele non esiste provvidenza divina, se non nel senso di una fredda necessità.

Nel Dio dei filosofi abbiamo in definitiva un’unica dimensione di cosmo, che è la totalità dell’essere, dove tutto è organizzato e ordinato. Dio è la legge del cosmo, è il Logos, ciò che fa sì che tutte le cose siano ordinate, ciò che le tiene insieme, ed è interno all’ordine del cosmo stesso.

Il Dio della Genesi crea l’uomo a sua immagine e somiglianza ponendolo al di sopra di ogni altra creatura (Gn 1, 26-28). Nell’economia del Creato gli è affidato quindi il comando del mondo, non perché possa distruggerlo, bensì lo faccia fruttare per il bene e per i suoi bisogni. In questa visione l’uomo può assimilarsi totalmente a Dio aspirando alla santità, ma può percorrere anche una strada autonoma, perché è libero. Quindi l’assimilazione a Dio, che per alcuni filosofi greci si raggiunge solo con la conoscenza, nel disegno biblico passa per la volontà, che permette all’uomo di seguire i comandamenti divini e quindi di santificarsi. In questa opera la creatura è illuminata e aiutata costantemente dal Creatore. Quindi il Dio dell’Antico Testamento interviene nella storia dell’uomo e lo sostiene nella prova. Questa visione non era minimamente concepita dai greci. Plotino, ad esempio, diceva che l’uomo era solo nel suo cammino di ricongiungimento all’Uno. Invece il Dio biblico offre all’uomo un messaggio rassicurante, donandogli di non essere solo nella sua quotidianità.

Per concludere, possiamo affermare che le varie e profonde differenze esistenti nella concezione di Dio della fede monoteista ebraica e di quella delle filosofie greche risalgono tutte alla rispettiva “dottrina della creazione”. Mentre il creazionismo dell’Antico Testamento introduce una discontinuità assoluta tra Dio e il mondo, e fonda ogni cosa nell’amore di Dio che trae l’universo dal nulla (ex nihilo), l’Archè greco descrive un’unicità che, però, non ha niente a che vedere con gli uomini, non addita un Dio personale. Nella cultura greca Dio è in definitiva un motore immobile, totalmente isolato e privo di relazione con il mondo. Il Dio personale veterotestamentario, invece, possiede una individualità propria, con intelligenza, volontà e libertà, votata all’amore infinito ed eterno della sua creazione.

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