Sul fronte russo, prigioniero degli inglesi, poliziotto e pittore: l’incredibile storia del combattente Vit

LE VICENDE DI UN GIOVANE COMBATTENTE ITALIANO, EROE SUL FRONTE RUSSO CHE, LASCIANDO AGIRE NELLA SUA VITA LA PROVVIDENZA, COMPRESE SEMPRE PIÙ LA “MECCANICA CELESTE”.

Di Matteo Orlando

Anna Zurlo, in Meccanica Celeste – Una storia nella storia, sulla falsariga di Eugenio Corti e dell’intramontabile “Il Cavallo Rosso”, ripercorre alcune significative fasi della storia della seconda metà del Novecento che fanno da sfondo alle vicende di Vit, un giovane combattente italiano, eroe sul fronte russo che, lasciando agire nella sua vita la Provvidenza, comprende sempre più che “la burattinaia onnisciente” è in grado di guidare le sue scelte e il suo destino, secondo una “meccanica celeste”.

Chiamato alle armi l’11 maggio del 1941 per Vit si apre lo spettro della guerra, «nel quale nulla potrà più essere “consuetudine” se non quella della sua crudeltà».

La prima cosa che fa è il voltare «rapidamente le pagine di un album di famiglia da cui sottrae un’immagine che infila nel taschino: è la foto dei suoi adorati genitori, sintesi di fede e di amore da stringere a sé nel mentre di quell’indefinita assenza, nel desiderio di un fiducioso richiamo alle sue radici, unica certezza nei momenti di paura e di sconforto che lo avrebbero afflitto».

Dopo il duro addestramento (in una caserma laziale che lo accoglie con il motto “Fide ac virtute”), la scoperta del mare (gli occhi del giovane contadino per la prima volta si aprono «su quell’immensita», si fissano «nel moto perpetuo di quelle onde che si placano dolcemente sulle rive») arriva la destinazione: a fianco dei tedeschi per la «grande crociata antibolscevica», nel Corpo di spedizione italiano in Russia (C.S.I.R.), il fronte più lontano…

Dopo circa 7 giorni di viaggio i 50.000 uomini del C.S.I.R., il 16 luglio del 1941, giungono in Romania, da dove sarebbero ripartiti per raggiungere a piedi, dopo duemila chilometri, il fiume Don, sul fronte russo.

Vit nota, durante il duro cammino, uomini che portano «una strana stella gialla cucita sulle loro giacche». Solo dopo tanti anni avrebbe compreso che «il silenzio dei passi che accompagnavano quelle persone avrebbe urlato al mondo tutto il suo orrore».

Il lungo marciare conduce gli italiani al Dnepr, segno che è imminente l’arrivo sul fiume Don.

Una prima intuizione di Vit salva la vita a molti: con il fucile spara ad una bomba che esplode evitando così che provocasse problemi ben più gravi.

Ma il Don è ancora lontano. «Durante il tragitto, i soldati attraversano scenari di crudeltà: villaggi incendiati, case distrutte, carcasse di animali putrescenti, desolazione, odio e violenza di una guerra che non stabilisce giustizia ma provoca assurda costernazione, profondo turbamento, rassegnata indignazione… Corpi straziati da un’irreparabile mostruosità torturano dolorosamente Vit».

Raggiunto il Don, con il fronte bloccato, Vit si prepara ad una guerra di posizione, come era successo durante il primo conflitto mondiale. Il «battaglione inizia a stanziarsi, preparandosi a scavare buche e trincee dove rifugiarsi».

Intanto è prossimo l’arrivo del “Generale Inverno”. «Nell’alternarsi di albe e tramonti guerreschi, era ormai giunto il respiro dell’inverno che porta con sé le prime nevicate e le impetuose bufere». Così i loro corpi e le loro anime «stremate dalla continua ombra di morte, vengono marchiate dalle roventi fiamme di un inferno che travolge ogni giustizia».

Vit, sfiorato da un colpo esploso da un cecchino russo affamato di morte, viene salvato dal “primo” intervento della Provvidenza, ma subisce il penetrare ossessivo del pensiero della morte nella sua mente.

L’anno successivo, il 1942, è il suo secondo anno sul fronte russo. Vit durante «un assalto alle trincee russe, si avvicina a qualche decina di metri dalle posizioni nemiche per rifornire le prime linee. Pochi attimi per ritornare indietro verso la trincea prima che le bombe avversarie lo raggiungano». Il contraccolpo delle bombe lo spinge in aria, ma ancora una volta la Provvidenza interviene: «il cavallo che era dietro di lui, cadendogli addosso, gli fa da scudo salvandogli la vita!».

Ma i guai di Vit non sono finiti. Un po’ di giorni dopo una tormenta di neve lo sorprende e lo disorienta. Il suo corpo, oramai, giace sotto la infida neve. Ma anche un cane si rivela provvidenziale. Abbaia incessantemente e il suo padrone, un contadino russo, si accorge di Vit, lo porta nella sua tipica abitazione rurale e, dopo averlo rianimato, gli salva la vita.

«La testimonianza di fede e di fratellanza avvenuta in quell’isba rappresenterà per Vit un’esperienza che lo cambierà profondamente».

Il 17 dicembre del 1942 è l’ultimo giorno di Vit sul suolo russo. Un mese dopo il treno, zigzagando per Ucraina, Romania, Ungheria e Austria, arriva a Trento e, dopo un’obbligatoria quarantena, Vit si ricongiunge ai suoi cari a Roma.

Ma la licenza non è illimitata. Un mese dopo Vit riparte. Stavolta per la Sicilia dove, il 10 luglio del 1943,  in  seguito allo sbarco anglo-americano, viene fatto prigioniero. Dopo un mese di reclusione nella caserma di Augusta, Vit e compagni vengono imbarcati sulla “Queen Mary” (che per la sua colorazione grigia veniva chiamata anche “Grey Ghost”) che li porta, dopo aver costeggiato Spagna, stretto di Gibilterra, costa statunitense, Terranova e Irlanda, in Inghilterra (Vit viene tenuto prigioniero a Lulworth, nella contea inglese del Dorset).

«Hugh Sheehan, prete cattolico irlandese che curava le funzioni religiose presso il campo di prigionia dove Vit era alloggiato, espresse grande entusiasmo per la presenza di trecento “anime Romane”, considerata la scarsità di fedeli cattolici presso la solitaria chiesetta di vaticana appartenenza».

Vit conquista piccoli spazi. «Fu affidato a svolgere servizio come giardiniere e autista presso la casa di Mister Robert Hill, colonnello inglese, oramai in congedo», presto diventato una sorta di padre putativo.

Per Vit arriva anche il giorno di uno straordinario incontro. «La “principessa soldato” [Elisabetta II, la futura regina d’Inghilterra] con incidere deciso ma elegante, accompagnata da Mrs Robinson, si avvicinò agli ospiti salutandoli uno ad uno».

Vit rimane folgorato dall’allora giovanissima attuale regina del Commonwealth. «La figura di Elisabeth esaltata da nobile sobrietà, eleganza e femminilità, si fissò per sempre nell’inconscio di Vit, determinando il modello di quella che sarebbe stata la sua futura sposa [Anna]; l’immagine di una donna che sa di valere, ma senza superbia e prepotenza, dal garbo inimitabile, vestita di mentale modestia, che ama la vita senza avidità, ma con intelligenza e raffinatezza».

Oggi su questo giudizio ci sarebbe molto da ridire… ma per Vit, nel 1946 arriva la libertà e la possibilità del ritorno in Italia, fortemente «deciso ad intraprendere nuove strade ed a perseverare verso nuovi obiettivi» Vit «non dimenticò mai nel corso della vita il proprio credo: Dio, Patria e famiglia!».

L’ingresso in Polizia, un importante compito nel corso delle olimpiadi romane del 1960, un periodo di scorta ad Aldo Moro, la visione del corte di auto che conduceva Mister President per la città eterna (John Fitzgerald Kennedy, il trentacinquesimo presidente degli Usa), i servizi d’ordine sul set di Fellini, l’encomio ricevuto dalla comunità ebraica per un disbrigo di pratiche che permisero l’espatrio verso gli Usa di molti ebrei, la scoperta di una vocazione artistica (armato di pennelli e spatola Vit ha realizzato dall’età di cinquantenni fino alla morte oltre 4mila opere), completano la biografia romanzata di questo straordinario uomo che ci fa conoscere Anna Zurlo.

Correttamente nella sua prefazione Eleonora Allegretti parla di “commovente testo”, che cattura “il lettore fin dalla prima pagina”, una storia di guerra e di amicizia, di amore e di fede, una storia che “merita di essere raccontata” e, aggiungiamo, che meriterebbe anche di diventare una pellicola cinematografica.

 

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