L’autorità, le ricchezze e quel vizio che ci rende invisi a Dio e simili a Lucifero

CHI SI ESALTA SARÀ UMILIATO

Di Teofilo Siculo

 

Gesù ci ricorda questa regola del giudizio divino: “Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11): Lucifero s’innalzò per avere la gloria su tutti e Dio lo abbassò negli abissi dell’Inferno; Gesù si umiliò fino a ricevere l’ignominia della croce e il Padre lo innalzò fino alla Sua destra, al di sopra di ogni altro nome. Egli ci dice: “Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29) e non pretese mai per sé privilegi, purché arrivasse a dare la vita “in riscatto per molti” (Mt 20,28) e così dare gloria a Dio.

Per non cadere nella superbia, vizio che ci rende invisi a Dio e simili a Lucifero, dobbiamo imitare Gesù e Maria, veri servi di Dio e vivere per la Sua Gloria. Anche i Santi hanno fatto lo stesso cammino. Basta ricordare San Francesco o Madre Teresa di Calcutta: la loro gioia fu dare servizio umile agli altri e gloria a Dio, vivendo nella carità. Chi è superbo cerca la propria gloria; chi è umile sa che la gloria appartiene solo a Dio, Autore di ogni bene, e non cade nella tentazione di misurarsi con gli altri e ritenersi migliore. Bisogna restare nella verità: e questa è limpida: Dio solo è; tutti noi siamo perché Egli ci fa essere e senza di Lui cadremmo nel nulla.

“Figlio, nella tua attività sii modesto… Quanto più sei grande, tanto più umiliati, così troverai grazia davanti al Signore, perché dagli umili Egli è glorificato” (Sir 3,17-20). L’umile rimane sempre nella verità: egli sa molto bene che senza di Dio nulla possiamo fare e che ogni impresa riesce solo se c’è la permissione o la benedizione dell’Onnipotente. Non è perciò da saggi vantarsi o peggio considerarsi autori del proprio bene e sottrarre gloria a Dio, come gli empi e i superbi. Considerando questa verità, non ci lasciamo prendere dall’orgoglio se abbiamo qualche talento o abilità. Tutto infatti, è dono di Dio. “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?” (1 Cor 4,7), ci ricorda San Paolo. La gratitudine crescente per i benefici ricevuti e l’umile sentire di sé ci proteggono dall’empietà e dalla superbia.

Contro la spinta a primeggiare e a superare gli altri specie nella ricerca degli onori, Gesù ci raccomanda: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto… Invece, va a metterti all’ultimo posto… Perché chiunque si esalta, sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,8-11). Il banchetto è un’ottima occasione per manifestare la propria eccellenza sugli altri ed esibirsi. Però il punto di vista decisivo non è quello degli invitati, ma quello del padrone di casa: è lui che decide e assegna i posti. Ora, ci dice Gesù, non osare di assegnarti tu stesso il posto d’onore, non conoscendo la dignità di tutti gli invitati, per non doverti poi vergognare di andare all’ultimo posto anziché al primo. Il giudizio che conta è quello di colui che ha invitato tutti e ben conosce meriti e dignità di ognuno.

È ben chiara l’allusione al banchetto definitivo del Regno dei cieli, dove sarà Dio stesso ad assegnare i posti per l’eternità. Ed allora si vedrà la dignità vera delle persone, secondo la stima di Dio che non sbaglia. Davanti a Dio è più grande chi ha amato e servito di più, finanche a sacrificare se stesso per gli altri o per Dio. Ognuno allora avrà il suo giudizio, fatto non per paragone con gli altri ma per il giusto metro usato da Dio per ognuno, a seconda dei doni ricevuti e delle responsabilità affidate. Per tenerci umili, non c’è di meglio che il timor di Dio e del Suo giudizio, pensando che di tutto dobbiamo rendere conto: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12,48).

Ci è utile considerare in particolare due aspetti: lautorità e le ricchezze. Questo a prescindere dai talenti ricevuti, come intelligenza, genialità, cultura, posizione sociale, mezzi, professione, salute, lunghezza di vita, opportunità, amicizie. I talenti ci rendono capaci di operare e raggiungere degli obiettivi. Anche di questo ci sarà chiesto conto e perciò non dobbiamo mai dimenticare che solo Dio è il padrone assoluto e noi siamo solo degli amministratori, che saranno premiati in base al rendimento dei beni affidati loro. Sarà punito chi non avrà saputo rendere un guadagno al suo signore, come ci insegna la parabola dei talenti (cfr. Mt 25,14-30).

Lautorità viene da Dio. Una persona acquista quell’autorità permessa da Dio per lui. Essa serve a comandare e fare leggi, a dirigere gli altri, a fissare la meta e indicare la via, ad assegnare i compiti, a stimolare le forze, a correggere gli errori, a togliere gli abusi, a premiare i meritevoli, a castigare i colpevoli, a trattare alla pari con chi ha simile responsabilità. Chi ha autorità merita rispetto e obbedienza, fin tanto che non comandi cose contro la legge di Dio o la libertà di coscienza. Chi ha autorità, dovrà gestirla a nome di chi gliel’ha conferita; in ultima analisi, a nome di Dio, che è il fondamento ultimo: a Lui tutti dobbiamo rendere conto, ben sapendo che “un giudizio severo si compie contro coloro che stanno in alto” (Sap 6,5). L’autorità ce l’hanno tutti coloro che hanno un ufficio o una carica, a cominciare dal padre di famiglia fino ai capi civili o religiosi di un popolo.

Nella logica evangelica, l’autorità è servizio: è operare perché gli altri stiano bene e nulla manchi; perché vi sia ordine e pace tra tutti; perché ognuno svolga bene il suo compito. Bisogna evitare sia l’abuso d’autorità che la mancanza, sia la debolezza che l’eccessiva severità, sia il paternalismo che la tirannide. Il modello supremo è Gesù, che si fece servo di tutti per portarli a Dio e farli felici, sacrificando tutto per loro, fino a morire sulla croce. Egli usò della potestà ricevuta dal Padre per evangelizzare i poveri, risanare i malati, cacciare i demoni, perdonare i peccati, beneficare i miseri, manifestare a tutti la verità che libera e salva. Ed ha voluto rimanere nell’Eucaristia per continuare a servire e dare salvezza al mondo.

Quanto alle ricchezze che ci sono state affidate o che abbiamo saputo acquistare col lavoro o col saper fare, bisogna ricordarsi che anch’esse sono dono di Dio, un patrimonio dato per far del bene agli altri, a cominciare dai più miseri. Accumulare per sé è stoltezza, perché il ricco, quando muore, tutto lascia ed altri spartiranno i suoi beni (cfr. Lc 12,20-21). Bisogna ricordarsi della legge dell’amore del prossimo e della destinazione universale dei beni. È una vera tragedia mondiale vedere l’opulenza delle nazioni ricche e l’estrema miseria dei popoli a cui è negata una condizione di vita degna dell’uomo per malattia, ignoranza, sottosviluppo, malavita organizzata, sfruttamento, etc. Il lusso del ricco epulone che banchetta tutti i giorni fa a pugni con le piaghe del povero Lazzaro che nessuno cura (cfr. Lc 16,19-31). Le sole ricchezze che restano sono quelle del Cielo: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,33-34).

Chi segue il consiglio di Gesù, apparentemente abbassa la sua condizione e perde tutto; in realtà benefica il prossimo e si acquista una gloria imperitura.

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