Esclusivo. Mons. Suetta: “il gender contraddice la verità sull’uomo, eutanasia e suicidio assistito sono clamorosi inganni”

Esclusivo. Mons. Suetta: “il gender contraddice la verità sull’uomo, eutanasia e suicidio assistito sono clamorosi inganni”

di Enzo Vitale

MONS. SUETTA: “UNA VISIONE CHE SIA AUTENTICA E NATURALE, NON PUÒ ESSERE ACCETTATA SOLTANTO DA CHI PROFESSA LA FEDE CRISTIANA, MA ANCHE DA CHI CUSTODISCE UNA VISIONE DELL’UOMO CONFORME ALL’EVIDENZA DELLA SUA NATURA E DEL MODO IN CUI LA NATURA SI MANIFESTA E ORIENTA LA VITA STESSA DELL’UOMO

Il Papa e l’unità nella Chiesa, il Covid e la liturgia, la formazione dei sacerdoti, il DDL Zan, l’eutanasia e il suicidio assistito: sono queste le tematiche che ha trattato monsignor Antonio Suetta, vescovo della Diocesi di Ventimiglia-San Remo, nella seconda parte dell’intervista che ha rilasciato in esclusiva ad InFormazione Cattolica.

LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA QUI

Eccellenza le chiediamo una sua riflessione sul DDL Zan e il concetto di omofobia. La legge sembra fermata, ma l’idea no. Cosa pensa di questa esagerata pressione?

L’idea non si è certamente fermata, anzi, in una prospettiva di corto e medio termine, la tendenza è indubbiamente destinata candidata alla vittoria: ciò dal punto di vista della sensibilità sociale, dal del monopolio culturale oggi dilagante. Se si tornasse, come sicuramente avverrà, a reiterata consultazione parlamentare o referendaria, certamente sotto il profilo numerico avrebbe la prevalenza. Questo fa parte del grande inganno superficiale delle mode, fenomeni che mai sorgono senza radici o premesse; esse, più verosimilmente, sono indotte da ragioni provenienti da lontano. Vediamo come tali radici siano da collocare in una visione antropologica miope e falsa, apertamente e drasticamente opposta alla visione cristiana dell’uomo. Si può dire utilizzando l’antica formulazione cristiana della contrapposizione tra due dinamiche conflittuali: o l’uomo vive un’affermazione di Dio fino alla negazione di sé o, viceversa, vive un’affermazione di sé fino alla negazione di Dio.

E oggi rispetto all’uomo prevale l’affermazione o la negazione di Dio?

Oggi si vive prevalentemente in questa seconda prospettiva. Si capisce che per “negazione di sé” non si intenda il rifiuto della dignità dell’uomo, ma più semplicemente il riconoscimento che l’uomo è creatura, nel disegno salvifico di Dio è figlio, e che, dunque, la sua massima realizzazione può avvenire soltanto nell’adesione piena alla volontà di Dio e ricevuta come dono di grazia. Quando, al contrario, l’uomo si concepisce padrone assoluto della vita usurpando i doni di Dio e pretendendo di esserne l’arbitro assoluto, tutto nella vita viene a perdere il giusto equilibrio e l’indispensabile riferimento. Spuntano allora fenomeni come il contenuto della proposta di legge Zan o legato ad altre situazioni negative rispetto alla sacralità e all’autentica fisionomia della famiglia, negative del valore della vita, così come altre questioni molto serie e profonde circa la giusta concezione dell’uomo.

E questo cosa comporta?

Mi pare che, facendo riferimento alla ciclicità della storia, si possa purtroppo tranquillamente parlare di “decadenza”. È chiaro come la proposta di legge Zan, faccia gioco facile di un pernicioso e deliberato equivoco: si afferma – ed è stato lo strumento più martellante della propaganda – di voler contrastare l’omofobia insieme ad ogni forma di discriminazione, di odio e di violenza nei confronti delle persone, nel caso specifico in ragione dell’orientamento sessuale. Su questo tema non sussiste nessuna obiezione da parte del pensiero cattolico perché è ovvio che ogni forma di discriminazione, di violenza e di odio siano ingiuste e quindi da condannare. A proposito due considerazioni: innanzitutto non solo non è necessario, ma di fatto impraticabile che la legge contempli in dettaglio tutte le possibili situazioni in cui è possibile esprimere odio, discriminazione e violenza. Le deve condannare in maniera generale, assolutamente, in qualunque forma e in qualunque circostanza esse si manifestino. In secondo luogo, si capisce bene che, tutta questa attenzione rivolta al contrasto dell’omofobia e a discriminazioni che possano dipendere da situazioni del genere, risponde piuttosto alla volontà disonesta, quindi da contrastare non solo da un punto di vista cristiano ma anche sotto il profilo della buona e sana antropologia, di affermare principi che contraddicono alla verità dell’uomo.

Quali sono questi principi che contraddicono alla verità dell’uomo?

Sono i principi della cosiddetta teoria del gender, cioè, che la sessualità non sia determinata dalla natura dell’uomo, ma un dato puramente percepito e che, come tale, possa essere fluttuante o intercambiabile addirittura nel corso della vita e nelle diverse fasi della stessa. Ciò chiaramente contrasta con una visione “normale” dell’uomo: Una visione che sia autentica e naturale, non può essere accettata soltanto da chi professa la fede cristiana, ma anche da chi custodisce una visione dell’uomo conforme all’evidenza della sua natura e del modo in cui la natura si manifesta e orienta la vita stessa dell’uomo.

Si sta parlando, ultimamente, di eutanasia e suicidio assistito. Cosa dice ai cattolici e agli uomini di buona volontà?

Anche questo argomento, spesso presentato sotto le mentite spoglie della pietà per i casi più dolorosi e meritevoli di compassione è, in realtà, è un clamoroso inganno, perché quello che ognuno deve sapere e riconoscere sempre, è che la dignità della vita ne comporta, tra le conseguenze imprescindibili, anche l’inviolabilità in qualsiasi forma. Deriva dal fatto che l’uomo riceve la vita come dono. In una prospettiva di fede questo è ancora più chiaro perché il destino eterno da Dio offerto all’uomo supera i confini della vita terrena, la trascende ed è destinato ad un compimento ulteriore. Tuttavia anche chi non è illuminato dalla fede deve riconoscere che, non essendosi l’uomo dato la vita da solo, non ne è il proprietario assoluto e che comunque la vita non può essere ridotta ad un puro fatto biologico, dato che comporta una pluralità di aspetti interiori, spirituali e profondi non sono riconducibili alla mera fisicità o alla sola biologia. Si deve accostare la vita come un mistero, in modo particolare nelle tappe decisive del suo corso: la nascita e la morte.

In che senso?

Come non si decide la nascita e non si fa richiesta del dono della vita, così occorre riconoscere che l’esistenza è un susseguirsi di fasi connesse ad un disegno, che supera la possibilità di autodeterminazione dell’uomo. La considerazione della vita in tale visuale, più profonda e più completa, regala all’uomo la consapevolezza della propria esistenza come responsabilità e, dunque, consente anche tutto quel lavoro spirituale, talvolta molto faticoso, come accade nel momento della sofferenza, di comprensione del senso della vita, che, d’altra parte, è ciò che dà un orizzonte autentico all’esistenza umana. Pertanto l’eutanasia o il suicidio assistito appaiono vie di fuga non solo illecite dal punto di vista etico – per le ragioni che ho ricordato – ma anche sconvenienti in ordine a quel gusto della vita, che l’uomo deve saper riconoscere e attingere da ogni passaggio, anche quelli più critici della propria esistenza. Si impone anche un’altra considerazione…

Quale?

Spesso coloro che si battono per promuovere facili soluzioni rispetto al problema del dolore, della malattia terminale e di situazioni ormai senza una prospettiva di esito favorevole, in genere esprimono attività un autentico desiderio di promozione umana, ma rivelano uno sfondo, talvolta molto subdolo e nascosto, di stampo utilitaristico. Si tratta infatti di una concezione della vita ridotta a puro materialismo che, da un punto di vista personale, vorrebbe far credere ad ogni individuo che la vita merita di essere vissuta soltanto quando pienamente soddisfacente e, che invece, deve essere accantonata o buttata quando non risponde più alle aspettative. Da un punto di vista sociale, bisogna vedere come l’uomo non possa e non debba essere ridotto soltanto all’idea di efficienza. Si vorrebbe sopprimere la vita quando essa diventa un costo pesante per la società per non gravare il resto della collettività di oneri piuttosto consistenti: è una visione miope della vita dell’uomo, una visione triste che toglie il respiro della speranza eliminando quei valori spirituali che, soli, possono sostenere tutto il resto.

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