Il simbolo dell’anticlericalismo: Giordano Bruno

di Aurelio Porfiri

DOMENICANO IN GIOVANE ETÀ, PRESTO SI INTUÌ CHE LE SUE IDEE SI DISTANZIAVANO E DI MOLTO DALL’ORTODOSSIA CATTOLICA

 

Quando si passeggia per Roma, che si sia un residente o un turista, una delle tappe quasi obbligate è piazza Campo de’ Fiori, una delle piazze più interessanti del centro storico che ancora ospita uno storico mercato. Una delle attrazioni principali della piazza, se non la principale, è la statua del filosofo nolano Giordano Bruno (1548-1600), proprio sulla stessa piazza arso al rogo. Giordano Bruno è una delle figure simbolo dell’anticlericalismo e viene sempre sbandierato come emblema dell’intolleranza clericale e dell’attentato alla libertà di pensiero. Su questo ultimo punto dovremmo forse diffonderci in un’altra occasione, cioè se sia lecito lasciare libertà di pensare l’errore. Ora concentriamoci sul filosofo.

Egli si fece domenicano in giovane età, ma presto si intuì che le sue idee si distanziavano e di molto dall’ortodossia cattolica. Per questo fu costretto ad un continuo girovagare, non solo geografico ma anche spirituale, visto che in un certo momento abbraccerà anche il calvinismo.

Riprendiamo alcuni passaggi dalla biografia di Guido del Giudice ripresa da un sito in onore del filosofo nolano (giordanobruno.info): “Si segnala subito per l’acuto ingegno e la particolare abilità nell’arte della memoria ma anche per l’insaziabile curiosità che lo porta ad interessarsi non solo ai testi canonici, ma anche a quelli eretici, in particolare alle opere di Erasmo da Rotterdam. Tendenza questa che determina l’apertura del primo processo contro di lui, spingendolo a fuggire da Napoli. Ha inizio così un’incredibile peregrinatio: quasi diecimila chilometri, in giro per le principali corti ed accademie europee. Nell’arco di due anni soggiorna a Roma, Noli, Savona, Torino, Venezia e Padova. (…) La sua irrequietezza e l’intolleranza ai dogmi gli faranno stabilire un ineguagliato record di scomuniche: alla cattolica e alla calvinista, si aggiungerà più tardi, ad Helmstedt quella luterana. (…) Fa rotta quindi su Francoforte, per curare la pubblicazione della summa del suo pensiero: i tre poemi latini. Il soggiorno è interrotto da un periodo di sei mesi in Svizzera, durante il quale entra in contatto con l’ambiente Rosacrociano. (…) Venezia abbozza una resistenza, in nome della propria autonomia legislativa, ma infine cede alle richieste del Vaticano e, nel febbraio del 1593, il filosofo viene trasferito nelle carceri di Roma. Bruno tiene testa ai suoi accusatori per sette lunghi anni, con una tattica fatta di parziali ammissioni e orgogliose rivendicazioni, ma l’ingresso nel collegio giudicante del cardinale Bellarmino imprime al processo una brusca sterzata. La difesa del Nolano, incentrata sulla distinzione della verità filosofica da quella teologica, vacilla. Messo di fronte all’obbligo di abiurare 24 proposizioni ritenute eretiche, si dice disposto per quelle di natura teologica ma, messo di fronte alle affermazioni filosofiche, che rappresentano l’essenza del suo pensiero, si irrigidisce e grida di non aver nulla di cui pentirsi. Le ultime parole, prima che gli impongano la mordacchia per inchiodargli la lingua, sono sprezzanti: “Avete più paura voi nel pronunciare questa sentenza, che io nell’ascoltarla!” Giovedì 17 febbraio 1600, legato nudo a un palo in piazza Campo de’ fiori, il filosofo degli infiniti mondi viene bruciato vivo”.

Ora, è indubbio che alla nostra mentalità moderna il fatto che qualcuno possa essere bruciato vivo è inammissibile, ma questa non era la mentalità del tempo di Giordano Bruno e questo non riguardava soltanto l’autorità religiosa, ma anche quella civile. Certo è che la parabola intellettuale di Giordano Bruno è ad un certo punto completamente estranea a quella della Chiesa cattolica, anche la distinzione della verità religiosa da quella filosofica non ha senso, in quanto Dio è fonte di tutta la verità e non ne esistono due, una teologica ed una filosofica.

C’è da dire poi che il famoso monumento fu inaugurato in clima fortemente anticlericale, nel 1889, proprio negli anni in cui si preparava e andava sviluppando il movimento modernista. Il filosofo Giovanni Bovio dettò questa iscrizione per la statua: “A Bruno / il secolo da lui divinato / qui / dove il rogo arse”. E veramente quel secolo divinato gli rendeva omaggio, senza pensare che quello successivo sarebbe andato ancora più in profondità nella sua opera di distruzione.

 

 

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